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Il Foglio Rassegna Stampa
05.05.2012 Africa: islam contro i cristiani
L'analisi controcorrente di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 05 maggio 2012
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Non è la mia Africa»

Chi cercasse nei media cattolici informazioni di prima mano sulla guerra scatenata dall'islam contro i cristiani in Africa, troverebbe poco o nulla. Troppo occupati ad incensare il dialogo, ai media vaticani sfugge la realtà di quanto avviene. Provvede Giulio Meotti, sul FOGLIO di oggi, 05/05/2012, a pag.II, con una analisi approfondita dal titolo " Non è la mia Africa", che riprendiamo.

                                                                          Giulio Meotti

Nel romanzo “Radici del cielo”, vincitore nel 1956 del premio Goncourt in Francia, Romain Gary fa dire a uno dei suoi personaggi, musulmano: “Un giorno l’Africa nera sarà dalla nostra parte, la nostra religione è più giovane, più ardente, ha l’impeto e la potenza del vento del deserto che l’ha vista nascere, finirà per trionfare. Un’Africa islamizzata sarebbe nel mondo una forza irresistibile. E lo sarà”. Una profezia che sembra inverarsi ogni giorno di più. Nel grande plateau subsahariano, dalla Nigeria al Sudan, impazza l’odium fidei. La guerra di religione. Lo scontro fra la Croce e il Corano che più che dalle immagini del film di Sydney Pollack “La mia Africa”, che inscena un continente opulento e attraente, è simboleggiato dal villaggio nigeriano di Dogo Nahawa, dove gli islamisti hanno falcidiato a colpi di machete trecento cristiani, la maggior parte donne e bambini. Il premio Nobel nigeriano per la Letteratura, Wole Soyinka, li ha chiamati “i macellai nigeriani”. La conquista islamica dell’Africa ha inizio nel VII secolo, quando gli Omayyadi diffusero la fede nelle terre mediterranee che erano state a lungo bizantine. Ma nell’Africa sudorientale, con l’Etiopia copta e i piccoli regni cristiani del Sudan meridionale, la penetrazione fu ardua e per secoli l’islam non riuscì a scavalcare il Corno d’Africa. Nell’Ottocento un nuovo impeto islamista si diffuse nella regione, contrastato dai pastori protestanti che marciarono nelle retrovie degli eserciti inglese e tedesco. C’erano i missionari di Daniele Comboni, primo vescovo cattolico d’Africa, che partirono da Khartoum alla riconquista del Sudan meridionale, e i “pères blancs” di Charles de Lavigerie, che avanzarono verso il sud al seguito degli zuavi. Sotto una grande ondata di immigrazione adesso è in corso una nuova ondata d’islamizzazione e uno spostamento di faglia demografico- religioso dalle conseguenze imprevedibili. Come ha detto Robert Sarah, arcivescovo della Guinea e già presidente della Conferenza episcopale dell’Africa occidentale, “qualunque siano le sue tendenze, l’islam ha un solo progetto: fare dell’Africa un continente islamico. C’è effettivamente una volontà e una strategia ben elaborata per islamizzare e persino arabizzare l’Africa. E ci sono i mezzi finanziari e la propaganda mediatica disponibili per la riuscita di questo piano”. Un allarme ribadito dal vescovo sudanese Erkolano Lodu Tombe: “Il conflitto e la persecuzione in Sudan sono un risultato diretto di una campagna sistematica di islamizzazione e arabizzazione dei popoli non arabi e non musulmani che non detengono il potere politico ed economico nel paese. L’approccio del regime fondamentalista di Khartoum verso i cristiani e verso quei musulmani che non professano quella versione particolare di islam fondamentalista continua a essere caratterizzato da un programma di islamizzazione”. L’espansione, guidata spesso da al Qaida, è diretta verso le regioni centro-orientali. Il progetto è di far salire in cielo un solo ‘adan (richiamo della preghiera islamica) dai minareti della Libia alla moschea Juma’ di Durban, in Sudafrica. Gambia, Senegal e Mauritania sono al 90 per cento islamizzate, ma la quota decresce man mano che si scende verso il basso, raggiungendo un nove per cento di presenze in Sudafrica (ma pressoché nessuna nel resto della regione australe). L’obiettivo dell’islamizzazione è espandersi verso sud, fino a costruire un gigantesco continente afromusulmano. L’“islam nero” si è sempre distinto da quello arabo per la sua capacità di adattamento in seno a società religiosamente differenti. Il sincretismo, ovvero la mescolanza dei riti e culti, e la compresenza di credenze diverse nelle famiglie, sono state la regola nella maggioranza dei paesi