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La Repubblica Rassegna Stampa
24.04.2012 Tunisia, sharia in arrivo
Persino Cadalanu e Ben Jelloun su Repubblica riescono a percepire l'inverno islamista

Testata: La Repubblica
Data: 24 aprile 2012
Pagina: 35
Autore: Giampaolo Cadalanu - Tahar Ben Jelloun
Titolo: «Nelle università la sfida all'islam radicale - Se la religione minaccia i fiori della primavera»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 24/04/2012, a pag. 35, l'articolo di Giampaolo Cadalanu dal titolo " Nelle università la sfida all'islam radicale ", a pag. 37, l'articolo di Tahar Ben Jelloun dal titolo " Se la religione minaccia i fiori della primavera ".

Virata islamista per la Tunisia, un tempo Paese laico.
Ormai è evidente persino a Giampaolo Cadalanu e Tahar Ben Jelloun su Repubblica che la vera natura della Primavera araba non ha nulla a che vedere con la democrazia.
Gli islamisti sono tornati e stanno prendendo sempre più piede, lo raccontano bene i due articoli ripresi in questa pagina.
Eccoli:

Giampaolo Cadalanu - "Nelle università la sfida all'islam radicale "

Nei corridoi della facoltà di Scienze umane, Sausen Labidi chiacchiera con un compagno di corso seduto su una scrivania. L'abito tradizionale islamico la copre come la tonaca di una suora, spuntano solo il viso sottile e la punta delle scarpe. Lui, invece, esibisce un giubbotto di pelle, scarpe da ginnastica e un benettino da baseball girato all'indietro. «Sono musulmana, mi vesto così. Ma sono anche tunisina, e orgogliosa di rispettare le regole del mio Paese. Se in aula il viso deve essere scoperto, per me va bene». Il velo va bene, ma anche sulle altre richieste dei salafiti Sausen ha le idee chiare: «Hanno proposto lezioni separate per maschi e femmine, credo che sia una buona idea. Sa, uno studioso britannico ha scoperto che le donne in genere sono più produttive dal punto di vista intellettuale quando non ci sono uomini presenti. No, qui ovviamente la religione non c'entra nulla».

