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Mordechai Kedar
L'Islam dall'interno
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L'islam radicale in Africa 25/03/2012

L'islam radicale in Africa
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione dall'ebraico di Sally Zahav, a cura di Yehudit Weisz)

Prima che nascesse l’Islam, le tribù arabe si combattevano fra loro in guerre senza fine, durate molti secoli, causando infinite vite umane. Quando agli inizi del settimo secolo (era volgare) apparve l’Islam, lo si ritenne - in quanto nuova religione - capace di influenzare individui e gruppi, per essere poi in grado di sostituire quelle ideologie che opprimevano le popolazioni della Penisola arabica. La tragedia dell’Islam ha origine dall’aver fallito il raggiungimento di questo importante obiettivo; i popoli islamici e le tribù rimasero divisi e frammentati, continuando a combattersi, come se avessero dimenticato l’esplicito invito del cap. 3, verso 103 del Corano che recita: “Restate fedeli, tutti voi, alla religione di Allah e non separatevi l’uno dall’altro”. In tutto questo periodo storico l’Islam è stato usato come miccia per infiammare tribali guerre sante, con le parti coinvolte che si richiamavano tutte all'islam per far valere le proprie ragioni.

 Il colonialismo europeo in Africa lasciò dietro di sé stati disomogenei, di fatto aggregazioni di tribù l’una diversa dall’altra, creando così la basi per violenti conflitti nella maggior parte degli Stati africani, con molte migliaia di morti e feriti. Casi di genocidio, in Biafra alla fine degli anni ’60 e in Ruanda nel 1994, sono la diretta conseguenza dei conflitti fra tribù negli Stati africani. Quando in un conflitto vi sono musulmani e cristiani, oppure animisti (pagani), l’elemento religioso diventa causa di guerra, miccia scatenante che innesca un jihad, giustificando così gli stermini di massa.

Uganda

 Quando i conflitti fra tribù assumono aspetti religiosi, si creano situazioni in cui i dittatori musulmani esercitano la loro più totale brutalità: Idi Amin, dittatore dell’Uganda tra il 1971 e il 1979, ha eliminato mezzo milione di suoi concittadini a sangue freddo, arrivando a gettarne molti nel Lago Vittoria in pasto ai coccodrilli. In questi giorni sta circolando su Internet un film sul caso di Joseph Kuny, un pluri assassino di massa in Uganda, che ha arruolato con la forza dei bambini, li ha armati e spinti a trasformarsi in killer.

Sudan

Per circa cinquant’anni, nella seconda metà del 20°secolo, in Sudan ci fu una guerra terribile e devastante, tra arabi musulmani del nord e cristiani-animisti del sud. Questa guerra ha causato due milioni di morti, ed è terminata con un accordo che nel luglio del 2011 ha portato alla divisione del Sudan in due Stati, a nord, in cui vivono arabi musulmani, e a sud quello abitato da cristiani e animisti. Nel Darfur, regione occidentale del Sudan, fin dal 2003 abbiamo assistito a un genocidio, con l’esercito arabo musulmano del governo sudanese che ha metodicamente sterminato le tribù di africani musulmani, bruciato i loro villaggi, assassinato gli uomini e schiavizzato le loro donne dopo averle stuprate. Fino ad oggi, a causa di guerre e fame, mezzo milione di persone sono morte nel Darfur, mentre alcuni milioni sono stati costretti a fuggire in Libia, nel Ciad o in Nigeria. Il punto cruciale di questo conflitto sta nella credenza popolare diffusa tra gli arabi musulmani, che i musulmani non arabi non sono veri musulmani, ma persone di serie B che simulano soltanto di essere islamici, per cui la loro eliminazione è lecita. E’ importante notare che in arabo, una persona di pelle nera è chiamata “abd” cioè “schiavo”, infatti gli arabi furono i maggiori mercanti di schiavi, furono loro a organizzare le tratte degli schiavi verso l'America. Così venivano considerati le popolazioni africane. Ne risulta che nei paesi a sud del Sahara – Ciad, Niger, Mali e Mauritania – c’è una maggioranza musulmana, poiché la maggior parte dei loro abitanti si sono convertiti all’Islam nel corso della storia per non essere considerati schiavi. Per questo gli arabi non li considerano veri musulmani. Coinvolte nella guerra per il Darfur ci sono organizzazioni a carattere islamico quali “Jamaat Ansar al-Sunnah” o “Gruppo dei seguaci della Sunnah”, “Jamayat al-Kitab wal-Sunnah Alh’irih” o “ Associazione di carità del Corano e della Tradizione”, e il “Salafion” o “Il passato glorioso”. I testi che queste organizzazioni distribuiscono si richiamano a quelli di Osama Bin Laden e dell’Iman Al-Zawahiri, ex leaders di Al-Qaeda. E’ importante notare che negli anni ’90 del secolo scorso, Al-Qaeda aveva basi in Sudan. Nel 1988 i terroristi che avevano colpito l’Ambasciata americana a Nairobi, capitale del Kenia, e a Dar-es-Salam, capitale della Tanzania, causando più di duecento morti, provenivano da queste basi. Durante la presenza di Al-Qaeda in Sudan, gli oppositori, in genere politici e giornalisti, venivano uccisi mediante decapitazione. Per quanto concerne il Sudan, dobbiamo ricordare che per molto tempo negli anni ’90, un leader religioso musulmano, Hasan Al-Tourabi, aveva stretto un accordo con il principe Al-Bashir, che gli consentì di imporre le leggi musulmane della Shari’a in Sudan. L’alcool fu proibito, i cinema furono chiusi e fu imposto alle donne il burka. L’accettazione da parte del Sudan, della presenza di Al-Qaeda sul proprio territorio, deve essere vista in questo contesto.

