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La Stampa Rassegna Stampa
23.04.2012 Siria: come bloccare Bashar al Assad ?
E che cosa succederà una volta che sarà caduto?

Testata: La Stampa
Data: 23 aprile 2012
Pagina: 31
Autore: Marta Dassù
Titolo: «Siria, il piano Annan è l'ultima chance»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 23/04/2012, a pag. 31, l'articolo di Marta Dassù dal titolo " Siria, il piano Annan è l'ultima chance ".


Marta Dassù                                                        Bashar al Assad

Che cosa intende Dassù quando scrive : "  I precedenti delle «Primavere Arabe» dimostrano che, per Gerusalemme, la caduta dei dittatori non sempre è uno sviluppo favorevole " ? La 'primavera araba' ha comportato, oltre alla caduta dei dittatori, anche l'arrivo dei Fratelli Musulmani. Uno sviluppo che non è favorevole per Israele, certo, ma nemmeno per tutti gli altri Stati.
Ecco il pezzo:

Caro direttore, a più di un anno dall’inizio della tragedia siriana anche chi dubita sempre delle stime internazionali deve prendere atto che in questo caso i morti sono migliaia, non centinaia - la realtà ha fatto il suo ingresso rumoroso nelle stanze del Consiglio di sicurezza. E la realtà, tradotta in formule diplomatiche con la Risoluzione presentata dalla Russia e poi approvata all’unanimità, è semplice e frustrante: la fine di Assad non è ancora scritta. Il capo della minoranza alawita può ancora contare sulla copertura di Mosca. Gli Stati Uniti, d’altra parte, non intendono ripetere uno scenario «alla Libia», che del resto non sarebbe credibile nelle condizioni assai diverse della Siria. Mentre la Francia è in panne elettorale e gli altri grandi giocatori europei, Italia inclusa, oggi puntano soprattutto ad arrestare la crisi umanitaria. La missione di 300 osservatori deve servire a fermare le violenze e la repressione; non esistono compromessi possibili su questo punto. La pazienza, ha detto giustamente Susan Rice, l’ambasciatrice americana all’Onu, è finita: per Damasco, è l’ultima chance. Prendere o lasciare. Ma proprio per questo è difficile immaginare che la missione internazionale prepari un cambio di regime. Al massimo - la speranza è questa - potrà preparare un cambio di governo.

Se le cose stanno per ora così, la mediazione di Kofi Annan è la «meno peggiore» fra le opzioni a disposizione. Il Piano in sei punti dell’ex Segretario generale delle Nazioni Unite garantisce in teoria la fine della repressione interna e l’avvio di un processo politico «Syrian-led», negoziato fra le parti siriane stesse ma «sorvegliato» dall’esterno. Il fatto è che esiste, in materia, una buona dose di ambiguità. Per la Russia, la cui posizione politica sta evolvendo (il ministro Terzi ha potuto constatarlo nella sua recente visita a Mosca) il futuro a cui guardare deve basarsi su un compromesso fra il potere alawita e l’opposizione sunnita: se costretta dai fatti, Mosca potrà anche sacrificare Assad ma non il regime siriano, che resta comunque un suo alleato strategico nel mondo medio-orientale. Per Mosca, che cerca di recuperare sulla Siria l’influenza diplomatica persa altrove, questa partita è anche - forse soprattutto - una partita simbolica. Per i Paesi del Golfo - Arabia Saudita e Qatar - la soluzione deve essere più radicale: la Siria dovrà cambiare, decurtando così l’Iran di uno strumento importante per la propria influenza regionale (tagliamo via un braccio a Teheran, ha scritto senza tanti complimenti un giornale del Golfo). Per Israele, conviene indebolire il regime di Assad, e quindi l’Iran, ma non per consegnare la Siria all’influenza radicale sunnita. I precedenti delle «Primavere Arabe» dimostrano che, per Gerusalemme, la caduta dei dittatori non sempre è uno sviluppo favorevole. Per la Turchia, che aveva inizialmente scommesso su una relazione privilegiata con Assad, cambiare cavallo è poi diventato indispensabile. Soprattutto, sia la Turchia che la Giordania vogliono evitare che la crisi siriana diventi una crisi regionale: i segnali, pessimi per entrambe, sono le migliaia di rifugiati che già premono ai confini, l’aumento ulteriore di instabilità in Iraq (per Ankara, il nodo curdo si complica) e la vulnerabilità del Libano.

Per la Francia, reduce dal primo turno delle presidenziali, la Siria è la battaglia del passato, non del presente. Per l’Italia è una sfida umanitaria e un interesse diretto sostanziale: il nostro contingente in Libano è comunque esposto di riflesso alle onde della crisi siriana. Per queste due ragioni, l’Italia ha prospettato, nel gruppo ristretto degli «Amici della Siria», un tavolo regionale sull’emergenza umanitaria. E ha insistito sulla necessità che l’opposizione siriana sia davvero inclusiva, verso le minoranze curde, cristiane e verso quella parte degli alawiti che sarebbe forse disposta a sacrificare il passato se si sentisse garantita in un futuro politico diverso. Nella concezione dell’Italia, questa è una delle condizioni decisive, insieme al mantenimento di una forte pressione su Assad, per evitare una guerra civile a lungo termine. Uno scenario terribile ma probabile, se la via di una soluzione politica negoziata fallisse.

La Risoluzione unitaria appena approvata all’Onu è un passo avanti, vista la competizione strategica che si sta scaricando sulla Siria. Ma lo resterà solo se il Piano Annan farà come l’Italia spera insieme al resto d’Europa - progressi rapidi. Solo se, in altri termini, servirà a far cessare le violenze drammatiche di questi mesi, a permettere gli aiuti umanitari, a consentire l’avvio di una transizione politica, a garantire tutte le diverse componenti dell’opposizione. In assenza di queste condizioni, per cui l’Italia si è battuta al tavolo dei «Friends of Syria», il tentativo dell’Onu potrebbe trasformarsi, dall’unico progresso possibile, in una futura sconfitta. Per il popolo siriano, anzitutto. E per una comunità internazionale che si è unita attorno alla «opzione meno peggiore»; ma che - se i risultati non saranno tangibili - tornerà a dividersi.

Il Piano Annan è non solo l’opzione meno peggiore. È anche l’ultima chance per evitare una guerra civile a lungo termine. L’alternativa al processo politico previsto da Annan non potrà che essere militare. L’opposizione dovrà difendersi, con appoggi più o meno espliciti di gran parte degli «Amici della Siria». Uno scenario comunque costoso sul piano umanitario e molto rischioso dal punto di vista degli effetti sui paesi confinanti. Le conseguenze di una guerra civile a lungo termine finirebbero per non risparmiare il Libano, dove l’Italia ha ancora schierati più di mille soldati e guida Unifil.

In effetti, e dopo un anno di repressione violenta, Assad non è così indebolito da rinunciare. E l’opposizione non dà garanzie sufficienti alle minoranze, non solo a quella curda.

Insomma, la riuscita del Piano Annan è problematica e richiede la collaborazione e buona fede di tutti i membri della comunità internazionale, del regime siriano ed anche dell’opposizione, sebbene le responsabilità delle violenze ricadano di gran lunga sul regime.

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