Fiamma Nirenstein commenta il prossimo processo a Guantanamo. Sul GIORNALE di oggi, 06/05/2012, a pag.16, con il titolo " Il processo all'11 settembre non assolve l'inerzia di Obama":
Fiamma Nirenstein Khaled Sheik Mohammed
Comincia presso il tribunale militare di Guantanamo quello che già si chiama il processo del secolo: si tratta, stabilendo se i cinque imputati che furono probabilmente e per ammissione di alcuni la mente dell'attentato delle Twin Towers dell'11 di settembre 2001, di verificare la verità sulla perversione di un attacco inenarrabile che distrusse le vite di 2976 innocenti, e anche la nostra capacità di reazione, la sua più interna natura, la capacità di difenderci dal terrorismo. Quando diciamo «nostra » intendiamo qui quella leader, del simbolo della salute e delle malattie dell'Occidente, gli Usa. E quindi, dell'uomo che li rappresenta, il presidente Obama. La prima occhiata all'aula, al sentimento che circondano il processo e non consente grande ottimismo: di fronte alla possibilità di processare i grandi assassini del suo popolo l'America, Obama, sembrano vacillare. Prima di discutere il terrorismo, il suo stato attuale, l'arma migliore per batterlo, ricomincia la tiritera occidentalecontro il fatto usare le leggi militari, per altro riviste dal congresso e mitigate alquanto per il processo contro Khaled Sheik Mohammed, «la mente», Ramzi bin al Shibh, Ali Abd Azuiz Alì, Mustafa Ahmed al Hawasan, Walid Bin Attash. Hanno portato guerra gli Usa e a tutto il mondo occidentale, oppure hanno semplicemente compiuto un atto criminale per il quale dovevano essere semplicemente processati dal tribunale civile di Manhattan? Guerra o azione criminale?
Obama non ha avuto l'animo di completare l'aspirazione a diventare l'anti Bush ultimativo, e anzi, ha talmente vantato nell'anniversario l'uccisione di Bin Laden da far pensare che il terrore per lui sia importante quanto lo era per Bush. E Guantanamo è ancora in piedi e là si svolge il processo.
Il suo carattere di Re Tentenna dunque non garantisce nè i diritti umani secondo la lezione della sinistra, nè la lotta al terrore di cui ora si dichiara campione. Obama ha abbandonato le folle sanguinanti nelle piazze iraniane nel 2009, sulla Siria non ha aiutato a fermare l'eccidio di 10mila persone, con la Cina non ha la forza neppure di difendere fino in fondo un dissidente, sulla Primavera Araba non dice parola sui Fratelli Musulmani. Ma quando firmò nel dicembre il National Defense Authorirization Act che permette la detenzione indefinita a Guantanamo dichiarò di «essere perplesso». Cara persona. Oggi anche il processo avviene così, invece che come un grande momento di presa di coscienza sulla guerra al terrore, una quieta e decisa rivisitazione dell'intera questione del terrorismo, la nostra guerra, all'ombra della perplessità sul tema dei diritti umani.
L'ex procuratore capo di Guantanamo sostiene che non dovrebbero essere ammesse come prove le prese di posizioni dei prigionieri stessi, i loro avvocati sostengono che quando hanno dichiarato di essere orgogliosi di ciò che hanno fatto nel loro «martedì santo» non confessavano affatto la loro colpevolezza. «Ci ucciderete tutti » hanno gridato in aula, dopo aver pregato e preteso che uno degli avvocati, donna, si coprisse il volto. Vedremo il New York Times e le sue moltitudini newyorkesi quanta attenzione porranno su Guantanamo, e quanta sul terrorismo. Solo le famiglie degli uccisi, di cui sei membri estratti a sorte assistono al processo, sanno cosa pensare: Cliff Russell il fratello del vigile del fuoco Stephen ha detto che sa di trovarsi di fronte al «più disgustoso, odioso, orribile crimine che si possa immaginare », e lui spera nella pena di morte. Non così Susan Sisolak che ha perso il marito Joseph: non le importa quale sarà la pena, ma si deve garantire che quello che è accaduto non accada mai più. Si deve vincere la guerra. Ma Obama lo vuole?
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