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La Stampa Rassegna Stampa
27.04.2012 Un documentario sulla cattura di Osama bin Laden
ad un anno dalla missione dei Navy Seals. Cronaca di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 27 aprile 2012
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «I segreti dei Navy Seals: così fu catturato Osama»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 27/04/2012, a pag. 1-14, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "I segreti dei Navy Seals: così fu catturato Osama".


Maurizio Molinari                                               Osama bin Laden

È stato lo «Squadrone Rosso» dei Navy Seals a eliminare Osama bin Laden con un blitz di 40 minuti che ha concluso la caccia iniziata all’indomani dell’11 settembre 2001. Ma il vicepresidente Joe Biden e il ministro della Difesa Robert Gates frenavano, temendo il fallimento: fu Barack Obama ad assumersi la responsabilità di una missione che aveva solo il 40 per cento di possibilità di successo.

A segnare l’inizio della ricostruzione - raccontata in un documentario del «National Geographic» - è l’ammissione di Michael Hayden, capo della Cia fino al 2009, che «oramai avevamo perso le tracce di Bin Laden» quando «nel 2007 gli agenti impegnati nella ricerca vennero da me, sostenevano di poterlo trovare seguendone i corrieri perché Bin Laden comunicava ma non ricorreva a mezzi elettronici e dunque doveva averne». Gli interrogatori dei membri di Al Qaeda detenuti, alcuni a Guantanamo, svelano che il corriere più fidato è Abu Ahmed al Kuwaiti.

Ci vogliono tre anni per rintracciarlo ma alla fine l’intelligence pakistana trova l’indizio decisivo. Nel corso di intercettazioni di telefonate di Al Qaeda in Pakistan viene identificato nel 2010 un uomo che si presenta come Al Kuwaiti. «Chiamò qualcuno nel Golfo, lo intercettammo e inoltrammo la chiamata alla Cia» dice Athar Abbas, generale pakistano. È l'informazione che permette alla Cia di localizzare il cellulare del corriere. Si trova a Peshawar e il segnale conduce a un furgone bianco che si sposta in continuazione. I satelliti lo seguono e la pista porta al tranquillo quartiere di Abbottabad, a 65 km da Islamabad.

I balconi recintati

Dopo settimane di sorveglianza gli agenti vedono il furgone in un grande complesso. Sono edifici recenti, di dimensioni superiori rispetto alle altre abitazioni e a distinguerli sono balconi recitati con muri, che nessun altro ha. «È un particolare che convince gli agenti, lì dentro doveva nascondersi qualcuno di importante» sottolinea Hayden. Ad Abbottabad Bergen incontra gli architetti che hanno costruito il complesso. Gli raccontano che a commissionarlo fu «un certo Arshad Khan», pseudonimo di Al Kuwaiti, che «chiese 4-5 stanze al piano terra e altrettante al primo piano». Il terzo piano dunque non era nel progetto originale, Al Kuwaiti lo fece abusivamente. «Abbiamo usato fonti umane e tecnologiche - dice John Brennan, capo del controterrorismo alla Casa Bianca lavorando alla vecchia maniera, più analizzavamo il posto più ci convincevamo che Bin Laden potesse esserci».

«È un black spot»

La National Security Agency usa satelliti e droni per sorvegliare il complesso. Scopre che è un «black spot» senza linee telefoniche, Internet o collegamenti esterni. Chi vi abita non vuole essere trovato. Il direttore della Cia, Leon Panetta, ordina di studiare «un’operazione sicura». «Non dovevamo agire in maniera impulsiva - ricorda Hayden - perché il minimo passo falso avrebbe rovinato la migliore occasione di catturare Bin Laden». Oramai gli Stati Uniti sono convinti che i corrieri che vivono nel complesso possono portare allo sceicco del terrore. Gli agenti prendono posizione davanti alla palazzina, si confondono tra gli abitanti ma c'è una limitazione: non possono usare mezzi hi-tech perché avrebbero allertato i servizi pakistani. L’osservazione è a occhio nudo.

Gioielli svenduti

Gli 007 di Langley osservano la routine dell’edificio. Ogni giorno vengono consegnati diversi litri di latte e una volta alla settimana arrivano delle capre ma i contatti esterni sono limitati. Bin Laden e i due fratelli che lo proteggono hanno pochi fondi, mandano un corriere a vendere gioielli antichi a Rawalpindi per scambiarli con gioielli nuovi più contanti, ma sono cifre modeste. Per risolvere il problema dei fondi Bin Laden progetta di rapire stranieri. Il complesso è trasandato, le pareti spoglie, ha una sola caldaia e manca l'aria condizionata. Le bollette di gas ed elettricità sono basse per un edificio così grande e anche per mangiare fanno economia: sfruttano l’orto, allevano polli e hanno delle mucche.

