Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 26/03/2012, a pag. 35, l'articolo di André Glucksmann dal titolo "Strage di Tolosa, il male esiste. Ora non sia giustificato il colpevole".
André Glucksmann, Sergio Romano
André Glucksmann denuncia una tendenza tipica dell'Occidente buonista di fronte agli attentati terroristici, quella di tentare una giustificazione del criminale. Di solito questa giustificazione viene ricercata nell'ambito famigliare e nella società dalla quale proviene il criminale.
E' successo anche con Mohamed Merah, l'assassino antisemita e odiatore di Israele di Tolosa.
I media europei, nel tentativo di fornire una giustificazione ai suoi crimini, l'hanno dipinto come emarginato, vittima della società laicista francese. Se un individuo viene respinto dalla società non c'è da stupirsi se poi diventa un terrorista assassino, questo è il discorso. Un discorso pericoloso, che solleva i terroristi dalle proprie responsabilità.
Anche Sergio Romano, su PANORAMA del 29/03/2012, a pag. 91, tenta una giustificazione dei crimini di Merah: "L'insolubile questione palestinese, la guerra libanese e la guerra di Gaza, la colonizzazione israeliana dei territori occupati, il nazionalismo arabo e l'integralismo islamico hanno scaricato sulla società francese tutte le tensioni e i conflitti del Levante e del Medio Oriente Dovremmo dunque giudicare la Francia per il modo in cui affronta questi problemi, non per il suo presunto antisemitismo.". Merah era un antisemita e odiatore di Israele. E' per questo motivo che ha compiuto la strage. Ha dichiarato di aver 'vendicato i bambini palestinesi morti a Gaza'. Questo ha guidato le sue mosse, un odio cieco e profondo per Israele e gli ebrei. Non ci sono giustificazioni di altra natura.
Ecco l'articolo di André Glucksmann:
F ulmine a ciel sereno o buco nell'acqua? Fino ad allora le elezioni presidenziali francesi si tenevano a porte chiuse, «fra noi». L'estrema sinistra comunista prendeva la Bastiglia con due secoli e mezzo di ritardo. L'estrema destra, figlia di Carlo Martello, sognava di respingere il nemico fuori di Francia: il saraceno, l'anglosassone o i malvagi fantasmi di Bruxelles. Fra partiti responsabili e sovrani, destinati alla magistratura suprema, le tradizionali liti destra-sinistra e sinistra-destra rafforzavano l'impressione di un Paese in assenza di gravità, tagliato fuori dal mondo esterno. Non una parola veniva pronunciata su quella che si conviene chiamare «politica estera», pericoli e sfide strategiche sparivano dalle memorie. Bruscamente, brutalmente, senza prevenire, gli omicidi perpetrati da Mohamed Merah fanno andare in frantumi lo splendido isolamento in cui si dilettavano candidati e commentatori.
Dopo la morte di Bin Laden, Al Qaeda passava per moribonda, la guerra in Afghanistan era destinata all'ultimo ciak (fine 2012 per i socialisti francesi, 2014 per la Nato), il terrorismo era ormai soltanto un'ossessione delle serie televisive americane e l'11 Settembre un passato superato. Era giunta l'ora del dopo violenza, quella dei conflitti «soft»; l'elezione del presidente della Repubblica doveva giocarsi sull'economia, sotto la sorveglianza di esperti diplomati e ponderati. Ma ecco che, accuratamente ostracizzato dagli àuguri ufficiali, il caos colpisce fra Tolosa e Montauban. Davanti all'inattesa intrusione del reale nella irrealtà dei discorsi conformisti, non ci si interroga più su un mondo ideale e migliore, ma trivialmente ci si chiede: a chi toccherà adesso? Cosa fa la polizia? Saprà trovare l'assassino prima che ricominci a uccidere? Si tratta di un individuo isolato, di una banda, di un'organizzazione?
