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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.05.2012 Egitto, scontri al Cairo in attesa delle elezioni. 20 morti.
commento di Franco Venturini, cronaca di Viviana Mazza

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 maggio 2012
Pagina: 17
Autore: Viviana Mazza - Franco Venturini
Titolo: «Giornata di sangue. Venti morti al Cairo - Nella lunga 'primavera' del Cairo torna il sangue, non le speranze»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/05/2012, a pag. 17, l'articolo di Viviana Mazza dal titolo " Giornata di sangue. Venti morti al Cairo ", a pag. 46, l'articolo di Franco Venturini dal titolo " Nella lunga 'primavera' del Cairo torna il sangue, non le speranze" .
Ecco i pezzi:

Viviana Mazza - " Giornata di sangue. Venti morti al Cairo "


Scontri al Cairo

A tre settimane dalle elezioni presidenziali, la capitale egiziana torna ad essere un campo di battaglia. Decine di uomini non identificati ma ben armati — disponevano di coltelli, fucili a pallini, pistole e lacrimogeni, secondo i giornalisti sul luogo — hanno attaccato all'alba di ieri alcune centinaia di manifestanti accampati da sabato davanti al ministero della Difesa, nel quartiere di Abbaseya. Negli scontri sarebbero morte 20, forse 30 persone secondo fonti mediche: molti avevano ferite d'arma da fuoco al volto, altri sarebbero stati accoltellati.
Il sit-in era stato organizzato dai sostenitori del predicatore ultraconservatore salafita Hazem Abu Ismail, per protestare contro la sua squalifica dalle elezioni: il più anti-americano degli aspiranti alla poltrona presidenziale è stato escluso perché sua madre aveva il passaporto americano, ma i numerosi fan che da mesi lo acclamavano come una popstar hanno accusato la commissione elettorale di averlo radiato per motivi politici. In misura minore, manifestanti di altri orientamenti, anche laici, avevano aderito al sit-in per protestare contro le forze armate che guidano il Paese dalla caduta di Mubarak, 14 mesi fa. Ma il raduno restava dominato dai salafiti.
Dopo le violenze di ieri, diversi leader politici sia islamici che laici hanno puntato il dito contro l'esercito, affermando che i «teppisti» responsabili dell'attacco sarebbero stati incoraggiati o addirittura assoldati proprio per creare il caos. Diversa la versione dei media di Stato, che parlavano di rabbia tra gli abitanti di Abbaseya, un bastione dei sostenitori di Mubarak e dei generali. Secondo la maggioranza dei testimoni, i manifestanti si sarebbero difesi con bastoni, molotov e pietre; voci non confermate sostengono che alcuni salafiti si erano armati dopo un precedente attacco, giorni fa, nel quale la polizia non era intervenuta e un manifestante era morto. Da più parti — dai giornalisti, dall'organizzazione per i diritti umani Amnesty International come dal premio Nobel Mohammed ElBaradei — l'esercito è stato comunque criticato per essere intervenuto solo dopo diverse ore: gli scontri, iniziati all'alba, sono ripresi in tarda mattinata, ma gli agenti, schierati su un ponte, non sono entrati nella piazza a placare i disordini fino all'una. «Stavano sul ponte a regolare il traffico: scena surreale», scriveva su Twitter l'inviata di Al Jazeera.
Dei 23 candidati presentatisi alle elezioni del 23 e 24 maggio, solo 13 sono stati «promossi» dalla commissione elettorale: i favoriti sono l'ex ministro degli Esteri Amr Moussa, Mohamed Morsi della Fratellanza Musulmana e l'islamico moderato Abdel-Moneim Abolfotoh. Gli ultimi due hanno sospeso momentaneamente la campagna elettorale per protesta (e per cercare di conquistare gli elettori salafiti di Abu Ismail, dicono i critici); il primo dibattito presidenziale è stato rimandato. Ma i partiti non vogliono che il voto sia posticipato.
Dopo la caduta di Mubarak, la transizione alla democrazia è stata ostacolata da continue esplosioni di violenza di strada, da battaglie politiche tra laici e islamici, e da una lotta ormai aperta tra il Consiglio supremo delle Forze armate e i partiti islamici il cui dominio del Parlamento si è finora tradotto in scarso potere effettivo. La stesura della nuova Costituzione è stata congelata da un ordine del tribunale dopo una disputa sulla composizione della commissione (era dominata dagli islamici).
La popolazione è confusa e frustrata, l'economia è in caduta libera. Le forze politiche hanno espresso ieri il timore che l'esercito possa rinviare le elezioni. In un incontro con i leader di alcuni partiti (boicottato da Fratellanza Musulmana e salafiti), le autorità militari hanno invece confermato la data delle consultazioni, assicurando anche che, se al primo turno uno dei candidati dovesse ottenere più del 50%, il potere verrà ceduto subito. Ma è assai più probabile che si vada al secondo turno, a giugno.