africani, sia quelli a maggioranza musulmana come la Guinea o il Mali, sia quelli a prevalenza cristiana come la Costa d’Avorio, il Mozambico o l’Uganda. I passaggi da una fede all’altra erano tollerati, le famiglie “miste” frequenti. Lo scorso 3 gennaio gli estremisti islamici di Boko Haram hanno lanciato un ultimatum alla comunità cristiana che vive nel nord della Nigeria: “Avete tre giorni per andare via, altrimenti morirete”. L’ideologia del gruppo risale all’imam Mohammed Yusuf, ucciso nel 2009 e figura leggendaria per molti nigeriani. In una intervista alla Bbc prima di morire, Yusuf ha detto che l’educazione occidentale giunta nel paese col colonialismo “distrugge la fede in Allah”, che “la terra è piatta” e che la pioggia “è una creazione di Dio più che una evaporazione”. Se sul Darfur c’è stata una certa mobilitazione occidentale a favore delle vittime, chi si preoccupa delle campagne di sterminio subite dalle popolazioni cristiane e animiste del Sudan meridionale fin dall’indipendenza del paese, proclamata nel 1956? O dell’attuale ecatombe nigeriana? Eppure, la guerra condotta dal regime di Khartoum contro il sud è stata infinitamente più sanguinosa delle operazioni nel Darfur e ha causato centinaia di migliaia di morti. La tragedia degli animisti e dei cristiani del Sudan meridionale prima, e il virus religioso in Nigeria poi, non è alla moda. L’occidente sembra non voler sentir parlare di quei paria cristiani, sforzandosi di espiare il proprio passato coloniale. Negli ultimi dieci anni la guerra di religione ha fatto duemila morti soltanto nello stato nigeriano del Plateau, tredicimila in tutta la Nigeria. Cifre ottimistiche, secondo le ong umanitarie che parlano di eccidi ben peggiori. L’obiettivo delle stragi è cambiare la geografia religiosa e demografica del continente, che in un secolo è stata già profondamente modificata: agli inizi del Novecento solo un terzo degli africani era musulmano e la gran parte di professione tollerante. Se gli islamisti arabi sognano un califfato unico nordafricano dall’Atlantico al Canale di Suez, includendo le popolazioni musulmane nel Sahel, a sud del Sahara l’islam più cruento avanza e conquista, si mangia intere città e fasce di popolazione. Sta crollando la storica linea di divisione, lungo il sedicesimo parallelo, dal Senegal alla Somalia delle corti della sharia. Tutto ciò che resta del “dar al harb”, la terra della guerra, deve diventare “dar al islam”, terra dell’islam. Finanziato da ricchi salafiti e signori wahabiti dell’emisfero arabo, l’islam dell’Africa nera è il principale nemico dei signori della guerra, sicari corrotti e violenti. Per questo attrae e conquista. L’islam porta ordine, carità, denaro, scuole, moschee, mense. In cambio vuole la sottomissione più totale e spietata. E la fine della cristianità. I guai della Nigeria risalgono ai moti di Kano del 1980, quando un leader islamico di nome Muhamadu Marwa ai giovani arrivati in città spiegò che chiunque portasse una croce al collo era un “infedele”. Il suo messaggio ha fatto presa sulla popolazione. L’elezione di Miss Mondo ad Abuja nel 2002 ha poi acceso il fiammifero del jihad in un pagliaio cosparso di benzina un immenso patchwork di fedi, lasciando a terra duecento morti e diecimila cristiani in fuga. E’ lontano dalla Mecca e dalla Medina, dove è nato e ha predicato il Profeta, che l’islam conta oggi le sue masse più sterminate. Parliamo di trecento milioni di africani, il quaranta per cento della popolazione del continente e più di quanti vivono in tutti i paesi arabi riuniti. Gli islamisti hanno fatto dell’Africa, dopo il medio oriente e l’Asia centrale, il loro territorio principale di “missione”. Dal Golfo di Guinea al mar Rosso, alla Nigeria settentrionale passando per il Sudan fino alla Somalia, la sharia è diventata in molte regioni la fonte principale, se non unica, del diritto. Un africano su tre sotto il Sahara è musulmano e la percentuale sale a uno su due se si aggiunge il Nordafrica. Oggi l’islam è la prima religione in una decina di stati africani, in altri è maggioritario oppure rappresentato da minoranze influenti che cercano il potere. Finora il panorama religioso era variegato. C’era l’islam delle confraternite, tollerante nei confronti delle tradizioni africane, dominato dai capi religiosi come i marabutti da sempre simbolo del multiculturalismo africano. Poi c’era un islam puritano e pio, quietista e basato sui testi sacri. Infine sono emersi coloro che rivendicano lo smantellamento dei sistemi laici