Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 20/04/2012, a pag. 20, l'articolo di Francesca Paci dal titolo "In Egitto i generali vogliono pilotare il voto".
Basem Kamel
Quando martedì sera la Commissione elettorale ha bocciato il ricorso dei tre maggiori candidati alle presidenziali egiziane estromettendoli definitivamente dal voto del 23 e 24 maggio, Basem Kamel preparava la relazione sulla primavera araba da presentare stamattina a Palazzo Madama durante la conferenza dei parlamentari progressisti «Rewrite the world». Come leggere l’esclusione dell’ex capo degli 007 di Mubarak Omar Suleiman, del Fratello Musulmano Khairat al Shater e del salafita ultraconservatore Hazem Abu Ismail Kamel, fondatore del partito socialdemocratico egiziano, attivista della campagna per el Baradei e soprattutto neoeletto membro del Parlamento, sorseggia una Coca-Cola davanti alla sala della Regina: «La vera sorpresa è stato Suleiman, ormai è chiaro che la sua candidatura era un bluff. La giunta militare l’ha spinto nellamischiaperpoiallontanarlo,voleva prevenire l’accusa di boicottare i concorrenti islamisti e lasciare campo libero al suo vero campione, Amr Moussa. Un proverbio egiziano dice che sei vuoi picchiare i figli dei vicini devi mandare i tuoi figli a giocare con loro e picchiarli tutti insieme».
Il risultato è un Paese confuso in cui, secondo il respinto Khairat al Shater, «la democrazia è in pericolo». Kamel condivide la preoccupazione,ma include i Fratelli Musulmani tra le forze da cui guardarsi. «Da un lato ci sono i militari, che non molleranno facilmente il potere temendo di venire processati con Mubarak, dall’altro loro, gli specialisti dell’ambiguità» nota mentre segue le ultime notizie su Twitter, il Cairo, l’Egitto, la Siria. E pazienza se, come già Washington, il premier italiano Monti ha aperto loro un credito politico: «E’ un errore. Quando sento i Fratelli Musulmani parlare con gli ambasciatori e i rappresentanti stranieri resto senza parole: professano la libertà delle donne, la tolleranza religiosa, la democrazia: sulla carta sembrano talmente liberali che di solito alla fine di questi incontri li provoco proponendogli di fonderci in un unico partito». Non era questo che sognava piazza Tahrir appena un anno fa. Kamel c’era e da allora ne segue l’umore altalenante: «Frequento i caffè del Cairo, parlo con la gente. La fiducia originaria nei Fratelli Musulmani e nell’esercito è svanita. All’inizio gli egiziani si erano fatti convincere da entrambi a confidare nella rivoluzione ma non nei rivoluzionari, ora capiscono che religiosi e militari hanno scippato loro la vittoria e sono pronti a tornare a Tahrir. Non credo che voterebbero più come a novembre. Molti non sanno neppure se votare, sempre che la giunta non cancelli le elezioni».
Il futuro dell’Egitto è un geroglifico. Ha ragione l’arabista Olivier Roy quando nel suo ultimo libro «The Islamists Are Coming: Who They Really Are» sostiene che il sisma politico mediorientale stia cambiando i nuovi islamisti più di quanto loro abbiano fatto con la politica? Kamel sorride, sa di sparigliare: «Questa analisi vale per i salafiti, non per la Fratellanza, fermamente ortodossa. I salafiti vorrebbero spostare l’età nuziale delle donne a 12 anni e bandire l’inglese dalle scuole ma hanno dei principi, stanno imparando la politica e sono sinceri. E’ come se ti minacciassero con il coltello che invece gli altri nascondono dietro le spalle». Difficile dire chi vincerà: «Noi liberali stiamo cercando di far coalizzare l’ex Fratello Musulmano Aboul Fattouh e il nazionalista Hamdeen Sabbahi, l’unica nostra chance è concentrare i voti su un solo candidato». Di certo, giura, l’Egitto non tornerà indietro.
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