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Corriere della Sera Rassegna Stampa
24.04.2012 'Ridurre il peso dell'islam nella società significa essere leader democratici'
Come può Sergio Romano scrivere queste parole e poi defiire Erdogan un democratico ?

Testata: Corriere della Sera
Data: 24 aprile 2012
Pagina: 43
Autore: Sergio Romano
Titolo: «La Turchia di Atatürk, sultano repubblicano»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 24/04/2012, a pag. 43, la risposta di Sergio Romano ad un lettore dal titolo " La Turchia di Atatürk, sultano repubblicano ".


Kemal Atatürk, Recep Erdogan                Sergio Romano

Nella sua risposta, Sergio Romano spiega con queste parole come mai Atatürk può essere definito come leader democratico : "Fu democratico soprattutto perché ridusse drasticamente il peso dell'Islam nella vita pubblica, creò una società laica, dette al Paese nuovi codici (quello civile del 1926 è modellato sul codice svizzero, quello penale dello stesso anno sul codice italiano), promosse l'alfabetizzazione, modernizzò le istituzioni, liberò le donne dai vincoli della tradizione e le invitò a dare un contributo alla crescita civile della nazione. ". E' l'esatto opposto di ciò che ha fatto e sta facendo Erdogan per la Turchia. Come può Sergio Romano definire Erdogan democratico e schierarsi per l'ingresso della Turchia in Europa?
Ecco lettera e risposta:

Molti storici considerano Mustafa Kemal Atatürk un dittatore. Ma dopo più di settant'anni della sua scomparsa viene ancora ricordato e amato dal suo popolo. Mi può spiegare il significato di questa contraddizione?
Dinc Ayhan
dinc.ayhan@hotmail.it

Caro Ayhan,

Negli anni in cui Kemal Atatürk governò la Turchia moderna, dalla fine della guerra d'indipendenza alla sua morte nel 1938, vi furono alcuni esperimenti di democrazia parlamentare e multipartitismo. Atatürk non dimenticò mai che il potere gli era stato conferito dalla Grande Assemblea Nazionale, eletta nell'aprile 1920, e cercò di farne il perno dello Stato repubblicano. Ma il regime, con qualche breve eccezione, ebbe un solo partito e il Paese un solo leader, autorevole, rispettato e insostituibile: l'uomo che aveva sconfitto i greci, cacciato gli stranieri dal territorio nazionale, soppresso il califfato, costretto gli Alleati a stracciare il Trattato di Sèvres e a sostituirlo con un accordo che restituiva ai turchi il cuore anatolico dell'Impero Ottomano. In un libro apparso nel 1993, Renato Bova Scoppa (un diplomatico italiano che ha lungamento lavorato in Turchia agli inizi degli anni Trenta) ha descritto alcune delle sue apparizioni ufficiali nelle feste di palazzo e in quelle popolari a cui amava partecipare. Aveva creato una repubblica, ma riceveva omaggi destinati a un sultano. «Ogniqualvolta finisce una sigaretta — scrive Bova Scoppa — fra i deputati che lo attorniano è una gara per togliergli dalle mani il mozzicone. Accarezza per riconoscenza alcuni dei parlamentari più fidi e più solleciti nel servirlo e ascoltarlo, i quali gli ricambiano il gesto con un baciamani profondo in cui è tutta l'umiltà e la devozione di questi uomini per il loro capo».
Non sarebbe giusto, tuttavia, misurare la democrazia di Atatürk sulla base di questi comportamenti. Fu democratico soprattutto perché ridusse drasticamente il peso dell'Islam nella vita pubblica, creò una società laica, dette al Paese nuovi codici (quello civile del 1926 è modellato sul codice svizzero, quello penale dello stesso anno sul codice italiano), promosse l'alfabetizzazione, modernizzò le istituzioni, liberò le donne dai vincoli della tradizione e le invitò a dare un contributo alla crescita civile della nazione. Creò insomma un ingrediente fondamentale di qualsiasi democrazia: il cittadino.

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