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Ugo Volli
Cartoline
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Un viaggio nella normalizzazione 02/05/2012

Un viaggio nella normalizzazione

Cari amici,

su una sola cosa possiamo essere tutti d'accordo, quelli che sostengono Israele e quelli che lo condannano, con la sola eccezione dei fanatici più stupidi: che la situazione in quella striscia di terra che sta fra il fiume Giordano e il mare è estremamente complicata. E' un paese decisamente piccolo, lungo 500 chilometri ma largo fra i 70 e i 100 (secondo i limiti attuali del controllo israeliano, ma se si considerano le linee armistiziali del '49 che gli arabi vorrebbero come confini, al centro del paese c'è una lunga strozzatura larga fra i dodici e i 20 chilometri, una distanza che si può fare facilmente a piedi in mezza giornata). Ma è un paese complicato, con aspetti geografici, climatici, archeologici, antropologici e naturalmente politici assai diversi, una specie di continente in miniatura: alte montagne innevate e il Mar Morto, la depressione più profonda del mondo, rovine preistoriche e grattacieli modernissimi, scienziati in laboratori all'avanguardia e beduini che girano sugli asinelli, campi fertilissimi e foreste e deserti senza un filo d'erba, ragazze in minigonna e bikini e donne chiuse nel più severo velo islamico, israeliani e arabi e drusi e armeni e circassi, ebrei, cristiani, musulmani (di tutte le rispettive tendenze), ma anche baha'i, atei, buddisti. I confini di tutti i tipi si intrecciano continuamente, la storia emerge da ogni pietra, i punti di vista possono essere diversissimi. Dunque su Israele non basta leggere, bisogna andarci. E' assai difficile farsi un'opinione fondata senza vedere coi propri occhi. Anche perché le opinioni comuni su quella terra sono sempre filtrate da un repertorio di immagini fittissimo e per lo più profondamente inesatto. Per fare solo un esempio incontrovertibile e non polemico, tutta la pittura europea degli ultimi mille anni almeno ci ha presentato il luogo della crocefissione di Gesù come un colle isolato lontano dalla città. Il Golgota che si vede oggi è dentro il Santuario, a pochi metri dal Santo Sepolcro, non solo nel bel mezzo della città vecchia di Gerusalemme, ma anche a un centinaio di metri dal muro della spianata del Tempio, affossato in uno dei punti più bassi della città. Allora probabilmente il luogo si trovava fuori dalle mura, ma certamente non ha mai avuto l'aspetto agreste dei paesaggi delle pitture sulla Crocifissione. Questo è solo un esempio, che si potrebbe moltiplicare all'infinito su temi ben più delicati. Dunque bisogna vedere coi propri occhi per provare a capire la storia, le religioni e naturalmente anche la politica attuale. Per esempio bisogna vedere le città pacifiche e tranquille, la mescolanza continua fra le diverse etnie, i ragazzi e le ragazze arabe che frequentano tranquillamente le università o fumano il narghilè nei baretti sulla spiaggia, i simboli palestinesi come la kefia venduti tranquillamente nei negozi, le macchine palestinesi che circolano abbondantemente sulle strade israeliane, i check point che somigliano a caselli autostradali e attraverso molti dei quali si passa quasi senza fermarsi, le “colonie” che sono villaggi pacifici ridenti e fioriti in mezzo al deserto, i villaggi arabi in cui abbondano le costruzioni nuove e le case moderne, “il muro” che è tale solo dove i cecchini usavano sparare sulla gente e che per lo più è una rete metallica con sensori e telecamere, non molto diversa da quella che da noi delimita il territorio di aeroporti e campi sportivi. Bisogna vedere.

Per questa ragione Informazione Corretta, che come sapete è un sito di informazione e non un'agenzia di viaggi, organizza ogni anno un paio di viaggi in Israele: per permettere a chi ci viene, qualunque siano le sue idee, di rendersi conto di persona, di superare la fitta nebbia della disinformazione. Ho appena accompagnato un viaggio del genere, guidato da quella bravissima guida che si chiama Angela Polacco. Una trentina di partecipanti ha visitato gli splendidi musei e passeggiato in mezzo ai grattacieli di Tel Aviv, si è inerpicato sul Golan a pochi passi dai confini siriani, ha attraversato la valle del Giordano, visto i luoghi dei conflitti e dei più terribili attentati, ma anche visitato l'estremo ridotto della resistenza ebraica al dominio romano a Masada e si è commosso davanti alle testimonianze della Shoà dentro il museo di Yad Vashem. Ma ha visto anche i diversi quartieri della Città Vecchia di Gerusalemme, è salito sulla spianata delle Moschee (che per gli ebrei è il Monte del Tempio, ma dove poliziotti israeliani difendono la disciplina imposta dall'autorità islamica) e si è spinto fino alla periferia di Hebron, dova ha incontrato uno sceicco locale, che ha esposto il suo punto di vista sul conflitto.

Gli incontri infatti sono un punto forte di questi viaggi che mescolano turismo e studio politico della situazione: il gruppo italiano ha parlato con ambasciatori, professori universitari, studiosi di politica e di strategia, giornalisti; insomma ha avuto modo di capire problemi e punti di vista confrontandoli con le impressioni del terreno.

Volete sapere quel che penso io? Be' dalla prospettiva eurarabica questo viaggio è piuttosto perturbante. Pensate che siamo stati in una “colonia” ed era fatta da villette con bellissimi giardini, senza che si vedessero cannoni spuntare fra i gelsomini. Abbiamo parlato con un “colono” e non aveva neanche i canini pungenti di Dracula, né le mani sporche di sangue (forse se l'era lavate prima di incontrarci), era un signore educato e molto pacato, che chiacchierava tranquillamente e dava spiegazioni a tutte le domande. Siamo entrati nei “territori palestinesi” parecchie volte e non abbiamo visto né le SS né le camere a gas di Auschwitz, anzi l'impressione era che la popolazione locale circolasse tranquillamente, coltivasse i suoi campi, vendesse la sua mercanzia senza problemi. Non c'erano reparti militari al confine con la Giordania o con la Siria, l'ingresso in “Palestina” è stato segnato da un messaggino al cellulare del provider locale che prometteva profumo di gelsomini; abbiamo superato un certo numero di caselli o di check point dove c'erano un paio di soldati abbastanza rilassati; la notte della festa dell'indipendenza (sionista, pensate), la gente ballava per le strade travestita in modo buffo, ma non si scatenava affatto in cacce all'arabo o in danze di guerra. Dal deserto si vedevano nascere palme da dattero e uva e manghi e pomodori, non cannoni e carri armati; si incontravano villaggi lindi e fioriti, non caserme e bunker, uccelli e gatti particolarmente confidenti e simpatici, non cani lupo ringhianti. In ogni luogo, di qua e di là della linea verde, tutti (sacerdoti cattolici e ortodossi, commercianti arabi, pellegrini musulmani, gruppi di turisti europei e americani, contadini, scolaresche, macchine dalla targa gialla israeliana e con quella verde palestinese) si muovevano tranquillamente, senza mostrare preoccupazione alcuna. Insomma, da un punto di vista propriamente eurarabo, bisogna riconoscere che l'entità sionista dev'essere proprio brava a travestirsi. O forse è riuscita a imporre in buona parte del territorio quella “normalizzazione” che giustamente gli islamisti detestano, perché somiglia così tanto alla pace.

Ugo Volli


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