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Il Foglio Rassegna Stampa
07.04.2012 Tariq Ramadan, il furbastro che inganna l'Occidente
Ritratto di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 07 aprile 2012
Pagina: 4
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Fratello Tariq»

Sul FOGLIO di oggi, 07/03/2012, a pag. IV, con il titolo "Fratello Tariq", Giulio Meotti traccia con accuratezza un ritratto dell'intellettuale islamista che continua a godere di ampia pubblicità benevola in Occidente. In contro tendenza, la Francia.
Ecco l'articolo:

Giulio Meotti
Tariq: "non sono ciò che non sono, senza essere colui che non è...."
            " mi capite  ?! "

Mentre Tariq Ramadan dal suo ufficio nel quartiere parigino di St. Denis continua a predicare l’“islam europeo”, l’intera classe dirigente francese ormai lo considera “persona non grata”. Prima il governo francese ha negato l’ingresso a quattro noti imam che erano stati invitati a una conferenza dei Fratelli musulmani. Poi le autorità si sono dette “dispiaciute” per la partecipazione alla stessa conferenza di Tariq Ramadan, accademico e intellettuale islamico fra i più noti al mondo. “Ci rammarichiamo – scrivono in un comunicato congiunto i ministri degli Interni e degli Esteri, Claude Guéant e Alain Juppé – che l’Uoif abbia deciso di invitare Tariq Ramadan, le cui posizioni e le cui opinioni sono contrarie allo spirito repubblicano, un fatto che non fa onore ai musulmani francesi”. Ramadan aveva definito l’attentatore di Tolosa, Mohammed Merah, “un povero ragazzo, colpevole e da condannare senza ombra di dubbio, anche se egli stesso fu vittima di un ordine sociale che già lo aveva condannato, con milioni di altri individui, all’emarginazione”. In pratica, Ramadan ha edulcorato il massacro degli ebrei negando ogni responsabilità dell’islam radicale. Un anno fa era stato il segretario socialista francese, Martine Aubry, e il dirigente del partito, Laurent Fabius, a ritirare la firma da una petizione in cui si chiedeva al governo di rinunciare al dibattito sul ruolo dell’islam in Francia. Il motivo? La presenza, fra i firmatari, proprio di Ramadan. La Aubry ha affermato di dispiacersi del fatto che la sua firma fosse finita accanto a quella di Ramadan. Un altro pezzo da novanta della politica francese, Bernard Kouchner, fondatore di Medici senza frontiere e già ministro degli Esteri, ha definito Ramadan “un uomo estremamente pericoloso”. Intanto i giornali francesi hanno fatto le pulci al centro islamico fondato dal padre di Ramadan e hanno chiamato in causa le posizioni del fratello, che ha sostenuto le ragioni della lapidazione per adulterio (ed è stato per questo sospeso dall’insegnamento in un istituto di Ginevra). L’eccidio di Tolosa ha riportato alla ribalta il più blasonato intellettuale islamico d’Europa. Sta generando scandalo l’ultimo libro di Ramadan, “The Arab Awakening”, recensito dal Financial Times e in cui l’intellettuale islamico ha parole di pietà per Osama bin Laden, “gettato in mare nel più totale disprezzo per la sua persona e per il rituale islamico” (lo scrive in barba al fatto che Barack Obama abbia assicurato che al leader qaidista è stato impartito un funerale musulmano). Il controverso professore svizzero, che si muove nell’alveo dei Fratelli musulmani (è nipote del venerato fondatore, Hassan al Banna), torna dunque sul banco degli imputati, come è successo ciclicamente dall’11 settembre in avanti. “In pubblico Ramadan parla di democrazia, nelle cassette distribuite nelle banlieue divulga idee integraliste”, dice l’intellettuale franco-tunisino Lafif Lakhdar. E’ il tema della dissimulazione, la taqiya, che ha consentito a Ramadan di essere celebrato come il “Martin Lutero islamico”. Se parla a un pubblico di miti apologeti, come il Festival della filosofia di Mantova, Ramadan discerne di “europeizzazione dell’islam” e si fa citatore di filosofi à la page. Se ha di fronte una platea di fieri musulmani, la capovolge in islamizzazione dell’Europa. Ma la chiave del successo di Ramadan sta soprattutto nell’arte di épater le bourgeois. Il professore sa blandire i benpensanti europei, la sua classe intellettuale, i suoi giornali, che ne hanno fatto la mascotte di un islam europeo integrato, illuminato, riformato. Il successo di Ramadan è legato ai suoi innumerevoli volti: seduttore e bugiardo, modernista e reazionario, femminista e misogino, salafita e glamour, insomma l’intellettuale di Time magazine convive col pio educatore delle madrasse europee. Per questo il Monde e Libération hanno rifiutato i suoi editoriali. Perché con Ramadan, come dimostra la mattanza di Tolosa, i conti non tornano mai. Ramadan dosa