Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 16/04/2012, a pag. 12, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo "Il negoziato avvantaggia Teheran (che si vanta pure)".
Fiamma Nirenstein. Ahmadinejad : " Il nostro programma nucleare è interamente pacifico, non abbiamo nulla da nascondere...".
L’ultima volta che l’Iran e i 5+1 si sono incontrati per trattare è stato nel gennaio del 2011, e i risultati sono noti: niente,nada,nothing.L’Iran ha proseguito la marcia verso il nucleare e ormai sono moltissime le fonti certe (fra tutte l’Agenzia per l’energia atomica dell’Onu) che questo nucleare ha un uso militare. E il programma di arricchimento è andato sempre più in fretta: un rapporto della Cia e parecchi esperti israeliani sostengono che mancano pochi mesi al completamento della bomba.
I nuovi colloqui che cominciano a Istanbul preceduti da una lunga cena della baronessa Ashton con il capo missione iraniano Said Jalili definita molto amichevole (messi da parte il terrorismo internazionale, il negazionismo, le persecuzioni di donne, omosessuali, dissidenti...) e accompagnata da fervidi accenti sull’atmosfera positiva dei colloqui. Ma non funzionerà, i colloqui non fermeranno l’arricchimento atomico dell’Iran e quindi neanche la sua bomba atomica, anche se Obama ha dichiarato che questa è «l’ultima chance », ovvero che dopo si passa dalle parole ai fatti per fermare gli ayatollah.
Come sappiamo che non funzionerà? Perché l’arte dell’inganno è scritta a lettere molto chiare nella storia delle trattative. Diamo dunque un’occhiata alla storia come la riporta Dore Gold, autore del best seller «The rise of nuclear Iran». Dal 2003 al 2005 il capo negoziatore iraniano era Hassan Rowhani. Quando nel 2005 egli fu sostituito, Rowhani disse con orgoglio: «Mentre negoziavamo con gli europei, installavamo i nostri equipaggiamenti nelle strutture a Ishfahan», sottolineando che agli americani, che cercavano spiegare che cosa stesse accadendo, gli europei rispondevano: «Ci fidiamo di loro ». La confessione di Rowhani fu seguita de quella del suo vice che alla tv iraniana disse «Grazie ai negoziati con l’Europa guadagnammo un altro anno durante il quale completammo le strutture di Ishfahan ». Più tardi la stessa cosa disse Abdollah Ramezanzadeh, portavoce di Khatami: «Avevamo una politica scoperta, quella di negoziazione e costru«ione di rapporti di fiducia, e una coperta, in cui continuavamo le attività ». Ramezanzadeh alluse apertamente anche ad «altre attività» rispetto al nucleare pacifico. Più tardi Javad Larjani, vice ministro degli esteri, spiegò che «la diplomazia deve essere usata per diminuire la pressione sull’Iran circa il suo programma nucleare... è uno strumento per ottenere i nostri scopi ». Ali Larjani, suo fratello, rimpiazzò Rowhani come capo negoziatore e a sua volta spiegò in tv che mentre si svolgevano ulteriori colloqui l’Iran otteneva nuovi successi nucleari.
Insomma, i vari negoziatori si sono vantati apertamente, poiché glielo permette la loro etica religiosa e nazionale, di avere ingannato gli interlocutori. E non si è trattato di vanagloria: è perfettamente vero che durante il periodo dei colloqui con gli europei, l’Iran cominciò il processo di conversione di 37 tonnellate di yellowcake in UF, propellente atomico sufficente, dicono gli esperti, per cinque bombe atomiche. I numeri dicono tutto: quando i colloqui iniziarono l’Iran aveva 164 centrifughe per l’arricchimento dell’uranio e quando Rowhani lasciò ne aveva 1.000. Adesso saranno in grado di arricchire l’uranio molto velocemente, qualsiasi tipo di processo possano promettere adesso di fermare. Questo perché dispongono della struttura sotterranea di Fordo, un’altra possibile fonte di false trattative, perché ispezionarla e anche fermarla adesso non significherebbe granché, solo un po’ di ritardo. «La linea di cesura- ha detto il portavoce americano solo due giorni or sono è la cessazione dell’arricchimento». Certo un obbiettivo rilevante, anche se lascerebbe in piedi un regime molto pericoloso per il mondo intero e per i suoi cittadini, ma è già è facile figurarsi gli europei che comunque spingono per accettare condizioni intermedie (gli iraniani hanno pronte insieme le minacce di Ahmadinejad e le morbidezze di una trattativa che include ispezioni, transfer di materiali, stop parziali che includono altre concessioni), e gli americani che prendono tempo fino a novembre, il momento delle elezioni americane. Ma questa data l’hanno in mente anche gli iraniani e certamente sanno cosa farsene.
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