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La Repubblica - Corriere della Sera Rassegna Stampa
16.04.2012 La poesia G. Grass rivela il suo odio per Israele e i suoi cittadini
commento di Mario Pirani. Sergio Romano cerca di minimizzare, ma non ci riesce

Testata:La Repubblica - Corriere della Sera
Autore: Mario Pirani - Sergio Romano
Titolo: «Linea di confine - Grass è antisemita ma se ne vergogna - Il libello politico di Grass, guerre della memoria tedesca»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 16/04/2012, a pag. 24, l'articolo di Mario Pirani dal titolo " Linea di confine - Grass è antisemita ma se ne vergogna ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 31, la risposta di Sergio Romano ad un lettore dal titolo " Il libello politico di Grass, guerre della memoria tedesca ", preceduta dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

La REPUBBLICA - Mario Pirani : " Linea di confine - Grass è antisemita ma se ne vergogna "


Mario Pirani

Oggi, una volta ancora, ci si trova confrontati col ricorrente ritorno dell'antisemitismo, veicolato dal "contributo lirico", come con sprezzo del ridicolo, Heribert Prantl, direttore della Sueddeutsche Zeitung, ha definito la cosiddetta poesia, Quello che deve essere detto, ultimo vanto di Giinter Grass, da taluno classificato il più grande scrittore tedesco, non si capisce in base a quale valutazione. Numerosi commenti hanno chiosato lo scritto ma vi è spazio per qualche altra considerazione. Prima di tutto è invalsa l'abitudine, quasi un automatismo, in tutti coloro che si producono in attacchi più o meno velenosi all'ebraismo, allo Stato di Israele, paragonandolo perfino al nazismo, al capitalismo giudaico, alla negazione del Genocidio e quant'altro, di accompagnare i loro strali dalla premessa che i loro autori non debbono per questo venir giudicati come "colpevoli" di antisemitismo. Sarebbe ora che la piantassero e tornassero al buon tempo antico quando cristiani, protestanti, reazionari di destra, razzisti di ogni risma si vantavano delle loro maledizioni contro il popolo deicida, sanguinari esecutori di riti, rapaci usurai, awelenatori dei popoli presso i quali si erano installati. Le premesse erano orrende ma chiare. Una minoranza di spiriti illuminati si schierava contro ma contava poco. Lo stereotipo, quando il nazismo conquistò il potere aveva già permeato da secoli il popolo tedesco, coni perfidi giudei già ben definiti dall'invettiva di Lutero: «Essi sono cani assetati di sangue di tutta la cristianità e assassini di cristiani per vo1 o ntàaccanita egli piace talmente farlo che sovente sono stati bruciati vivi sotto l'accusa di aver awelenato le acque e i pozzi, rapito bambini e averli smembrati e fatti a pezzi, con lo scopo di raffreddare la loro rabbia con del sangue cristiano» (Lutero, Von den Judenund Jren Luegen-Gli ebrei e le loro menzogne, 1543). Per alcuni secoli fu così, compreso l'antisemitismo ottocentesco di stampo pseudo scientifico. L'hitlerismo ne perfezionò la formula e ne mise in pratica gli assunti. Le dimensioni e il carattere del Genocidio, che svelarono gli abissi di crudeltà che comportava la distruzione sistematica del popolo ebreo misero fine all'antisemitismo come teoria e ancor più come pratica accettabile sia di destra che di sinistra -dove pure era allignato - esplodendo per motivi nazionali anche nel mondo arabo. A questo punto le varie componenti (destra, sinistra, islamici) misero da parte a parole ogni teoria antisemita e concentrarono il loro odio, su Israele, la Patria riconquistata contro un destino permanentemente diasporico. La nuova vulgata si declina così: «Noi siamo amici degli ebrei. Critichiamo solo gli atti del suo governo. Perchénonvolete permettercelo senza bollarci come antisemiti?». In realtà nessuno commette una simile confusione quando le critiche anche durissi me portano la firma di tanti intellettuali europei o di Yehoshua, Grossman, Oz. La cui buona fede è fuori discussione. Ma da qualche anno vi è un altro personaggio in assoluta buona fede. Come lo era Hitler. E Ahmadinejad, capo del governo dell'Iran, l'unico leaderpolitico cheè tornato a proclamare pubblicamente e ripetutamente la volontà di distruggere Israele, mentre ha dato vita a un programma in atto per disporre di un apparato nucleare in grado di minacciare un secondo Genocidio. Nello stesso tempo le sue m i l iz ie schiacciano nel sangue ogni resistenza democratica della gioventù iraniana. Di fronte a questa nuova realtà Günter Grass lancia la sua velenosa bomba-carta: «Chi minaccia la pace è Israele, non il "fanfarone"Ahmadinejad, l'Iran è il popolo minacciato, non Israele". Sono inutili altre citazioni. Non basta scrivere poesie per autoassolversi dall'antisemitismo di chi sogna la distruzione dell'"entità ebraica". Non basta per Günter Grass come non bastò per Cèline ed Ezra Pound.