Nigeria

 In Nigeria, 160 milioni di abitanti, la metà del paese è musulmana e l’altra metà cristiana. Un esercito irregolare radicale chiamato“Boko Haram” ovvero “La cultura occidentale è vietata”, è stato negli ultimi anni attivo per lungo tempo tra i musulmani. Il suo obiettivo era quello di eliminare qualsiasi influenza della cultura occidentale nella popolazione,e di imporre la Shari’a islamica come legge dello Stato. Nel nord del Paese, la zona musulmana della Nigeria, la Shari’a islamica è già stata applicata e perciò è proibito vendere alcolici, le donne sono punite con severe pene corporali, persino con la morte se sospette di un reato contro l’Islam. Ad oggi migliaia di cittadini sono stati uccisi in Nigeria per conflitti tra Musulmani e Cristiani a causa di differenze religiose.

Somalia

La Somalia è stata teatro di guerre tribali sanguinarie negli ultimi vent’anni, che hanno coinvolto elementi terroristici internazionali, come Al-Qaeda. La milizia islamica più importante è l’ “Unificazione dei Tribunali islamici”, sostenuta da milizie terroristiche come “Shabab al-Thura” ovvero “Gioventù rivoluzionaria”, che massacrano, incontrastate, gli oppositori. Le infrastrutture somale, civili ed economiche, sono in rovina e la maggior parte della popolazione soffre la fame, ma agli occhi delle milizie musulmane tutto ciò non ha importanza. Recentemente l’Etiopia cristiana è stata coinvolta in conflitti con le milizie musulmane, a causa dell’influenza degli Stati Uniti, anch'essi cristiani. La guerra in corso e la mancanza di un governo che funzioni in Somalia, ha riportato indietro di secoli il Corno d’Africa , ai tempi del terrore e della pirateria: migliaia di musulmani somali hanno trovato il loro sostentamento in atti di pirateria nel Mare arabico e nell’Oceano indiano; in particolare assaltando le petroliere. I pirati assaltano anche gli yachts dei turisti, perché i ricchi proprietari preferiscono pagare il riscatto sul posto, senza stare a discutere con i loro rapitori. La determinazione dei paesi europei ha quasi eliminato totalmente questo fenomeno; in mare aperto non ci sono tribunali né organizzazioni dei diritti umani: quando una nave è attaccata dai pirati, le guardie addette alla sicurezza sparano per uccidere, senza processi e senza preavvisi. Le società moderne sono riuscite a combattere questo fenomeno medioevale, soprattutto perché non hanno applicato in questa guerra alla pirateria i concetti moderni di “diritti umani” e “procedura civile”, consapevoli che in realtà i pirati si sono autoesclusi dal mondo moderno, e per questo non degni dei diritti che l’umanità oggi accorda persino ai criminali. E’ importante notare che in questa faccenda, la Marina iraniana ha cooperato con le marine nazionali europee. L’Iran, come l’Europa, vede nella pirateria un pericolo economico, e quindi in questo caso ha collaborato con gli “infedeli” europei.

