Non tutti i critici di Israele sono antisemiti, ma tutti gli antisemiti sono critici di Israele
Mi scrive una signora, che, gentilmente, mi dice quel che mi sono
sentito ripetere tante volte: ma scusi, secondo lei non si può proprio
criticare Israele. Dato che è una domanda che ritorna continuamente
(qualche volta nella versione più edulcorata: “ma non si possono
criticare le politiche del governo israeliano? Così come si criticano
le politiche di tutti i paesi del mondo) rispondo alla signora, ma
senza replicare al resto che mi dice, in maniera generale.
Dunque, cara signora, come spesso capita la risposta è sì e no. Sì,
certo, lei può criticare Israele quanto le pare. Lo si può fare qui e
anche in Israele: vi si organizzano manifestazioni, proteste, cortei
con bandiere palestinesi, c'è tanta gente che ci va apposta e se non
lo fa in modi da mettere a rischio la sicurezza propria e altrui, per
esempio provando a occupare in massa l'aeroporto o aggredendo le forze
dell'ordine, nessuno impedisce loro di criticare e manifestare
liberamente. Dico questo perché se prova ad andare in Iran, o in
Egitto, ma anche a Ramallah, per non parlare di Gaza, i risultati
sarebbero assai diversi. Ho raccontato ieri la storia di giornalisti e
blogger arrestati dall'Autorità Palestinese, tutti conosciamo la sorte
di quel fanatico filopalestinese, ma forse troppo critico, forse
troppo “occidentale di costumi” che si chiamava Vittorio Arrigoni.
Dunque sì, lei è libera di criticare, cara signora. E naturalmente
come capita per ogni cosa al mondo, non le mancheranno le ragioni per
criticare. Io per esempio trovo insufficiente l'attenzione ecologica
di Israele, trovo che in certi casi l'archeologia è troppo
spettacolarizzata ecc. Ma naturalmente lei non allude a questo.
Vorrebbe criticare Israele come si critica la Cina o la Russia o il
Sudan, per quel che fa o non fa ai suoi vicini o alle sue minoranze. E
anche in questo caso, le rispondo che sì, certo, lei è liberissima di
criticare Israele come si fa con gli altri paesi. A proposito, ha mai
partecipato a un boicottaggio contro la Russia? No? Eppure non si
comporta tanto bene con i ceceni. E ha mai sentito che se ne
organizzasse uno, da quando Ronald Reagan ritirò la delegazione
americana dalle Olimpiadi di Mosca? No, certo. E la Cina, che opprime
con mano di ferro il Tibet, reprime i dissidenti e tutte le religioni,
censura il web eccetera, qualcuno ha mai cercato di portarla al
tribunale dell'Aia? Lei ha visto per caso bruciare molte sue bandiere
negli ultimi anni? Nel Sudan c'è stato un genocidio acclarato dal
tribunale dell'Onu, il suo presidente è stato incriminato (ma è
ricevuto con tutti gli onori alla lega araba e in Turchia, e visitato
ufficialmente, se non ricordo male, da quel monumento del politically
correct che è Romano Prodi). Cara signora, ha visto mai qualcuno
manifestare contro il Sudan? O il Marocco, che opprime i sarawi, o la
Turchia che ammazza i curdi, o il Pakistan, dove essere cristiano
significa rischiare la vita?
Non c'entra, mi dice lei. Israele va criticato per via
dell'”occupazione”. Ma giuridicamente la nozione di occupazione non
tiene, l'ultimo governo legale fondato internazionalmente che ha
governato la “Palestina occupata” è stato il mandato britannico, che
era stato istituito dalla società delle nazioni esattamente per dare
una patria (“national home”) al popolo ebraico, molto prima della
Shoà, nel 1922. Se i britannici non avessero giocato col fuoco del
nazionalismo arabo e avessero fatto ciò per cui la comunità
internazionale li aveva incaricati di fare (“favorire l'immigrazione e
l'insediamento ebraico”, cito testualmente), la Shoà non avrebbe avuto
quella dimensione. Non c'entra, lei mi ripete, l'occupazione è ora.
Guardi alle colonie, guardi al fatto che proprio la settimana scorsa
ci sono stati dei coloni che si sono insediati in una casa di
Hebron... Eh già, sono andati ad abitare in una casa regolarmente
comprata. Che c'è di male? Che c'è di male se degli indiani comprano
casa e vivono a Bergamo, o dei cinesi a New York? O lei pensa davvero
che Hebron, la città dove la presenza ebraica è testimoniata senza
interruzione da 3500 anni, dai tempi in cui Abramo vi comprò la tomba
per sé e per sua moglie, come è scritto nella Bibbia, non debbano
poter vivere ebrei? Non trova questa storia un tantino antisemita?
Eccoci, mi risponde lei: non si può criticare Israele senza che subito
qualcuno ci dia dell'antisemita. Be', signora, non tutti quelli che
criticano Israele sono antisemiti, posso concederlo, ma tutti gli
antisemiti criticano Israele, questo è un fatto. Per secoli e millenni
gli euroipe e gli arabi hanno - ehm, diciamo - “criticato” il popolo
ebraico (che spesso si definisce proprio Israele). Hanno spiegato che
erano il “popolo deicida”, che ammazzavano i bambini per impastare il
loro pane di Pasqua col loro sangue, che affamavano i popoli, che
praticavano l'usura, che avvelenavano i pozzi e quant'altro. Ogni
tanto veniva su qualcuno - un domenicano spagnolo, un caporale
austriaco, un capo cosacco, un crociato, uno sceicco di Granada, mille
altri personaggi meno noti- a mettere in pratica quello che i
“critici” predicavano. Perfino fini intellettuali e artisti come
Voltaire e Wagner e tanti altri impegnarono le loro migliori energie a
“criticare” l'Israele d'allora, che non era uno stato ma già un
popolo. “E allora?” Be', signora, io le dico solo che bisogna
prendere atto che vi è una certa continuità fra queste critiche:
quella dell'”occupazione” e quella del “deicidio”; quella dei poveri
bambini palestinesi ammazzati dai cattivi israeliani a Gaza e quelli
dei poveri bambini cristiani ammazzati dagli ebrei a Trento e ad
Aleppo e in mille altri luoghi, quelli del progetto di dominio sul
mondo dei “Savi di Sion” e quelli sulla “lobby ebraica che domina
l'America. Come vi è continuità fra le vignette che illustrano
deputate ebree con il nasone e il fascio littorio e le caricature che
i nazisti pubblicavano su “Der Sturmer”.
“Insomma non posso criticare Israele senza passare per antisemita, è
questo che vuol dire lei”. Cara signora, le ripeto, lei è libera
giuridicamente e fattualmente di criticare quel che vuole. Ma se tiene
alla mia opinione, ebbene sì. L'onere della prova secondo me tocca a
lei. E' lei che deve dimostrare che le sue critiche sono pertinenti,
equilibrate, non prevenute, non antisemite. Un po' come tocca
all'automobilista preso ubriaco al volente dimostrare nel seguito che
non è un bevitore abituale, che non lo rifarà. Naturalmente non dò a
lei dell'alcolizzata, non mi permetterei mai. Ma all'Europa e
all'Islam sì, il paragone si attaglia. Hanno bevuto tanto negli ultimi
quindici o venti secoli... fuor di metafora, hanno ammazzato tanto,
discriminato tanto, umiliato e torturato tanto, che prima di ergersi a
critici di un paese che dall'inizio lotta per la sua vita e per
garantire la vita di tutti gli ebrei, devono dimostrare loro di non
essere antisemiti.
Ugo Volli