Appena Mohamed Merah viene abbattuto, al termine di un lungo assedio, il dibattito si sposta e torna alle inquietudini franco-francesi. Le forze dell'ordine avrebbero potuto agire meglio e i servizi di intelligence reperire più rapidamente il colpevole, o addirittura bisognava temere che le banlieue entrassero in ebollizione in favore dell'assassino? Tali interrogativi, normali e abituali in una democrazia, imbastardiscono solo se ritenuti sufficienti e esaurienti. A poco a poco riaffiora il pregiudizio che i responsabili ufficiali siano responsabili di tutto: se la repressione avesse represso «in tempo», se le autorità poliziesche, municipali, pedagogiche, psicologiche, mediche non avessero trascurato il caso di un ragazzo alla deriva, se i giovani dei quartieri difficili beneficiassero di cure intensive e di una sorveglianza continua, certo, c'è da giurarlo con la mano sul cuore, avventure così nauseabonde sarebbero bloccate sul nascere! E ognuno brandisce il proprio rimedio-miracolo — giuridico, sociologico o coercitivo — capace di proteggere la Francia dall'orrore.
Impercettibilmente, la responsabilità si sposta, l'omicida non è più che un ragazzo smarrito, mentre si scopre che la Repubblica e le sue debolezze sono le fonti del dramma. Dalla messa in causa dell'assassino si passa alla messa sotto accusa della società, come troppi commentatori tendono a fare; ma il culmine della malafede e del ribaltamento di colpevolezza è raggiunto da un predicatore islamista, ritenuto «moderato», che gode di grande ascolto nelle periferie, nelle università come nelle cancellerie: «Un povero ragazzo, colpevole e da condannare, senza ombra di dubbio, anche se egli stesso fu vittima di un ordine sociale che già lo aveva condannato, con milioni di altri individui, all'emarginazione» (Tariq Ramadan, su tariqramadan.com).
Ed ecco fatto, il carnefice è una vittima, le vittime sono carnefici. Soprattutto, non mettetevi in testa che un individuo di 23 anni sia responsabile delle proprie azioni, l'omicida uccide solo perché prima è già stato ucciso spiritualmente, socialmente, psicologicamente; ucciso da una società razzista, non egualitaria, repressiva e così via. Che la Francia se la prenda con se stessa! Quando si uccidono i suoi soldati (due volte traditori perché di origine maghrebina), quando si assassinano a bruciapelo i suoi bambini (mille volte colpevoli perché ebrei), è colpa sua.
Rovesciamenti così dotti circolano dappertutto, social network compreso. È facile perorare l'innocenza accusando una situazione familiare problematica, una condizione sociale poco invidiabile, un'attualità non allegra, o accusando insulti sconvenienti sputati dagli uni e dagli altri, o magari anche sguardi ostili. Mohamed Merah non navigava nell'oro. Se fosse stato privilegiato dalla fortuna, la spiegazione si invertirebbe: i delinquenti di buona famiglia sono guastati da un'infanzia privilegiata come i delinquenti dei ceti popolari da un'infanzia precaria. Gli assassini integralisti islamici di Algeri (1992-97) avevano un diploma di maturità, Mohammed Atta e i suoi sbirri erano figli della borghesia cairota o saudita. Le dotte spiegazioni girano a vuoto e non chiariscono, anzi confondono. Le statistiche socio-economiche non servono che a rinvigorire discorsi fasulli. Certo, i folli di Allah non dispongono di alcuna esclusiva in materia di omicidi ideologici. Nel cuore dell'Africa come dell'Asia estrema e, appena dieci anni fa, dell'Europa, una qualsiasi passione xenofoba e razzista basta a spedire dei civili all'inferno. E ovunque si sussurrano pseudo-teorie secondo cui, se ogni abitante della Terra potesse mangiare brioche, la vita scorrerebbe come un lungo fiume tranquillo (sono altrettante ingiurie saccenti nei confronti di chi muore di fame. Non dimentichiamo che l'immensa maggioranza dei miserabili rifiuta la legge dei revolver e dei kalashnikov).
La coppia patologica del ciarlone diplomato e del criminale è stata descritta circa due secoli fa da Dostoevskij con un' acutezza degna di Molière. Gli imbecilli che de-responsabilizzano il «demone» e i suoi dogmi sanguinari adducendo a pretesto circostanze sociali attenuanti ripetono un logoro ritornello. Spero, senza crederlo, che la campagna per le elezioni presidenziali si asterrà dall'attribuire l'abominio di Tolosa all'insufficienza dei crediti destinati al rinnovamento urbano. L'idea che l'individuo sia responsabile, che la crudeltà non sia mai sradicata né sradicabile e che occorra combatterla in quanto tale dà fastidio agli animi angelici: per loro, tutto questo è così volgare, se non bassamente poliziesco. Fatto sta che la ruota della disumanità degli uomini gira instancabilmente. Il male esiste. A 7 anni, Myriam Monsonego l'ha incontrato.
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