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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Egitto: nessuna soluzione in vista, ancora 17/04/2012

Egitto: nessuna soluzione in vista, ancora
di Zvi Mazel
(Traduzione di Giovanni Quer)


Zvi Mazel

La lotta per il potere in Egitto continua. Quando si pensava di vederci più chiaro, una serie di colpi di scena ha rimestato le carte in gioco. I Fratelli Musulmani, che sono arrivati al potere democraticamente dopo 80 anni di lotte e repressioni, hanno la sensazione di esser vicini al traguardo: credono che presto realizzeranno il sogno del loro fondatore Hassan el Banna, ossia fare dell'Egitto una nazione governata dalla shari'a dura e pura. Dall'altra parte sta l'esercito, che si batte per mantenere i propri privilegi e per assicurare l'impunità dei propri membri che potrebbero essere resi alla giustizia per le loro azioni durante il regime di Mubarak oppure per le repressioni durante il primo periodo della rivoluzione. Inizialmente si credeva a un compromesso ma i Fratelli Musulmani, che hanno il vento in poppa, non ne vogliono più sapere. Le prossime elezioni presidenziali saranno decisive.

Procediamo per ordine. A fine marzo, circa un migliaio di egiziani aveva consegnato le domande di candidatura per la presidenza. Molto folclore e una manciata di candidati seri. Tra quelli con più probabilità di vincere c'erano: Amr Mussa, ex Ministro degli Affari Esteri di Mubarak e più recentemente Segretario Generale della Lega Araba, Abdel Moneim el Futuh, membro della Fratellanza Musulmana da cui fu espulso per aver presentato la propria candidatura contro l'avviso del partito, e Hazem Abu Ismail, portabandiera dei Salafiti. Un ultimo ostacolo rimaneva da superare prima delle elezioni: la stesura della nuova costituzione e la sua approvazione per via referendaria. Questo compito doveva esser affidato ad una commissione di cento membri scelti dal parlamento. Tuttavia, forti della loro maggioranza assoluta in parlamento, gli islamisti si sono assicurati i tre quarti dei posti della commissione e si apprestavano a preparare una costituzione di un bel colore verde islamico. Con la loro maggioranza in parlamento e nella commissione, i Fratelli Musulmani, impegnatisi a non presentare nessun candidato alle presidenziali - di qui l'espulsione di Abdel Futuh - si sono dunque detti che potevano fare terna ed hanno presentato Khairat El Shater, numero due del partito, come loro candidato ufficiale. L'esercito, sempre più inquieto per questa corsa verso il potere, ha dunque "incoraggiato" Omar Suleiman a candidarsi, ex responsabile dei servizi segreti e vice presidente pro tempore al momento della caduta di Mubarak.

In questo periodo le proteste contro la composizione della commissione incaricata di redigere la costituzione si sono moltiplicate e i membri indipendenti hanno rassegnato le dimissioni; la corte suprema, interpellata sulla questione, ha semplicemente annullato la nomina della commissione ed ha ordinato al parlamento di scegliere nuovi membri. Una misura che ha inevitabilmente ritardato l'intero processo; ora è bene ricordare che la costituzione dovrà esser ratificata prima delle elezioni presidenziali, poiché secondo il testo costituzionale saranno definiti i poteri del presidente.

Quanto al parlamento, furioso per la candidatura di Suleiman, ha votato una legge che impedisce ai membri dell'ancien régime di candidarsi. Questa legge non ha alcun effetto, poiché non è stata ratificata dal Consiglio Supremo delle Forze Armate.

Spirato il termine per la presentazione delle candidature ecco un altro colpo: la commissione elettorale creata ad hoc secondo la costituzione transitoria votata nel 2011 rigetta sic et simpliciter dieci candidati. Di questi, tre erano di primo piano: a Omar Suleiman mancano 35 firme; la madre di Abu Ismail avrebbe ottenuto la cittadinanza americana invalidando la candidatura del figlio; quanto a Khairat el Shater, i lunghi anni passati nelle prigioni di Mubarak per diversi reati economici lo rendono ineleggibile per i prossimi cinque anni. I tre fanno tutti appello.

Nell'attesa delle decisione definitiva della commissione sugli appelli, restano in lizza, teoricamente, oltre ad altri candidati meno rilevanti anche Amr Mussa, Abdel Futuh e Ahmed Shafiq, ex comandante in capo dell'aeronautica e ex primo ministro.

E com'è tipico dell'Egitto stanno già circolando delle teorie di cospirazione. Si dice che l'esercito avrebbe inviato Suleiman a una missione suicida; la bocciatura della sua candidatura permetterebbe anche la bocciatura di Shater che non si potrà lamentare d'esser solo. L'operazione arrecherebbe invece beneficio a Shafiq, che sarebbe il vero candidato dell'esercito.

Inutile dire che i Salafiti e i Fratelli Musulmani sono furiosi. Si ergono a depositari della volontà del popolo, gli uni e gli altri fanno sommessamente riferimento  al possibile ricorso alla forza. I Fratelli Musulmani hanno un candidato di scorta, Mohammed Morsi, presidente del loro partito "Giustizia e Libertà", ma non ha né la levatura né il carisma di Khairat el Shater. Tantomeno ne hanno i Salafiti.

Manifestazioni e contro-manifestazioni sono previste per venerdì 20 aprile, benché non sia certo che la commissione avrà per allora raggiunto una conclusione sugli appelli dei candidati esclusi.

Il maresciallo Tantawi, gettando benzina sul fuoco, ha appena annunciato che il parlamento deve rispettare la decisione della corte e nominare cento nuove personalità non parlamentari che dovranno procedere rapidamente alla redazione della costituzione affinché sia possibile sottoporla a referendum prima del secondo turno di scrutinio presidenziale fissato per l'8 giugno. Mission impossible? Staremo a vedere.

A questo stadio niente può lasciar intendere che piega prenderanno le cose. Ciò che è certo è che questa famosa primavera araba che aveva fatto sognare non solo l'Egitto ma il mondo intero non annunciava l'alba della democrazia sulle rive del Nilo. Il suffragio universale e le libere elezioni non hanno cambiato nulla. Le due forze in campo, il cui scontro rischia di far annegare il Paese in un lago di sangue, sono l'esercito e gli islamisti. Era già così ai tempi di Mubarak, ma anche ai tempi di Sadat e di Nasser.

I soli a non essersene ancora resi conto sono gli occidentali...

Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta


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