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Il Foglio Rassegna Stampa
03.04.2012 Il segreto del successo economico di Israele
nel libro 'Laboratorio Israele' di Dan Senor, Saul Singer

Testata: Il Foglio
Data: 03 aprile 2012
Pagina: 3
Autore: Redazione del Foglio
Titolo: «Laboratorio Israele»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 03/04/2012, a pag. 3, la recensione al libro Laboratorio Israele di Saul Singer e Dan Senor.


Laboratorio Israele (ed. Mondadori) Dan Senor, Saul Singer
Per la scheda di Libri Raccomandati a cura di Giorgia Greco sul libro 'Laboratorio Israele' cliccare sul link sottostante
http://www.informazionecorretta.com/main.php?sez=300&cat=rubrica&b=34508&ord=author

I cittadini israeliani vivono una media di ottant’anni, come nella placida e welferizzata Norvegia; nessun altro paese industrializzato oggi fa meglio di Israele, paese pur privo di risorse naturali e con una popolazione che è la metà di quella del Belgio; Israele è leader al mondo fra i paesi che quotano il maggior numero di compagnie al Nasdaq (un numero che supera quello di tutte le imprese del continente europeo messe assieme); lo stato ebraico ha la maggiore concentrazione pro capite al mondo di pubblicazioni scientifiche, musei e PhD universitari. Israele è l’unico paese al mondo entrato nel XXI secolo con un bilancio in crescita delle zone boschive del proprio paese. Gerusalemme è pioniera nell’high-tech e per differenziarla dalla culla a stelle e strisce, gli israeliani la chiamano “Silicon Wadi”. Come è possibile che un paese da sempre in guerra, fin dal giorno stesso della propria nascita nel 1948, sia anche un modello globale di economia, imprenditoria e genio tecnologico? La risposta è in questo libro di Senor e Singer, opinionisti del Wall Street Journal, consulenti del governo americano e saggisti di fama. Il libro, che ha avuto un grande successo internazionale, è un’affascinante cronaca e analisi della “genesi” della prosperità israeliana. E sul perché, in fondo, Israele costituisca un pegno odiato e invidiato in tutto il medio oriente. Basta pensare che il pil dell’intera umma araba, che conta circa 250 milioni di persone, non generato dall’esportazione di petrolio, si attesta a un livello inferiore perfino a quello della Finlandia, la cui popolazione non supera i cinque milioni. Il titolo della traduzione italiana non rende omaggio all’originale: “Start-Up Nation”. La nazione pioniera, creatrice, inventrice, ideatrice. Il libro è incastonato su tante storie. Come quella di Shai Agassi, il “visionario” imprenditore israeliano cresciuto nelle imprese informatiche californiane e che ha lasciato la Sap, gigante europeo del software, per creare un’infrastruttura di distribuzione dell’energia che consenta di fare con l’auto elettrica quello che avviene con i telefonini, con le società di telecomunicazioni che non vendono l’apparecchio, ma il servizio e la ricarica. L’attuale sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat, ha abbandonato la carriera militare intrapresa fra i paracadutisti per dedicarsi a iniziative di high-tech. Alla fine degli anni Ottanta ha creato un’impresa, la Brm, che fu fra le prime a mettere a punto programmi di “antivirus” per i computer. Era italiano Yoel de Malach, considerato uno dei pionieri della ricerca agricola nelle zone aride e desertiche e fra i cui successi si conta la coltivazione di piccoli pomodori in acqua salata. Storie di talenti, dunque. Perché come ha detto Warren Buffett quando ha investito 4,5 miliardi di dollari in un’azienda israeliana, “non è importante se un missile distruggerà uno stabilimento, lo si ricostruisce, quello che è importante è il talento dei lavoratori”. E’ il segreto che Senor e Singer cercano di svelare. La chiave del successo israeliano sta nell’esser cresciuto in situazioni pessime e disagianti, l’aver avuto a che fare con una situazione fissa ma sempre in movimento, il cavarsela in mezzo ai dilemmi, il “problem solver”, ovvero l’essere pionieri, ogni volta. L’esercito, con la sua leva lunghissima di tre anni, è stata una grande scuola di ingegno e sopravvivenza. Il simbolo di questo miracolo è Sde Boker, il kibbutz dove David Ben Gurion si ritirò a fare l’agricoltore dopo aver fondato Israele. Qui si capisce bene il suo paradosso: “Chi non crede nei miracoli non è realista”. Il Negev gli piaceva perché la fantasia lì poteva scatenarsi in ogni direzione, pulita come l’aria del deserto.

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