sempre con calcolata maestria gli interventi e le provocazioni, perfetto uomo dei due mondi che muta a seconda dell’occasione concetti e parole. I convegni filosofici lo adulano, i suoi libri sono best seller e lui è stato finora corteggiato e benvoluto dalle cancellerie e dalle cattedre d’Europa. Dopo le bombe del 7 luglio 2005, Tony Blair lo volle accanto a sé a Downing Street. “Vi fidate di quest’uomo?”, chiese però anche il giornale di sinistra Independent. Il Sun, il tabloid più letto d’Inghilterra, chiese polemico: “Perché ora, perché qui?”, mettendo la foto di Ramadan in prima pagina, con il titolo: “Bandito negli Stati Uniti per i suoi legami con il terrorismo. Bandito in Francia per i suoi legami con il terrorismo. Benvenuto in Inghilterra alcuni giorni dopo gli attacchi di al Qaida”. Il ministro dell’Educazione olandese, Ronald Plasterk, avrebbe definito Ramadan un “uomo molto interessante”, dandogli una cattedra. Successivamente il professore è stato interpellato da Bruxelles nell’ambito della Fondazione Anna Lindh per il Dialogo tra le civiltà. Ma non è lo stesso intellettuale islamico che ha l’abitudine di definire gli attentati terroristici semplici “interventi”, che li condanna ma li correda sempre con qualche giustificazione e infingimento retorico, che ha detto di non disconoscere la discendenza da un uomo che “si era opposto al colonialismo inglese e sionista” e la cui presenza a una riunione delle comunità religiose convocata dalla Commissione Ue a Bruxelles ha spinto i rabbini europei a boicottare l’happening ecumenico? Nel 2004 Ramadan doveva tenere un corso accademico al Joan B. Kroc Institute for international peace studies dell’Università cattolica di Notre Dame. La vicenda divenne il banco di prova per il rapporto tra libertà e sicurezza nazionale in un paese che si ritrovò nelle maglie di una lunga guerra contro il terrorismo islamico. Ramadan si vide ritirare il visto. La messa al bando è durata fino al 2010, quando è stata revocata dal dipartimento di stato con Hillary Clinton. Invocando una clausola del Patriot Act che impedisce a stranieri “in una posizione influente in qualsiasi paese” di appoggiare o sposare attività terroristiche, l’Amministrazione Bush aveva imputato all’intellettuale islamico di aver donato tra il 1998 e il 2002 1.300 dollari a una fondazione svizzera collegata a Hamas. Fu il giudice federale Paul Crotty di Manhattan a stabilire che il celebre islamologo svizzero non aveva diritto a entrare negli Stati Uniti, respingendo il ricorso contro il governo americano presentato dall’intellettuale. Il professore aveva donato considerevoli somme al Comité de Bienfaisance et de Secours aux Palestiniens e all’Association de Secours Palestinien, incluse nella lista delle organizzazioni terroristiche. Carismatico e telegenico, Tariq ha scritto venti libri, firmato mille editoriali e realizzato quasi duecento audiocassette destinate ai giovani musulmani delle banlieue francesi. La sua credibilità di “moderato” è stata spesso messa alla prova. Come quando ha accettato di lavorare per Press Tv, la voce del regime iraniano nel mondo. Una sorta di al Jazeera dei pasdaran. L’intellettuale ginevrino, noto alle cronache italiane per aver boicottato la Fiera del libro di Torino 2008, ha diretto il programma “Islam and Life”, simile a “Shariya wa al Hayat”, sharia e vita, la trasmissione condotta dal leader spirituale dei Fratelli musulmani, Yusuf Qaradawi, che va in onda ogni domenica sulla tv araba al Jazeera. Due anni fa il comune di Rotterdam, in Olanda, ha poi licenziato Ramadan dopo aver scoperto le sue dichiarazioni contro gli omosessuali e sulle donne. In una videocassetta, Ramadan definisce l’omosessualità “una malattia, un disordine, uno squilibrio”. Nel nastro Ramadan ne ha anche per le donne, che “devono tenere lo sguardo fisso a terra per strada”. E ancora: “Allah ha una regola importante: se cerchi di attirare l’attenzione attraverso l’uso del profumo, attraverso il tuo aspetto o i tuoi gesti, non sei nella direzione spirituale corretta”. Un anziano leader salafita non avrebbe saputo dirlo meglio. L’esperto di islam Jacques Jomier non ha dubbi: “Ramadan non modernizza l’islam, islamizza la modernità”. Una chiave per capire la dissimulazione di Ramadan è il suo “Maometto”, edito in Italia da Einaudi. Una biografia del Profeta in cui non si fa cenno al jihad militare e tantomeno all’uccisione degli ebrei a Medina, come nel ritratto di Maxime Rodinson. Il Maometto di Ramadan è un Profeta disincarnato, privo dello spessore guerriero e fondativo, un “Maometto del cuore”, dice lui, che annuncia un profetismo mite e sereno. Si tratta di una operazione ideologica in