Il «camminatore» misterioso

La Cia si convince che dentro il complesso vivono «altre persone» oltre a quelle osservate a distanza. Soprattutto c'è un uomo misterioso che non esce mai. «Non c'erano molte spiegazioni possibili, questo dettaglio si aggiungeva ad altri indizi importanti» spiega Philip Mudd, vicedirettore del centro antiterrorismo della Cia fino al 2005. L'uomo misterioso viene soprannominato «il camminatore». Nel dicembre 2010, a quattro mesi dall'individuazione di Al Kuwaiti, Panetta incontra Obama e sottolinea che è opportuno intervenire prima che Bin Laden si insospettisca. Obama chiede «quante sono le possibilità che Bin Laden si trovi nel complesso?» e Panetta risponde «il 60 per cento». Il maggior problema, come riassume Mudd, viene dal fatto che non si può identificare una persona dall'alto perchè nessuno riesce a vederlo o sentirlo».

La scelta di Obama

Pur senza prove certe, Obama autorizza il blitz. «Obama non voleva perdere tempo, voleva che entrassimo in azione» ricorda Brennan, precisando che «avevamo 3 opzioni, l'assalto di terra assieme ai pakistani, un bombardamento con i B2 e un blitz delle forze speciali elitrasportate». «Il presidente chiese a tutti noi un parere» ricorda Brennan. Robert Gates, ministro della Difesa, paventa il rischio di una ripetizione di «Desert One», il fallito salvataggio degli ostaggi in Iran, a monito sul rischio di un flop come quello di Jimmy Carter. La scelta spetta al Presidente, che opta per il blitz delle truppe speciali perché vuole essere sicuro dell'identificazione di Bin Laden. È una decisione rischiosa ma offre la maggiore probabilità di prendere Osama, vivo o morto.

Lo Squadrone Rosso

 L’ultimo capitolo della caccia è affidato agli addestratori top secret della Cia. Il 10 aprile 2011 sono 24 soldati del «Red Squadron» dei Navy Seals a svolgere la prima esercitazione. «Quando seppero che il bersaglio era Bin Laden i soldati furono entusiasti» assicura Eric Greitens, comandante dei Navy Seals. Per cinque giorni lo Squadrone Rosso prova ogni mossa. Obama chiama Michael Leiter, direttore del Centro nazionale antiterrorismo fino al 2011, e lo mette al corrente del segreto chiedendogli di assicurarsi dell’efficacia del blitz. Leiter confessa dubbi sulle mogli di Bin Laden che vanno e vengono dal complesso ed hanno anche dei cellulari. «Se Bin Laden è lì e deve essere protetto perché mai tali carenze di accorgimenti?» si chiede Leiter, temendo una trappola. Obama dà a Leiter 48 ore per esaminare un’ultima volta tutti gli indizi e ottiene una stima sulla possibilità che Bin Laden sia nel complesso. «Gli dissi che la probabilità era dal 40 al 70 per cento» ricorda Leiter. Gates esprime remore, il vicepresidente Joe Biden anche. Ma Leiter è per tentare: «Dissi al Presidente che anche se la percentuale minima era il 40 per cento, o perfino il 38, era comunque la più alta mai avuta in dieci anni». Obama assicura che prenderà presto una decisione.

Il blitz

Alle 8,20 del mattino del 29 aprile il presidente convoca i consiglieri. «Ci disse “Procedete pure”», rammenta Brennan. L’1 maggio le visite alla Casa Bianca vengono cancellate, nessuno deve vedere Obama e i consiglieri nella Sala Operativa. Alle 14,30, poco dopo le 23 in Pakistan, due elicotteri Black Hawk decollano dalla base di Jalalabad, in Afghanistan. «Effettuiamo operazioni ogni notte ma questa era la più imponente dopo l’11 settembre», assicura David Petraeus, all’epoca comandante delle forze Afghanistan e ora alla guida della Cia. «Nel quartier generale ero stato l’unico a venire informato perché alcuni miei reparti avrebbero potuto essere coinvolti», aggiunge Petraeus. A conoscere il bersaglio è solo il comandante delle forze speciali. «Ho seguito l’operazione dal quartier generale della Nato a Kabul, chiesi un unico uomo per monitorare cosa avveniva», continua Petraeus. Il nome in codice dell’operazione è «Neptune Spear» (Lancia di Nettuno). La distanza fra Jalalabad e l’obiettivo è di circa 260 km ma il percorso per gli elicotteri è maggiore perché volano a 6 metri da terra, al fine di non essere intercettati. È una notte senza luna. «I nostri soldati dice Chris Marvin, pilota di Black Hawk - si trovavano ad operare in condizioni molto difficili». Sui Black Hawk vi sono 23 Navy Seals, un interprete e Cairo, un cane segugio. Sono elicotteri «Stealth», invisibili ai radar. Obama ha ordinato ai capi della missione di aggiungere anche elicotteri Chinook, come rinforzi in caso di necessità. Decollano 45 minuti dopo i Black Hawk, seguono la stessa rotta e atterrano in un’area deserta a due terzi della distanza dal complesso di Abbottabad, è un posto non controllato né dai pakistani né dai taleban. Sui Chinook vi sono altri 12 Navy Seals. Obama e i consiglieri seguono gli eventi in tempo reale grazie a un drone che trasmette segnali video da 4600 metri di altezza. «La sala dove si svolgono di solito le nostre riunioni non era attrezzata - spiega Leiter così andammo in una più piccola». Quando tutte le unità Navy Seals sono in Pakistan la tensione sale. «Era un momento di ansia, le squadre si dirigevano verso il complesso e non dovevano essere intercettate» dice Brennan. All’1 del mattino, ora del Pakistan, i Black Hawk raggiungono l’obiettivo. Il piano prevede che scesi i soldati, si allontanino rapidamente. Tutto doveva concludersi in due minuti, una squadra doveva atterrare dal cortile e l’altra sul tetto per entrare da punti diversi. Ma non va così perché il pilota di uno degli elicotteri perde il controllo mentre sorvola le mura esterne. Hillary Clinton ha un’espressione di sorpresa e paura che rispecchia lo stato d’animo di tutti. Il rotore di coda è impazzito e l’elicottero finisce a terra, spezzato. «Era inevitabile in quel momento pensare a una replica di Desert One - ammette Leiter - quando perdemmo un elicottero nel salvataggio di alcuni ostaggi». Il blitz è appena iniziato ma la missione è già in pericolo. La sorte degli uomini a bordo è sconosciuta. Obama e i consiglieri guardano i video terrorizzati, sperando in qualche segno di vita. «Se vi fossero state delle vittime la missione sarebbe abortita», assicura Marvin. Alcuni minuti dopo, il sollievo. I 12 Navy Seals escono illesi dal velivolo ed entrano in azione. Nessuna delle due squadre è nei punti stabiliti. Si passa a quello che Brennan chiama «il Piano B».

