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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
26.03.2012 Tifosi del Beitar Gerusalemme manifestano in un centro commerciale
Francesco Battistini ci vede una 'caccia al palestinese'

Testata: Corriere della Sera
Data: 26 marzo 2012
Pagina: 1
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «'Caccia all'arabo' in un centro commerciale»

Riportiamo dal sito internet del CORRIERE della SERA l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " 'Caccia all'arabo' in un centro commerciale ".


Francesco Battistini, Beitar Gerusalemme

Stando a quanto riferisce Battistini nel suo articolo gli ultras del Beitar di Gerusalemme : " si sono dedicati per quasi un’ora alla caccia al palestinese. Aggredendo donne. Insultando dipendenti del supermercato. Rovesciando tavoli e sedie. Cercando d’acchiappare coltelli e bastoni. Cantando cori del genere «morte agli arabi!». " e sarebbero le riprese a dimostrarlo.
Cliccando sul link http://www.corriere.it/esteri/12_marzo_24/israele-beitar-tifosi-violenze-arabi-battistini_d3842f8c-75c5-11e1-88c1-0f83f37f268b.shtml è possibile vedere il video che corredava l'articolo di Battistini. Si vedono molti ragazzi saltare e urlare, ma, per tutta la durata, nessuna caccia al palestinese, nessuna aggressione a donne, tavoli e sedie non vengono rovesciate.
Di che cosa scrive Battistini? chiedeteglielo, cari lettori, la e-mail del Corriere è a fondo pagina.
Ecco il pezzo:

GERUSALEMME – Ci sarà più polizia, promettono. E meno tolleranza. La prossima partita del Beitar Gerusalemme, una delle più vecchie squadre di calcio israeliane, di sicuro la più problematica, è già un’emergenza. Perché quel che è accaduto lunedì scorso, dopo lo stadio e soprattutto poche ore dopo la strage alla scuola ebraica di Tolosa, è una cosa che ha scioccato una città abituata a vedere ben altro. Ci sono le immagini a raccontarlo, riprese dalle telecamere a circuito chiuso: centinaia d’ultras con le sciarpe giallonere che hanno invaso il centro commerciale di Malha, il più grande di Gerusalemme, e al piano dei ristoranti si sono dedicati per quasi un’ora alla caccia al palestinese. Aggredendo donne. Insultando dipendenti del supermercato. Rovesciando tavoli e sedie. Cercando d’acchiappare coltelli e bastoni. Cantando cori del genere «morte agli arabi!».

NESSUN ARRESTO - Chi c’era, s’è spaventato parecchio. Il centro commerciale è di fianco al Teddy Stadium, le intemperanze degli hooligans non sono una novità, ma stavolta è stato diverso: «E’ stato un tentativo di linciaggio di massa», ha spiegato Mohammed Yusuf al giornale Haaretz che ha denunciato la scorribanda. Yusuf gestisce una lavanderia ed è fra i pochi che hanno il coraggio di parlare: «Mai vista tanta gente scatenata. Un chiasso infernale». Tre donne arabe, coi loro bambini, sono state inseguite e prese a male parole, senza che qualcuno intervenisse a difenderle. Solo alcuni commercianti, ebrei, hanno reagito quando i teppisti han cercato di prendere lame e spranghe per passare dalle parole ai fatti. La sorveglianza interna ha potuto poco, dicono i responsabili, perché i tifosi erano troppi. La polizia è arrivata solo 40 minuti dopo la chiamata. Nonostante le riprese filmate, nessuno è stato arrestato. Motivo: nessuno se l’è sentita di sporgere denuncia. «Mai vista una cosa del genere», dice Gideon Avrahami, il direttore del centro commerciale, costretto a evacuare l’area e a chiudere in anticipo: «E’ stata un’ora di razzismo puro, scioccante e terribile. Il giorno dopo, ho fatto di persona le mie scuse ai nostri lavoratori arabi».

BANDIERA E VERGOGNA - Anche il Beitar - che i tifosi chiamano “il leone”, “la bandiera”, “la Menorah” (dal candelabro raffigurato nello stemma), che Haaretz definisce più semplicemente “la vergogna del Paese” – ha preso le distanze dall’ultima, ennesima gazzarra. Il club, che qualche anno fa era allenato dall’ex nazionale francese Luis Fernàndez e che ora fa giocare (con qualche problema per la pelle scura) anche un ex tesserato del Milan, il nigeriano Harmony Ikande, è da sempre il simbolo dell’estrema destra israeliana: per coprire i terribili cori xenofobi della curva, durante le partite, al Teddy Stadium si deve ricorrere a musica a tutto volume sparata dagli altoparlanti. Per non irritare gli ultras, la società nei suoi 70 anni di storia non ha mai ingaggiato un calciatore arabo. Perché, tifare Beitar, è qualcosa di più che esultare per qualche gol. Lo scorso giugno, fece scalpore un video pubblicato dal giornale Yedioth Ahronot: si vedevano i piccoli fan della squadra, 6 o 7 anni d’età, saltare e gridare “ammazziamo tutti gli arabi!” e subito dopo, intervistati, si sentivano i loro genitori che spiegavano non trattarsi di razzismo, ma di “vero orgoglio israeliano”. 

IL PRESIDENTE CONDANNATO - Non che la presidenza della squadra sia più presentabile dei suoi tifosi: il proprietario, Arcadi Gaydamak, moscovita con quattro passaporti, amicone di Putin, proprietario di giornali e omofobo dichiarato, condannato in Francia per traffico d’armi, è uomo di strani traffici internazionali che peraltro i francesi usarono negli anni ’90, per liberare spioni e soldati catturati fra la Bosnia e il Caucaso. Non bastandogli una squadra, Gaydamak ha fondato pure un partito, Giustizia Sociale, e quattro anni fa era in corsa per fare il sindaco di Gerusalemme. Pensava di vincere facile, con tanti sostenitori allo stadio. Ma fece un errore madornale, a un certo punto, andando a incontrare il Gran Muftì della città, eminenza araba. Non gliel’hanno perdonata: dalle urne, Gaydamak uscì col 3 per cento. Se ne tornò in Russia, per un po’. A rimuginare amaro su tanta ingratitudine.

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