Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 18/04/2012, a pag. 51, la risposta di Sergio Romano ad un lettore dal titolo "Il 'primo colpo' nucleare e le scelte del giovane Grass ".
Günter Grass Sergio Romano
Sergio Romano cerca di minimizzare il passato nazista di Günter Grass, scrivendo "Ho conosciuto in quegli anni molti casi in cui il patriottismo, anche se male inteso, ha avuto il sopravvento su ogni altra riflessione e considerazione. ". Patriottismo 'male inteso', con questa definizione viene liquidata l'adesione di Grass al nazismo. Si potrebbe scrivere lo stesso di tutti gli altri che furono d'accordo con le idee di Adolf Hitler? Eichmann, Himmler, Goebbels...tutti semplicemente casi di patrioti un po' troppo zelanti e confusi?
Chiunque, in democrazia, può dire la propria opinione e criticare Israele, ma accusarlo di voler attaccare per primo l'Iran e di rappresentare il vero pericolo per la pace in medio Oriente è sbagliato e in malafede. Grass è un odiatore di Israele e il suo passato da volontario nelle SS dimostra solo che il suo antisemitismo non è dell'ultima ora, ma è ben radicato nella sua persona, fin dalla giovinezza.
Ecco lettere e risposta di Sergio Romano:
Non è esatto che sia stato sostenuto che Günter Grass, in quanto fu da giovane volontario nelle SS, non avrebbe diritto di criticare lo Stato di Israele. È stato invece osservato che nella sua «poesia» si opera una trasformazione di Israele da aggredito (dalle reiterate minacce iraniane di cancellarlo dalla carta geografica) ad aggressore, ponendosi in impressionante continuità con la propaganda nazista che dipingeva gli Ebrei come un pericolo mortale per il popolo tedesco, così gettando le basi per il genocidio. Il «passato che non passa», insomma, vive nelle falsità affermate da Günter Grass, non nelle parole di coloro che gliele rinfacciano.
Liliana Segre, Milano
Credo che chiunque abbia un passato da fascista, da nazista o da stalinista abbia tutto il diritto di cambiare idea e di elaborare una propria personale separazione da quel suo passato. Lo stesso vale per gli Stati sempreché il ripensamento sia reale e approfondito (non ad esempio, girando «l'armadio della vergogna» verso il muro). Detto questo resta il fatto che chi, come Grass, si è arruolato volontario in una unità combattente delle SS, partecipando agli ultimi tre anni di guerra e rimanendo ferito, farebbe bene a non dare lezioni di etica agli ebrei; se non altro per un minimo di rispetto verso quel popolo che da quelle stesse SS ha subìto violenze, torture e persecuzione fino allo sterminio. Lasci ai molti altri che già lo fanno le critiche ad Israele e lui pensi ad altro. Non mancano le ingiustizie di cui occuparsi in questo mondo.
Fabio Della Pergola
f.dellapergola@gmail.com
Cari lettori,
Le vostre lettere dimostrano che sul diritto di Günter Grass a criticare Israele esistono inevitabilmente, anche nel mondo ebraico, posizioni diverse.
Liliana Segre ha certamente ragione quando osserva che nelle due strofe iniziali della poesia vi è un pericoloso errore. Per descrivere un eventuale attacco israeliano contro le installazioni nucleari iraniane Grass ha usato un'espressione (Erstschlag) che corrisponde all'inglese first strike e all'italiano primo colpo: parole con cui tradizionalmente viene definito l'attacco nucleare di un Paese che colpisce prima di essere colpito. Shimon Peres, presidente di Israele, ha sempre indirettamente ammesso l'esistenza di un arsenale nucleare israeliano dichiarando che il suo Paese non sarà mai il primo a farne uso. Anche chi è contrario a un'operazione preventiva contro i reattori iraniani (io sono fra questi) non ha ragione di pensare che il governo israeliano abbia preso in considerazione una tale eventualità.
Sul passato nazista di Grass, caro Della Pergola, ho opinioni diverse. Quando fu volontario nella Wehrmacht aveva quindici anni. Quando chiese di passare alle SS e fu inquadrato nella SS Panzer Division Frundsberg (era il 10 novembre 1944) ne aveva 17 e di lì a sei mesi, dopo essere stato ferito, sarebbe caduto nelle mani degli Alleati. Non mi è difficile immaginare i sentimenti confusi ma sinceri di un giovane che assiste alla distruzione del suo Paese e decide di combattere.
Ho conosciuto in quegli anni molti casi in cui il patriottismo, anche se male inteso, ha avuto il sopravvento su ogni altra riflessione e considerazione.
Dodici anni fa gli italiani hanno appreso da un breve libro di memorie (La fine di una stagione, il Mulino) che uno storico, Roberto Vivarelli, aveva reagito alla morte del padre, ucciso in Jugoslavia dai partigiani di Tito, arruolandosi, tredicenne, nelle Brigate nere. Negli anni seguenti sarebbe diventato uno dei più amati discepoli di Gaetano Salvemini e uno dei migliori storici dell'Italia liberale.
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