cui Ramadan dimostra di non essere un rigido estremista, ma un amabile tradizionalista e un agile conversatore che cita Nietzsche e concepisce la storia del Profeta “orfanello” come l’opportunità di acculturare i musulmani d’Europa, che chiama non acaso “dar al shaada”, terra di missione religiosa. Ramadan non cerca l’integrazione dei musulmani d’Europa. Secondo lui, se un islamico può sposare una cristiana o un’ebrea, “un’islamica non può sposare un uomo di un’altra religione”. Ramadan è uno dei predicatori che ha fatto di più per moltiplicare il numero di veli in Francia, in nome di una lettura fondamentalista e letteralista del Corano. Ramadan sa che un messaggio oppressivo non passerebbe presso le musulmane francesi. Così gioca la carta della persuasione. Non obbliga le giovani musulmane a portare il velo. Ripete instancabilmente alle donne sotto la sua influenza che una buona musulmana è una musulmana “pudica”. A causa di queste sue idee integraliste, il Consiglio francese del culto musulmano si è rifiutato di pubblicare la raccolta di fatwe dell’imam Yusuf al Qaradawi prefate da Ramadan. Nei suoi discorsi trovi identità valoriale, presa di coscienza e fiducia nel passato e gergo muscolare. Beniamino dei movimenti antagonisti, Ramadan ha ideato un nuovo format: il “ramadanismo”. E’ un miscuglio di lumi rivisitati e di altermondismo, retorica comunitarista e orgoglio religioso, “pudore” femminile e appello alla libertà religiosa, risveglio delle coscienze, pragmatismo e islam come “la soluzione”. Secondo lo studioso Olivier Guitta, Ramadan è solo un pericoloso opportunista. Per Lee Smith invece “il suo grido di battaglia contro l’occidente è quello di un jihad più silenzioso e mite, ma pur sempre jihad”. Nel 2003 Ramadan si è scagliato contro André Taguieff, Bernard Henri-Lévy, André Glucksmann e Alain Finkielkraut, da lui definiti “tutti ebrei e quindi difensori irriflessivi di Israele”. Ha dichiarato che questi “nuovi filosofi” hanno tradito la loro “nobile tradizione di liberalismo” e sono diventati dei difensori di Israele, nonché dei frequentatori delle “politiche comunitarie”. Detto in termini nudi e crudi, questi famosi intellettuali non erano più membri della Repubblica francese delle lettere, ma esclusivamente ebrei, che difendevano gli interessi di Israele e la politica di Ariel Sharon. A Caroline Fourest, che ha scritto un libro su di lui, Ramadan ha dato perfino dell’“agente di Israele”. In un confronto televisivo fu l’allora leader dell’Ump francese, Nicolas Sarkozy, a stendere al tappeto Ramadan: “Non si scrive con la razza, si scrive con la testa. Dire ebreo non è come dire parigino o ‘auvergnat’ (della regione Auvergne). C’è di mezzo la Shoah. Le sue frasi non sono un’uscita maldestra, sono una colpa. E per le colpe si chiede scusa”. Sostenitore delle piscine separate, Ramadan invita i musulmani a fuggire un destino di solitudine, a frequentare le moschee e portare in pubblico i simboli dell’homo islamicus (barba, velo, palandrana). Gli arabi li chiama “fratelli e sorelle”. Ma perché allora il musulmano Malek Boutih di Sos Racisme gli ha dato del “fascista”? “Diavolo sofisticato” per il filosofo Roger Scruton, nel 1993 Ramadan partecipò al boicottaggio dell’opera di Voltaire “Mahomet ou le fanatisme”. Da allora la sua presenza è sistematica alle manifestazioni contro la laicità, le vignette danesi, la presenza di scrittori israeliani, la messa al bando dei minareti svizzeri. Rivolto alla televisione egiziana, Ramadan afferma che la distruzione dello stato di Israele per il momento “non è possibile”, mentre a Mantova descrive l’idea di lapidare le adultere come “di difficile attuazione”. Mantenendo saldo il tabù su Israele, lo manifesta in quello stile condivisibile da una parte dell’opinione pubblica occidentale. Quando Ramadan fu invitato all’Università di Aosta, Luciano Caveri, allora presidente ulivista della regione, ne bloccò la visita: “Mio padre è stato ad Auschwitz, dovrei accogliere chi sostiene che Israele va distrutto?”. Caroline Fourest, che meglio di ogni altro conosce l’opera e la biografia di Ramadan, dice che lo studioso non è un “fondamentalista letteralista”, ma un “riformista fondamentalista” e un “riformista salafita”. Ramadan legge i dettami coranici nel loro contesto per potere meglio applicarli al contesto attuale. Combatte ogni riforma modernista dell’islam che mira ad attualizzare o abrogare alcuni versetti. Se si gratta la patina elegante e dissimulante con cui ammanta i propri scritti, di Tariq Ramadan non resterà altro che il martellante rigetto di tutto ciò che di meglio ha prodotto la nostra civiltà.

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