Franco Venturini - " Nella lunga 'primavera' del Cairo torna il sangue, non le speranze "


Franco Venturini

In Egitto si muore, come ai primi tempi di una «primavera» che non è mai finita e il cui sbocco, oltre ad interessarci, dovrebbe anche preoccuparci. Ieri le vittime sono state venti secondo alcune fonti, trenta secondo altre, ma quel che più colpisce è che mentre gli uccisi erano sicuramente salafiti non è nota l'identità degli aggressori: poliziotti e militari in abiti civili, come sostengono i partecipanti a una dimostrazione che proprio contro i militari era rivolta, oppure islamisti di diversa tendenza decisi a regolare i conti con i «fratelli» a suon di bombe molotov e di kalashnikov? Il fatto che si possa anche soltanto ipotizzare uno scontro di tale violenza tra islamisti diversamente radicali serve a dare la misura della brutta piega che ha preso la transizione egiziana. E questa volta, anche quando la protesta torna a piazza Tahrir, non c'è più come agli albori della «primavera» l'alone elettrizzante della Storia in movimento: piuttosto, la vigilia delle elezioni presidenziali si è trasformata in durissima lotta di potere. E l'Italia, immersa com'è nel Mediterraneo, corre il doppio rischio di trovarsi di fronte un Egitto permanentemente instabile oppure controllato da un islamismo estremista. La marcia di avvicinamento alle prime elezioni presidenziali del dopo Mubarak, in programma per il 23 e 24 maggio, si svolge all'insegna del caos e dell'incertezza. Il Parlamento, dove la somma degli islamisti controlla più del 60 per cento dei seggi, si è autosospeso per protestare contro il governo sostenuto dai militari. Il generale Tantawi, capo della giunta di transizione, ha assicurato che abbandonerà il potere se la sera del 24 maggio uno dei candidati avrà vinto le elezioni al primo turno. Ma al momento una vittoria al primo turno appare poco probabile (e qui si arriva al punto cruciale) in seguito all'esclusione dei principali candidati decisa dalla commissione elettorale. Gli estremisti salafiti avevano un loro candidato: escluso, perché a quanto pare sua madre aveva la cittadinanza americana. Un candidato lo avevano, nella persona del più accettabile Khairat al-Shater, anche i Fratelli musulmani: escluso, perché aveva trascorso non pochi anni nelle galere di Mubarak. Un candidato ufficioso lo esprimevano i militari (forse per una calcolata provocazione) nella figura certo poco opportuna del capo dei servizi segreti di Mubarak, Omar Suleiman: escluso, per non aver raccolto tutte le firme che servivano. In corsa sono così rimasti due moderati, l'ex capo della Lega araba Amr Moussa e l'islamista dissidente Aboul Fotouh, assieme al candidato della venticinquesima ora dei Fratelli musulmani, Mohamed Morsi. Il quale vuole l'applicazione rigida della sharia, l'esclusione delle donne dalle alte cariche pubbliche, e considera gli israeliani «assassini e vampiri». Con loro, nei panni del figurante, l'ultimo premier di Mubarak, Ahmed Shafik. In apparenza il ventaglio delle possibilità si è spostato verso il centro, e infatti nei primi sondaggi Amr Moussa arriva in testa. Ma il vero braccio di ferro che la commissione elettorale rischia di aver trasferito dalle urne alle piazze si svolge tra gli islamisti, maggioritari in Parlamento e decisi a farsi valere nella scrittura di quella nuova Costituzione che fisserà gli equilibri di potere. Così, il semisconosciuto Morsi accentua il suo fondamentalismo per non lasciare troppo spazio ai salafiti orfani di Hazem Abou Ismail. E i salafiti gli restituiscono la cortesia annunciando addirittura che voteranno per l'odiato Fotouh, sapendolo ancor più odiato dai Fratelli musulmani che lo cacciarono dai loro ranghi. La corsa alla legittimazione islamista rischia in definitiva di spostare l'Egitto su posizioni antioccidentali e antiisraeliane, con l'aiuto di una situazione economica ogni giorno più grave. E il contrappeso, alla faccia della «primavera», può venire soltanto dai militari. Ma quanto siano uniti al loro interno i militari, è cosa sulla quale sarebbe imprudente scommettere. Il risultato di un simile rompicapo è che con ogni probabilità, più della persona eletta Presidente, a contare saranno le strategie di intesa o di contrapposizione tra le principali forze del Paese: si andrà a un «compromesso storico» (oggi in crisi, ma collaudato nei mesi scorsi) tra Fratelli musulmani e militari, oppure prevarrà uno scontro come suggeriscono le polemiche più recenti? E i salafiti rimasti senza candidato e sicuramente invisi ai militari, si accoderanno ai Fratelli musulmani o faranno loro la guerra come forse è accaduto ieri al Cairo? Oppure ancora si defileranno, staranno alla finestra e lasceranno che siano gli altri a logorarsi, pronti a subentrare? Per l'Italia è il momento di un dialogo difficile quanto necessario, opportunamente avviato con la visita di Mario Monti al Cairo. Ma occorre anche tenere la guardia alta nei confronti delle possibili derive islamiste, e comprendere che a soffiare sull'estremismo è soprattutto la delusione dei giovani davanti a una congiuntura economica che continua a peggiorare. Servono aiuti mirati. E bisogna riuscire a convincere i nordeuropei che il destino dell'Egitto non è soltanto un problema dei soliti «meridionali».

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