Henryk Broder : Auschwitz è una 'Disneyland della morte' Che credito possono avere le sue teorie sull'antisemitismo in Germania ?
Testata: Il Foglio Data: 20 aprile 2012 Pagina: 3 Autore: Redazione del Foglio Titolo: «La colpa è dell’ebreo, perché ci rende colpevoli, perché c’è»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 20/04/2012, a pag. 3, l'articolo dal titolo "La colpa è dell’ebreo, perché ci rende colpevoli, perché c’è".
Henryk Broder
Il saggio di Broder tratta il senso di colpa dei tedeschi nei confronti del popolo ebraico e l'antisemitismo di oggi, che si traduce nell'odio per Israele. Lascia senza parole l'affermazione di Broder : "Non mi pare un’idea proprio brillante portare ogni capo di stato o di governo, non appena atterrato a Tel Aviv, a Yad Vashem. Chi si presenta sempre e solo come vittima deve aspettarsi che un giorno la compassione si trasformi in aggressione ". Israele non è nato come risarcimento dell'Europa per la Shoah, ma essa fa parte della storia del popolo ebraico. E' bene ricordare ciò che è successo in modo che non accada mai più. Israele non si presenta come vittima, ma rivendica il proprio diritto all'esistenza, cosa che gli odiatori non accettano. Che significato ha la frase 'chi si presenta come vittima deve aspettarsi che un giorno la compassione si trasformi in aggressione'? Le dichiarazioni di Broder su Israele e la Shoah sono da sempre ambigue. Come riportato da Angelo Pezzana in un suo articolo uscito su Romaebraica.it (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=40&id=43781), Broder è arrivato a sostenere che "Auschwitz è una oscena Disneyland della morte, un’oasi di benessere per il superamento del passato, dove la cosiddetta cultura della memoria consiste in rituali autoconsolatori per i posteri degli sterminatori". Ecco il pezzo:
Berlino. Auschwitz è diventato un marchio di fabbrica per tutto ciò che è il male e al tempo stesso uno spartiacque con il passato. L’emblema più eloquente di come si possa peccare in modo orribile e poi pentirsene con grande profitto” scrive Henryk M. Broder nel suo saggio “Vergesst Auschwitz!” (Dimenticate Auschwitz!, Knaur Vlg.) uscito agli inizi di marzo. Un appello, perché questo culto ha assunto con il passare del tempo la forma di un’ossessione, trasformandosi in un “Sündenstolz”, nell’orgoglio ferito del peccato tedesco, come lo definì una volta il filosofo Hermann Lübbe. E per spiegare questo concetto, non proprio facile, Border cita Günter Grass, che ha saputo fondere la colpa e la vergogna, cioè due sentimenti negativi, in uno positivo, il “Sündenstolz” appunto. Lo scrittore, tornato alla ribalta da poco più di una settimana per la sua poesia “Quello che deve essere detto”, un’aperta denuncia contro le intenzioni distruttive di Israele (“E’ l’affermato diritto al decisivo attacco preventivo che potrebbe cancellare il popolo iraniano...”) è per Broder, figlio di sopravvissuti polacchi della Shoah, da tempo l’emblema dell’antisionismo strisciante ma sempre più percepibile in Germania. “Mai più” è la formula di rito che ogni capo di stato o di governo tedesco recita diligentemente ogni volta che si presenta l’occasione, ma secondo Broder proprio questo è il problema: la responsabilità storica dei tedeschi si esaurisce con questo tener vivo il ricordo dell’Olocausto. Certo, gli israeliani ci hanno messo del loro “dalla fondazione di Israele in poi si sono presentati al mondo come eterno epilogo dell’Olocausto. Non mi pare un’idea proprio brillante portare ogni capo di stato o di governo, non appena atterrato a Tel Aviv, a Yad Vashem”. Chi si presenta sempre e solo come vittima deve aspettarsi che un giorno la compassione si trasformi in aggressione. Ma quello che a Broder interessa veramente è capire come l’imperativo categorico del “mai più” si sia lentamente trasformato in una clava da dare in testa agli israeliani; e perché i tedeschi si comportino come dei “tutori preoccupati che le loro vittime possano rivelarsi recidive”. E la questione palestinese da questo punto di vista offre un’opportunità irripetibile, per fare quello che genitori e nonni non hanno fatto, cioè resistenza all’orrore nazista, per non sentirsi “mai più” accusare di aver guardato altrove, allora la persecuzione degli ebrei, oggi l’oppressione dei palestinesi. Con il risultato che oggi “la tesi che gli israeliani fanno con i palestinesi quello che i nazisti hanno fatto agli ebrei è così diffusa e accettata, che Gaza e il ghetto di Varsavia sono diventati sinonimi. Ma, viene da chiedersi, si tratta di un paragone che vuole drammatizzare la situazione dei palestinesi o minimizzare quella del ghetto di Varsavia? Entrambe le opzioni sono valide, e in questo sta la perfidia”. Perfido perché, così Broder, il punto non è il diritto di Israele a uno stato o le ingiustizie perpetrate a danno dei palestinesi, il punto della questione è trovare un toccasana per i dolori che arreca la propria storia. In questo modo viene a crearsi un sistema di vasi comunicanti attraverso i quali non scorre acqua ma sensi di colpa: più è scorretto il comportamento degli israeliani nei confronti dei palestinesi, e meno i tedeschi si sentono in colpa nei confronti degli ebrei. “La colpa è dell’ebreo, perché ci rende colpevoli, perché c’è. Se fosse rimasto lì dov’era, o l’avessero gasato, oggi potrei dormire meglio. Non sto scherzando, è l’Es dentro di me che pensa così”. Così parla il personaggio dell’antisemita nella controversa pièce “I rifiuti, la città e la morte” di Fassbinder. Per questo testo Fassbinder fu accusato di antisemitismo, ma, scrive Broder, Fassbinder non era antisemita e conclude: “E’ l’Es dell’antisemita a pensare così, mentre l’Io trova scuse, perché il super Io gli ha insegnato che non si deve essere antisemita”.
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