A Manouba, una delle due università di Tunisi, gli studenti vorrebbero raffreddare le polemiche delle scorse settimane: «Uno studente salafita ha voluto appendere accanto a quella tunisina anche la bandiera nera dei fondamentalisti, con i versi che dicono "Non c'è altro dio che Dio, e Maometto è il suo profeta". Poi però, qualcuno ha tolto la bandiera tunisina, e le autorità universitarie sono intervenute», racconta Rebah, studente di Lingue in jeans, con la barba appena accennata. Poco più lontano, Mohamed esibisce invece una barba lunga, l'abito tradizionale e la cuffia bianca da preghiera. Chiarisce subito il credo suo e del suo gruppo: «Noi vogliamo studiare l'Islam. Vogliamo che la Tunisia adotti la sharia. Non seguiamo il Libro, vogliamo seguire l'esempio del Profeta e dei suoi amici». La Salafia, insomma. Mohamed ha 27 anni ma nel viale alberato di Manouba cammina un po' a fatica. Forse è un ricordo dei quattro anni che ha passato nelle galere di Ben Ali, perché durante il regime era proibito fare proselitismo religioso all'università. Dopo la rivoluzione che ha dato l'avvio alla "primavera araba", però, gli integralisti hanno cercato un nuovo ruolo, muovendosi in modo molto aggressivo e cercando di influenzare Ennahda, il partito islamico moderato al governo. E il fronte dell'università è il più caldo. A gennaio cinque salafiti hanno avviato uno sciopero della fame per rivendicare il diritto delle studentesse a portare anche a lezione il niqab, velo integrale che copre anche il viso. A marzo i fondamentalisti hanno avviato un sit-in nel campus di Manouba, cercando di far boicottare le lezioni fino a quando il divieto di portare il niqab fosse stato cancellato. Il preside Habib Kadzaghli ha denunciato di essere stato «sequestrato», anche se forse gli è stato solo impedito di accedere al suo ufficio. Gli studenti laici hanno risposto con una manifestazione nel centro di Tunisi, con cartelli che dicevano: "No alle catene, no al velo, la scienza deve essere libera". Ma nei giorni scorsi i salafiti hanno di nuovo interrotto le lezioni, insistendo sul velo e chiedendo anche un luogo di preghiera all'interno dell'università. Il ministro dell'Istruzione superiore Moncef Ben Salem, che fa parte del partito islamico Ennahda, sospetta che sia stata l'intransigenza del preside a far esasperare i problemi. «In tutto il paese c'è un centinaio di ragazze che usano il velo integrale. Ma le contestazioni sono scoppiate solo a Manouba», dice. Insomma, per il governo lo scontro all'università è più intemperanza giovanile che reale minaccia fondamentalista. In realtà la presenza dei salafiti non è limitata alle università ed è sempre più ingombrante nel panorama tunisino. Il governo prende le distanze, garantisce che non si farà imporre nessuna agenda radicale. Said Ferjani, in passato esule politico a Londra e oggi alto funzionario di Ennadha, sottolinea che il governo non accetterà l'imposizione di uno stile di vita da nessuno, ed è pronto a proteggere la scelta individuale delle donne, che sia quella di indossare un burqa odi sfoggiare il bikini. Ma in concreto la polizia appare troppo tollerante con gesti incendiari, come l'appello ad attaccare la comunità ebraica, pronunciato da un predicatore durante un corteo nel pieno centro di Tunisi. O l'accoglienza all'egiziano Heni Sbai, "bandito" da Ben Ali, il cui arrivo all'aeroporto della capitale è stato "facilitato" se non imposto da una moltitudine minacciosa sotto gli occhi degli agenti, nonostante il religioso sia ancora nella lista delle persone "indesiderabili" in Tunisia. O la provocazione di appendere la bandiera di Hizb Ettahrir, partito semiclandestino e favorevole al Califfato, proprio sull'orologio del centro città, nella ex piazza 7 novembre ora intitolata a Mohamed Bouazizi, il giovane venditore di frutta che diede l'avvio alla rivolta immolandosi nel fuoco a Sidi Bouzid, nel gennaio dell'anno scorso. Il padre della patria, Habib Bourghiba, aveva imposto in Tunisia una visione rispettosa dell'Islam ma fondamentalmente laica. Si era persino esposto a bere un bicchiere di latte durante il Ramadan, perché Dio chiede la preghiera ma approva ancora di più il lavoro, e chi digiuna è troppo debole per produrre. Ora la ripresa integralista vuole rimettere tutto in discussione. Non tutti sembrano preoccupati: «L'alternativa alla tolleranza con i salafiti sarebbe stato il manganello», fa osservare un alto funzionario occidentale: «Se avesse scelto la repressione, il governo avrebbero dato l'idea che si tornava ai modi del vecchio regime. Non era davvero il caso». Lina Ben Mhenni scuote la testa: «La verità è che non è cambiato niente. Eravamo in una dittatura, siamo in una dittatura anche oggi». La giovane blogger, protagonista della rivoluzione e candidata persino al Nobel per la pace, parla senza remore al JFK di rue de Marseille, dove servono birra senza problemi: «La prova che non è cambiato niente? È l'uso della violenza sul dissenso, il lancio dei lacrimogeni sui dimostranti pacifici durante le manifestazioni. Sono tornati gli stessi picchiatori dei tempi di Ben Ali, abbiamo foto e video che lo dimostrano. E non ci sono differenze fra Ennahda e i salafiti, sono solo due facce della stessa oppressione». Poco lontano, sull'avenue Bourghiba, i caffè si svuotano con l'imbrunire. O meglio: gli uomini restano, aggrappati all'ennesima sigaretta, le donne sono già sparite. Durante il giorno l'hijab, il velo che copre solo i capelli, si vede più che in passato. Potrebbe essere conseguenza della maggior libertà, visto che ai tempi di Ben Ali gli entusiasmi islamici erano repressi duramente. A Manouba, comunque, gli studenti non vogliono nemmeno sentir parlare di tornare indietro sulla libertà di abbigliamento. Sumaya, che ha scelto di unire l'hijab ai jeans attillati, ha anche un'altra risposta per i salatiti: «La religione mi impone di coprire il capo. È una regola di Dio, e la seguo con orgoglio. Ma la divisione delle classi fra maschi e femmine non va bene. Non ci capiremmo più. E Dio ha detto: parlate tra voi».