CORRIERE della SERA - Sergio Romano : " Il libello politico di Grass, guerre della memoria tedesca "

La miglior risposta a Sergio Romano che, nel suo pezzo, cerca di minimizzare la gravità delle affermazioni di Grass è il pezzo di Mario Pirani pubblicato in questa pagina. Grass è un antisemita, lo è stato in gioventù con l'adesione volontaria alle Waffen-SS e lo è oggi con il suo odio per lo Stato ebraico.
Ecco lettera e risposta di Sergio Romano:


Sergio Romano      Günter Grass

Seguendo, sia sulla stampa che sul web, la recente vicenda di Günter Grass, ho avuto la netta sensazione di un «patto» dell'informazione finalizzato ad impedire il libero dibattito sull'argomento. Spero di essermi sbagliato, ma gradirei conoscere il suo parere sull'argomento.
Massimo Aneloni
maneloni@virgilio.it

Caro Aneloni,
Il dibattito c'è stato e continuerà probabilmente nelle prossime settimane. Ma i toni polemici hanno finito per oscurare alcuni aspetti della vicenda. Proverò a fare un elenco dei temi dibattuti e di quelli trascurati.
È stato detto che Grass ha peccato di parzialità, ha trascurato le responsabilità dell'Iran e sembra avere attribuito a Israele, addirittura, l'intenzione di un «first strike» (primo colpo) nucleare. È vero. Questo poema-pamphlet, come è stato definito, sarebbe stato più convincente se Grass non avesse ridotto le colpe dell'Iran agli esercizi oratori di un politico intemperante come Mahmud Ahmadinejad.
È stato detto che Grass, diciassettenne volontario nelle SS alla fine della Seconda guerra mondiale, non ha il diritto d'indirizzare critiche allo Stato israeliano. Non mi sembra convincente. Il mondo è pieno di persone che hanno cambiato idea nel corso della loro vita e di partiti che sono stati lieti di accoglierle nelle loro file. Per fare incetta di intellettuali Togliatti dimenticò che molti di essi erano stati fascisti, avevano accettato le cattedre del regime, avevano cantato le lodi di Mussolini e partecipato ai Littoriali della cultura.
Se le rivelazioni sul breve passato nazista di Grass non ci impediscono di pensare che Il tamburo di latta sia un buon romanzo, non vedo perché dovremmo cestinare la sua poesia ancora prima di averla letta e discussa. È stato detto che Grass soffre di narcisismo senile ed è antisemita. Ma questi sono processi alle intenzioni e ricordano le chiacchiere degli stadi e dei caffè piuttosto che le discussioni politiche e culturali.
Non è stata prestata sufficiente attenzione, invece, al fatto che la poesia di Grass potrebbe essere un altro segno del crescente disagio tedesco per il modo in cui il ricordo del genocidio ebraico continua a condizionare la vita pubblica del Paese. Il primo segno fu il «duello degli storici» (historikerstreit), iniziato nel giugno 1986 con un articolo di Ernst Nolte sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung intitolato «Il passato che non vuole passare». L'autore, molto conosciuto e discusso anche in Italia, vi sosteneva che i lager tedeschi erano stati per molti aspetti una risposta all'incombente minaccia bolscevica. Un altro filosofo e storico, Jürgen Habermas, replicò su Die Welt che il confronto tra lager e gulag avrebbe finito per assolvere la Germania dalle sue colpe antisemite. Al dibattito, che si protrasse per qualche settimana, parteciparono alcuni fra i maggiori intellettuali di quegli anni.
Un altro segno del disagio tedesco fu la conferenza che un romanziere, Martin Walser, pronunciò a Francoforte nel 1998 dopo avere ottenuto il «premio della pace», conferito dai librai tedeschi. Walser lamentò l'incessante atto d'accusa indirizzato all'intera nazione tedesca da una parte della sua intellighenzia.
Con quale scopo e intenzioni era stato costruito nel centro di Berlino un memoriale dell'olocausto grande quanto un campo di calcio? Perché creare l'impressione che l'intera storia tedesca dovesse culminare nell'ignominia di Auschwitz? Perché trasformare la Shoah in un processo permanente all'intera nazione? Anche la conferenza di Walser, come l'articolo di Nolte e, oggi, la poesia di Grass, hanno provocato reazioni ostili e, nelle dichiarazioni pubbliche, immediate prese di distanza.
Ma queste polemiche hanno già avuto l'effetto di aprire una discussione sui bombardamenti a tappeto delle città tedesche durante la guerra, sulle vittime civili e sulla sorte dei vertriebene, i profughi dei territori orientali e del Sudetenland cecoslovacco (12 milioni secondo alcuni, 15 secondo altri).
Lo stesso Grass ha dedicato un libro al naufragio della nave Wilhelm Gustloff, silurata da una sottomarino sovietico al largo di Danzica in cui sarebbero morte circa 9.000 persone (Il passo del gambero). Anche la Germania ha i suoi morti e il modo in cui li ricorda è spesso una risposta indiretta alla frequenza con cui le si chiede di espiare una colpa che i cittadini della Repubblica federale non hanno commesso.

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