Kenia

 In Kenia, circa il dieci per cento della popolazione è islamica, e anche qui esistono organizzazioni terroristiche internazionali. Il doppio attacco del 2002 all’Hotel Paradise ne è un doloroso esempio, tre turisti israeliani e tredici impiegati del luogo furono uccisi. Ci fu anche il tentativo di abbattere un jet della comopagnia  Arkia, che, se avesse avuto successo, si sarebbe concluso con un gran numero di vittime israeliane.

Maghreb

 Negli Stati del Nord Africa - Marocco, Algeria, Libia e Tunisia- è attiva “Al Qaeda nei Paesi del Maghreb”, che ogni tanto rapisce e uccide turisti e professionisti, ingegneri che arrivano come turisti o per motivi professionali. Parallelamente, gruppi islamici attaccano i volontari europei che operano in qualità di medici o infermieri, di solito in ospedali fondati dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità, perché i musulmani africani considerano i volontari come una specie di missionari, ma camuffati e nascosti, e quindi anche pericolosi.

Ghana

 In Ghana, circa un sesto della popolazione è musulmana, e anche qui ci sono dei propagandisti sauditi che sobillano la popolazione islamica contro le autorità statali. Nei paesi africani a popolazione islamica, succede anche questo: viene sistemato un televisore in mezzo alla strada, di solito di fronte a un ristorante per attirare i passanti, centinaia di persone si affollano a vedere un film o una partita di calcio. Dopodichè parte un attacco omicida con lo scopo di avvertire la gente di non guardare quella cosa immorale chiamata televisione. Questo succede anche in Somalia e in Nigeria. Un altro aspetto delle società africane musulmane che degenera nel crimine è la questione della stregoneria. Molte tribù africane credono nel potere della magia, negli spiriti, in demoni e fantasmi, e i rituali che includono atti di esorcismo da parte degli stregoni, esercitano una forte attrattiva. Secondo l’Islam lo stregone non ha il diritto di vivere, così ogni volta che dei musulmani sono presenti a questi rituali di stregoneria, scatta la reazione violenta contro lo stregone e i suoi fedeli.

La radicalizzazione islamica che permea i paesi africani da una ventina di anni, è la conseguenza diretta della predicazione arrivata dall’Arabia Saudita attraverso tre canali: 1) i dirigenti locali studiano nelle madrasse saudite e poi ritornano nel loro paese di origine per trasmettere l’Islam wahhabita (estremista) alla popolazione; 2) leaders sauditi si trasferiscono nei paesi africani e convincono la popolazione ad adottare la corrente radicale wahabita dell’Islam; 3) moschee, librerie, stazioni radiofoniche, siti internet, organizzazioni di sostegno e madrasse che l’Arabia Saudita fonda e sottoscrive, servono da centri di diffusione dell’Islam wahhabita. La condizione economica, prevalente nella maggior parte dei paesi africani, trasforma le popolazioni in facile preda per la “dawa”(propaganda) che viene finanziata dai petrodollari dell’Arabia Saudita e degli Stati del Golfo. Le moschee, costruite con denaro saudita, la diffondono  da altoparlanti in luoghi pubblici, creando tensioni religiose per il fatto che i musulmani stanno prendendo il controllo di tutto il paese. Il materiale islamico stampato e registrato che viene distribuito gratuitamente alla gente nelle strade, crea tra i non musulmani la sensazione di essere vittime della propaganda musulmana, che di solito è estranea allo spirito e al carattere della cultura pluralistica dell’Africa.

Un ulteriore problema caratteristico dell’Africa, è la presenza diffusa dell’islam Sufi, basato su concetti spirituali e mistici, non politici o jihadisti. L’islam Sufi è pacifico e non si occupa di solito di problemi legati all'attualità, si adatta all’atmosfera spirituale che esiste in varie parti dell’Africa. In Sudan c’è il movimento Mahdi, anche questo con caratteristiche spirituali e mistiche. L’Islam wahabita considera infedeli i membri delle sette sufi, e talvolta la tensione tra aderenti all’islam wahabita e i fedeli dell’islam sufi sale a livello di scontro tra la violenza wahabita importata dall’Arabia Saudita e i pacifici e spirituali Sufi, le cui origini sono più legate al territorio.