e la loro sostituzione con la sharia. Sono loro alla caccia del potere. Come i Boko Haram in Nigeria, un nome che incute il panico. “Hanno diversi alleati di spicco all’interno della società nigeriana: ex dittatori, ricchi salafiti e influenti uomini politici. Figuratevi che la settimana scorsa il comandante di un nucleo antiterrorismo nigeriano è stato arrestato in Pakistan mentre addestrava futuri kamikaze”. E’ quanto ha detto ad Aiuto alla Chiesa che Soffre Ernst Sagemüller, project manager e assistente allo sviluppo da molti anni nel paese africano. Un anno fa la dogana nigeriana bloccò una spedizione di armi diretta alla Hisba, il movimento che vuole imporre la legge islamica nel nord della Nigeria, e alla fazione dei Boko Haram. Il cargo era partito da Teheran, parte del “piano Africa” varato dalla guida Khamenei e destinato ad ampliare l’influenza iraniana nel continente sostenendo governi o gruppi islamici. I Boko Haram – nome che in lingua hausa significa “l’educazione occidentale è peccato” – rifiutano ogni interpretazione deviata dall’islam del VII secolo e pretendono l’adozione della sharia in tutta la Nigeria. I maggiori esponenti della setta ricevono una “formazione filosofica” di stampo salafita in Arabia Saudita. Non uccidono soltanto i cristiani ma anche i musulmani moderati e gli esponenti non radicali del clero islamico. Chiunque esorti alla pace e alla riconciliazione diviene un obiettivo: politici, insegnanti, giornalisti, poliziotti. Cinquecento cristiani soltanto dal Natale scorso hanno perso la vita in attentati. Tutte le maggiori città del paese sono state colpite da Boko Haram: la capitale Abuja, dove a Natale una bomba in una chiesa ha causato decine di morti; Kano, dove 185 persone sono morte in una serie di esplosioni contro caserme e uffici del governo; Jos, dove un gruppo di boy scout è riuscito a impedire a costo della vita che un’autobomba esplodesse in una chiesa, infine Maiduguri e Kaduna, teatri dei più recenti attacchi, fino all’ultimo di Pasqua. In questi giorni si è tornati a parlare della possibilità di suddividere la Nigeria in due stati indipendenti, separando il nord musulmano dal sud cristiano, un po’ come è successo in Sudan. Sarebbe l’anticamera della guerra civile e religiosa. La sharia venne introdotta nello stato di Zamfara dopo che la dittatura militare lasciò il potere nel 1999. Nell’arco di tre anni dodici dei trentasei stati della federazione nigeriana seguirono l’esempio. Dal 2001 nello stato di Kano sono morte più di 10 mila persone, quasi tutte cristiane. Trecento chiese e proprietà sono andate distrutte. Gli sfollati non si contano. Il caso del reverendo anglicano Seth Saleh, a Zamfara, è emblematico. Nel 2003 il consigliere del governo locale bussò alla sua porta e gli consegnò una missiva. “Il governatore – recitava la missiva – vi informa che la vostra chiesa dovrà essere demolita prima del suo arrivo in città domani”. Il giorno dopo l’edificio venne demolito. Dal 2009 a ora almeno 50 chiese hanno ricevuto le “lettere di demolizione” e almeno dieci pastori sono stati uccisi dalla Boko Haram. Un uomo simbolo del cristianesimo nigeriano è il vescovo anglicano Peter Akinola, che con i suoi diciotto milioni di cristiani africani vanta la più grande comunità della congregazione riformata. “Se la chiesa non evangelizza, è morta”, ripete Akinola, a dispetto degli attacchi islamici. E’ lui l’artefice della rievangelizzazione della Nigeria: negli anni Settanta c’erano cinque milioni di anglicani, 16 diocesi e un arcivescovo. Oggi sono 18 milioni, 100 vescovi, 80 diocesi e 10 arcivescovi. Sul campo Akinola si è confermato leader della cristianità del sud. Quando cinque anni fa in Nigeria gli islamisti attaccarono le chiese, dopo la pubblicazione delle vignette danesi su Maometto, Akinola disse: “Ricordiamo ai fratelli musulmani che non hanno il monopolio della violenza”. Secondo la ong Open Doors, negli stati del nord che hanno adottato la sharia circa cinque milioni di cristiani subiscono forti repressioni. L’islam ha impiantato nelle scuole l’idea per la quale la religione musulmana è “originaria della Nigeria” e che la diffusione del cristianesimo è “una minaccia”, “un nemico da distruggere”. Secondo Philip Jenkins, uno dei massimi esperti di cristianità, “in Nigeria è in gioco l’equilibrio fra islam e cristianesimo”. Per dirla con lo storico israeliano Benny Morris, “lo scontro tra oriente e occidente si giocherà in terra d’Africa”.

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