Gentile signor Volli
le scrivo in risposta alla sua cartolina del 24-4-2012.
Io non sono assolutamente d'accordo su quello che dice, e penso che dovremmo essere in grado di criticare Israele senza essere definiti antisemiti.
Se è vero che tante persone hanno pregiudizi contro gli ebrei e contro Israele, a me sembra che nella sua lettera lei abbia pregiudizi su quelli che criticano Isarele, a prescindere.
Personalmente non approvo alcune delle decisione politiche di Israele, ma non ho mai messo in dubbio il diritto di Israele ad esistere. Inoltre non critico solo Isarele ma anche altri stati che secondo me violano i diritt umani.
Nella sua lettera lei cita la Russia, la Cina, il Sudan; io ho partecipato a campagne di Amnesty International (i.e. scritto lettere) per casi in tutti e tre questi paesi; sostengo anche una onlus che cerca di risolvere la situazione in Sudan. Ho anche partecipato ad una campagna contro Hamas, per la condanna a morte di alcuni uomini, purtroppo poi eseguita qualche giorno fa.
Questo per dirle che non tutti quelli che criticano Israele lo fanno solo per il gusto di farlo, ignorando tutti gli altri mali che ci sono nel mondo e divertendosi a dare addosso all'unica democrazia in Medio Oriente. Per favore, consideri anche l'ipotesi che alcune persone DAVVERO critichino Israele come un qualsiasi altro stato, senza considerarlo diverso dagli altri, nè in meglio che in peggio.
Grazie dell'attenzione
Clara Piccirillo
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Gentilissima Redazione,
ho letto ieri con molto interesse e meditato sulla 'Cartolina' del Prof. Volli del 24 aprile in tema di critiche ad Israele ed antisemitismo.
Sono in disaccordo su un solo punto: sull'onere della prova di non essere antisemiti che, se non ho frainteso, graverebbe sull'aspirante critico in quanto europeo o islamico.
Sono in disaccordo perché non posso accettare neppure remotamente l'idea che la libertà di pensiero e parola di una persona umana (la mia libertà o quella di chiunque altro) possa essere limitata, sotto qualsiasi forma, dalla sua nazionalità o religione e dalle colpe (o crimini efferati) di connazionali e correligionari vivi e defunti.
Sono, invece, convinta che ogni essere umano, indipendentemente da colpe e meriti dei suoi antenati, abbia, innanzitutto, il gravissimo dovere, prima di parlare o scrivere, di assicurarsi di non diffamare il prossimo.
Credo, inoltre, che, quando la critica si esercita su questioni che accendono gli animi, con concreti rischi per l'incolumità delle persone e la pace (o anche solo la tregua) tra i popoli, ognuno abbia il dovere di riflettere sulle possibili conseguenze delle sue parole e, volente o nolente, se ne assuma la responsabilità morale.
Credo, infine, che, quando si tratta di un Paese "che dall'inizio lotta per la sua vita" - ed è riuscito, tra guerre, attentati e minacce nucleari, a far fiorire la democrazia, coltiva uno spietato spirito autocritico e non cessa di perseguire la pace anche quando dubita, razionalmente, di poterla vedere in questa generazione -, ogni aspirante critico farebbe bene a pensare all'effetto delle sue parole su se stesso, se fosse uno di quei milioni di persone che ogni giorno lavorano per mantenere i propri figli e tremano al pensiero (non così ipotetico) di vederli morire per un odio feroce, ideologico.
Vorrei che almeno i nostri nipoti potessero godere della libertà di criticare Israele - anche duramente e non soppesando le critiche col bilancino fra tutti i popoli e governi del pianeta - senza pericolo che ciò possa fomentare odio e tradursi in sangue e rimorsi, ma temo che dovremo lavorare ancora molto per un tale risultato.
Con i più cordiali saluti e l'augurio di shabbat shalom,
Annalisa Ferramosca
P.S.: in caso di critiche sul trattamento di minoranze nazionali, stranieri e nemici, voglio sperare che si confronti Israele (o, se fosse il caso, l'Italia) con le altre nazioni democratiche, non con la Cina o il Pakistan: anche se l'esito fosse (lo dico per pura ipotesi) meno brillante, sarebbe di certo meno offensivo.
Gentili lettrici,
nel mio intervento io non discutevo il diritto
legale o politico per chiunque di dire ciò che vuole e dunque di
criticare chi crede; questo è uno dei fondamenti della civiltà
liberale, che fra l'altro è realizzato in Israele almeno quanto in
Europa. Considero la libertà di parola un diritto irrinunciabile e per
esso mi batto. Credo di averlo detto spesso e anche nel mio scritto
che voi criticate. Il mio punto era un altro: io intendevo discutere il
buon diritto morale degli europei eredi di Stalin, di Hitler e
dell'antisemitismo di condannare per partito preso Israele e la sua
autodifesa. Chiedevo in sostanza a ciascuno di interrogarsi sul
rapporto fra il nuovo pregiudizio antisraeliano e il vecchio
pregiudizio antisemita. Discutevo l'aria virtruosa con cui la cultura
europea fa la morale a Israele dopo tutto quel che è successo. Non
perché anche un assassino non possa condannare un ladro o viceversa;
ma perché Israele non è né ladro né assassino, mentre tutti i dati
indicano che l'Europa continua ad albergare nella sua opinione
l'antisemitismo di sempre e oggi la esprime contro Israele.
Ugo Volli