Gli eventi dell’anno scorso, la cosidetta “primavera araba”, hanno aggiunto benzina sul fuoco islamista in Africa: la battaglia in Libia tra Gheddafi e i suoi oppositori ha assunto in più una particolarità tutta africana, a causa dei mercenari arrivati da Ciad, Niger, e Sudan a dargli sostegno. Molti di loro furono catturati, e il colore della loro pelle tradiva il fatto che non erano libici, ma stranieri, e non musulmani, ma piuttosto venuti in Libia per uccidere musulmani. Fu allora chiaro che nelle controversie interne alla Libia c'era anche un elemento etnico: in opposizione a Gheddafi c’erano anche le tribù berbere, che però sono cittadini libici. Questo coinvolgimento di africani in un coinflitto tra arabi musulmani non serve a creare un clima disteso tra questi ultimi e chi musulmano non è.

Marocco

Anche in Marocco c’è anche grande tensione tra leaders arabi al governo e i berberi, loro sudditi. I berberi sono sospettati di essere sleali verso lo Stato e l’islam, che è stato loro imposto con la forza; per questi motivi la loro posizione all’interno dello Stato è piuttosto problematica. Un fenomeno analogo esiste in Algeria, ed è motivo di tensioni tra arabi del nord, tra coloro che vivono nelle città e nel deserto, e i beduini e i berberi che vivono nelle periferie.

Egitto

 L’Egitto, di recente,  si è trobvato coinvolto nella crisi: milioni di africani sono fuggiti in Egitto, da guerre e fame in Sudan, Eritrea, Somalia e altri paesi della regione. Il deterioramento della situazione economica in Egitto, quale risultato degli eventi del 2011, spinge molti  verso comportamenti criminali, altri cercano di emigrare in Israele, attraverso il Sinai, dove i beduini li sfruttano vergognosamente, estorcono loro denaro, usandoli persino nel traffico clandestino di organi.

 Africa Orientale

 La crisi economica in Africa Orientale incoraggia i governi di questi Stati a investire in iniziative economiche - agricoltura, turismo e industrie - campi in cui l' acqua è indispensabile, per cui devono utilizzare l’acqua piovana. Queste precipitazioni in passato avevano contribuito alle sorgenti del Nilo, ma oggi sono circoscritte soprattutto negli Stati del Corno d’Africa. Sta quindi diminuendo il flusso d’acqua del Nilo, di conseguenza in Sudan (sia a nord che a sud) e in Egitto, che sono a valle del fiume, arriva acqua in quantità ridotta; anche la qualità è inferiore dal momento che lungo tutto il fiume non esistono infrastrutture atte a trattare le acque di scolo. Ciò causa tensione tra egiziani e sudanesi, anche se si stanno facendo grandi sforzi per migliorare la situazione idrica nel Corno d’Africa. Questa situazione non contribuisce a migliorare i rapporti tra arabi musulmani in Egitto e Sudan da una parte, e gli Stati dell’Africa Orientale dall’altra, con le popolazioni africane, in parte musulmane, che difendono i loro diritti a sfruttare la propria acqua. Il fatto che in Egitto i Fratelli Musulmani e i Salafiti abbiano conquistato due terzi dei seggi in Parlamento, rappresenta una minaccia per gli altri Stati africani, dove si teme il rafforzamento delle tendenze islamiste, e l’aumentato coinvolgimento di islamisti egiziani in ciò che avviene all’interno dei loro confini.

Conclusioni

La popolazione africana è coinvolta in una serie di controversie a sfondo tribale, in cui un ruolo importante è svolto dalla componente islamista contrapposta a quella etnica, per cui spesso la situazione diventa critica. Il denaro dell’Arabia Saudita, la propaganda wahabita, la presenza di organizzazioni terroristiche e una diffusa distribuzione di armi (alcune delle quali sono scomparse dai magazzini dell’esercito libico dopo la caduta di Gheddafi), rendono difficili le relazioni tra i vari gruppi di popolazioni africane, così come sono anche negative le tendenze allo sviluppo economico.

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
Link:
http://eightstatesolution.com/
http://mordechaikedar.com/


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