Tahar Ben Jelloun - " Se la religione minaccia i fiori della primavera"


Tahar Ben Jelloun

Quella che è stata chiamata «la rivoluzione dei gelsomini» sta trasformandosi in un'erba infestante e pericolosa. I tunisini si sono rivoltati perché non sopportavano più l'umiliazione quotidiana di una famiglia regnante autoritaria e corrotta. L'immolazione con il fuoco di Mohamed Bouazizi è stata la scintilla che ha fatto dilagare il desiderio di rivolta e di cambiamento. All'epoca, nel dicembre del 2010, nessuno parlava di islamismo. Quando Ben Ali lasciò Tunisi sotto la pressione della piazza, il mondo applaudì i primi passi di una contestazione che stava trasformandosi in rivoluzione. Era nata la primavera araba e l'Egitto dilla poco avrebbe raccolto il testimone. Quello che nessuno aveva previsto è successo, in Tunisia o in Egitto: ad approfittare di questi sommovimenti sono stati gli islamisti, che non avevano promosso né preso parte alle manifestazioni dipiazzadove acentinaia erano rimasti uccisi oferiti. tun paradosso che si sta generalizzando, dal Marocco allo Yemen passando perla Libia e il resto del mondo arabo. La primavera araba annuncia così una lunga stagione islamista, che potrebbe durare anni. La Tunisia, contrariamente all'Egitto, non ha conosciuto movimenti islamisti di rilievo. C'era Ennahda, che Ben Ali aveva combattuto ricorrendo a metodi duri e violenti, pensando di sradicare il gene islamista di quella società che l'ex presidente Burghiba aveva avviato sui binari del laicismo e della modernità. E oggi ecco che Ennahda rinasce dalla sua assenza e militanti più estremisti si permettono di intervenire nella vita quotidiana dei tunisini. L'episodio del velo nelle università non è nuovo: tanto era vietato all'epoca di Ben Ali, tanto oggi è diventato un simbolo identitario. Le violenze all'Università della Manouba, per esempio, avvengono in un'atmosfera di repressione delle libertà. In questo momento si sta svolgendo un processo contro la televisione privata Nessma, che ha trasmesso il film Persepolis, dell'iraniana Marjane Satrapi. Il direttore di Nessma è stato incriminato per«offesa al culto religioso», perché in quel cartone animato si vede l'eroina parlare in sogno con Dio, raffigurato con le fattezze di un uomo dalla lunga barba bianca. Ovunque nella società gli islamisti cercano di imporre la loro visione del mondo e di censurare i mezzi di informazione che non rispettano la rigida linea morale dettata da una concezione autoritaria dell'islam. Delle ragazze senza ilvelo sono state aggredite in strada. Due giovani diplomati disoccupati, Ghazi el-Beji e Jabeur Mejri, sono stati condannati a sette anni e mezzo di prigione per offesa alla morale, diffamazione e turbamento dell'ordine pubblico. Hanno dichiarato su internetil loro ateismo e pubblicato delle caricature del profeta. El-Beji è riuscito a fuggire, Mejri è in prigione. Questo Paese mediterraneo che ha subito l'influenza dell'Italia nella cultura e nel mondo di vivere oggi si trova immerso nella nebbia dell'oscurantismo. Ma quello che dà speranza è che di fronte agli islamisti che aggrediscono, proibiscono e «moralizzano» c'è una società civile, guidata soprattutto da donne, che resiste a questo tipo di fascismo che inquina gli spiriti e riporta indietro le lancette del progresso, all'università, nei mezzi di informazione o semplicemente per le strade. L'impressione è che la «primavera araba» abbia abolito i dittatori per sostituirli con un ordine dello stesso tipo, ma che agita il vessillo della religione. 

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