Nucleare iraniano, quanto tempo ci vuole per costruire una bomba? E intanto c'è chi pensa di andarsene. Commenti di Redazione del Foglio, Giulio Meotti
Testata: Il Foglio Data: 28 aprile 2012 Pagina: 3 Autore: Redazione del Foglio Titolo: «43 giorni - L’incubo 'yerida'»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 28/04/2012, a pag. 3, l'editoriale dal titolo "43 giorni". Dal FOGLIO del 27/04/2012, a pag. 4, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "L’incubo 'yerida'". Ecco i pezzi:
Redazione del Foglio - " 43 giorni "
Reuel Marc Gerecht, Mahmoud Ahmadinejad
Lunedì il primo ministro d’Israele, Benjamin Netanyahu, ha detto che le sanzioni all’Iran non stanno inibendo il suo programma atomico e che il regime di Teheran non è razionale. Martedì il capo di stato maggiore, Benny Gantz, ha detto che le sanzioni funzionano e che i mullah sono razionali. Mercoledì il ministro della Difesa, Ehud Barak, ha negato quanto aveva detto Gantz. Regna il caos nella leadership israeliana e resta difficile decifrare quanto sta accadendo nel conto alla rovescia sul nucleare iraniano. Molte sono le interpretazioni date alle parole di Gantz: una minaccia all’ayatollah Khamenei sull’inevitabile strike se non fermerà l’arricchimento dell’uranio? O forse una richiesta a Barak e Netanyahu di concedere più tempo alle sanzioni? Il 23 maggio a Baghdad gli iraniani si incontreranno di nuovo con il 5+1 per i colloqui sul nucleare. I prossimi due mesi saranno decisivi. A Gerusalemme c’è chi dice che i militari hanno perso l’ultimo treno e che ormai non possono più attaccare le centrifughe della Rivoluzione islamica. C’è chi, come il vice primo ministro Moshe Yaalon, dice che gli iraniani presto avranno a disposizione le “bombe sporche” radioattive. E c’è chi dice che se Israele non attacca entro l’autunno non attacca più: dovrà delegare la questione agli americani. Arrivano dunque segnali di ogni genere. Intanto l’ex spia della Cia e analista neoconservatore, Reuel Marc Gerecht, citando fonti d’intelligence statunitensi, sul Weekly Standard ieri ha scritto che dal momento in cui Teheran deciderà di assemblare un ordigno atomico impiegherà 43 giorni per farcela. Quarantatré. E il mondo non sarà più come prima.
Giulio Meotti - "L’incubo 'yerida' "
Giulio Meotti
Roma. Una sorta di controesodo. In ebraico si chiama così: “Yerida”. Emigrazione. Uno studio della Bar Ilan University, rilanciato dal magazine americano Forward, afferma che centomila israeliani hanno ricevuto il passaporto tedesco. “E’ il più grande gruppo di tedeschi all’estero”, ha detto Emmanuel Nahson, vicecapo della missione israeliana a Berlino. Alcuni giorni fa, sul Jerusalem Post, Pinchas Landau ha pubblicato un articolo-choc dal titolo: “La sindrome dell’Esodo”. “Nel corso della storia non si era mai visto un gruppo così numeroso di ebrei che abbia scelto di sradicarsi da casa”. Non molto tempo fa gli espatriati venivano considerati più o meno alla stregua dei nemici dello stato. L’ex primo ministro Yitzhak Rabin ebbe a chiamarli “una massa di buoni a nulla”. L’emigrazione è effetto della potenziale bomba atomica iraniana, dicono i sondaggi. Sotto la legge tedesca approvata nel 1949, ogni ebreo o discendente di ebrei che ha lasciato la Germania nazista ha il diritto di diventare cittadino tedesco. La popolazione ebraica di Berlino è passata dalle seimila unità nel 1990 alle 50 mila del 2008. Un altro studio del Menachem Begin Heritage Center parla di un trenta per cento di israeliani in cerca di un doppio passaporto. Polonia, Romania e Austria hanno emesso seimila passaporti a cittadini israeliani. Ogni anno la Germania da sola ne rilascia settemila. Non si tratta di israeliani pronti a trasferirsi in Europa, ma che vogliono il passaporto in caso in cui la situazione diventi troppo rischiosa nello stato ebraico. Chi fa richiesta della doppia cittadinanza è spesso parte dell’élite economica e sociale. Il governo israeliano parla addirittura di un tredici per cento della popolazione, fra gli 800 mila e il milione di persone, che già oggi vive all’estero. Secondo lo US Censur Bureau, il numero di israeliani che vive negli Stati Uniti è cresciuto del trenta per cento dal 2000. E’ il più serio fenomeno emigratorio dalla guerra dei Sei giorni. All’epoca circolava una barzelletta. All’aeroporto di Tel Aviv un’insegna recita: “L’ultimo che se ne va spenga la luce”.
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