Il «Piano B»

I Navy Seals avanzano con gli esplosivi, fanno saltare tutte le porte. I boati svegliano gli abitanti del complesso e i vicini. Ishan Khan, residente a Abbottabad e giornalista di «Voice of America» viene svegliato: «Ho sentito un’enorme esplosione e sono corso fuori a vedere cosa stava avvenendo». È Khan il primo che dà la notizia al mondo, l’elicottero caduto arriva su Twitter. I Navy Seals a gruppi di tre, entrano nel complesso, si dirigono nella dependance, vedono correre Al Kuwaiti che gli spara contro e lo uccidono. Entrati nell’edificio vanno verso le scale, trovano delle barriere e le fanno saltare, avanzano verso i piani superiori. Al secondo piano incontrano il figlio di Bin Laden e lo abbattono con un sol colpo. Continuano a salire, evitando la confusione circostante. Vi sono numerosi gruppi di bambini. Giunti al terzo piano, in fondo al corridoio c’è Bin Laden. Entra in una stanza e i Navy Seals lo inseguono mentre la Casa Bianca è all’oscuro di quanto sta avvenendo perché il drone non vede all’interno. «Non sapevamo, cercavamo di indovinare», rammenta Brennan.

«Geronimo»

Sono tre i Navy Seals che inseguono Bin Laden, entrano nella camera, si trovano davanti alla moglie più giovane e alla figlia maggiore. Le donne urlano, cercano di fare scudo a Bin Laden. Uno dei soldati teme che abbiano esplosivi e spara alle gambe della moglie. Il Navy Seal dietro di lui punta l’arma contro Bin Laden, il primo colpo lo raggiunge al petto, il secondo alla testa. Nella sala operativa della Casa Bianca si sente la voce di uno dei soldati: «In nome di Dio e della nazione, Geronimo, Geronimo, Geronimo». È la parola in codice per dire che Bin Laden è stato preso. Ma l’operazione non è ancora finita. I Navy Seals devono lasciare il complesso assieme alla salma di Osama. Le truppe speciali restano 20 minuti più del previsto per prendere documenti e computer con i segreti di Al Qaeda. I pakistani non sanno cosa sta avvenendo, temono un attacco agli impianti nucleari e fanno decollare gli F-16. Gli servono però 15 minuti e tanto basta ai Navy Seals per allontanarsi con 5 computer, 10 hard drive, 110 pen drive e un diario scritto a mano. All’esterno del complesso, l’interprete, quattro agenti e il cane Cairo tengono alla larga i vicini mentre all’interno viene fatto esplodere l’elicottero caduto e un medico preleva un campione di dna dal corpo di Bin Laden per l’identificazione definitiva. All’1,45 del mattino, ora pakistana, i Navy Seals decollano con il Black Hawk rimasto. Sono passati 40 minuti dall’inizio del blitz. «I più lunghi della nostra vita», confessa Brennan. «È stata un’operazione estremamente delicata, portata a termine in modo estremamente efficiente», riassume Petraeus. Il commento a caldo di Obama è «avete fatto un ottimo lavoro», poco dopo parla alla nazione: «Osama Bin Laden è stato ucciso, giustizia è fatta».

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