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La Stampa Rassegna Stampa
23.03.2012 Usa: Patriot act per prevenire gli attentati terroristici
e in Europa ? si aspetta che la strage si compia. Cronaca di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 23 marzo 2012
Pagina: 15
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Usa, bastano pochi sospetti perché l’Fbi entri in azione»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 23/03/2012, a pag. 15, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Usa, bastano pochi sospetti perché l’Fbi entri in azione".


Maurizio Molinari,                                      George Bush

Il pezzo di Maurizio Molinari fa capire molto bene come gli Usa combattono, prevenendo, il terrorismo. L'Europa è invece mal messa, se il Ministro degli Interni francese Claude Guéant la pensa così "Claude Guéant, titolare degli Interni, ribatte, in maniera analoga all’Unione americana delle libertà civili, che sulla base dei codici «non si può arrestare qualcuno solo perché esprime delle opinioni» anche se violente."
Non si muove in modo diverso anche la magistratura italiana. In Europa si aspetta che la strage si compia, per poi muoversi. Semplicemene pazzesco.

Lo scontro a Parigi fra il ministro degli Esteri e quello degli Interni sull’inefficienza dei servizi di intelligence nel prevenire gli atti terroristici di Mohammed Merah ripropone in Europa il conflitto fra la tutela della libertà di opinione e le garanzie per la sicurezza collettiva con cui l’America si cimenta dall’indomani dell’11 settembre 2001, quando gli aerei dirottati da Al Qaeda causarono oltre tremila vittime.

Quando Alain Juppé, ministro degli Esteri, rimprovera l’intelligence di non aver «fermato prima il terrorista», invoca interventi preventivi contro i jihadisti simili a quelli consentiti in America dal «Patriot Act» approvato dal Congresso di Washington all’inizio del 2002. Ma Claude Guéant, titolare degli Interni, ribatte, in maniera analoga all’Unione americana delle libertà civili, che sulla base dei codici «non si può arrestare qualcuno solo perché esprime delle opinioni» anche se violente.

Si tratta di un conflitto giuridico che si gioca negli Stati Uniti sul rispetto del Primo Emendamento della Costituzione, adottato nel 1791, che tutela «libertà di fede, espressione, stampa, assemblea e petizione al governo». Il «Patriot Act», redatto dall’amministrazione Bush quando il ministro della Giustizia era John Ashcroft, prevede al capitolo II sulle «procedure di sorveglianza» e al capitolo IX sull’«intelligence rafforzata» la possibilità di condurre indagini prima che il reato venga commesso sulla base degli elementi a carico del sospetto, che possono essere anche sue espressioni di sostegno a idee aggressive.

Sulla base di tali norme, negli ultimi dieci anni Fbi e polizie locali hanno eseguito numerosi arresti, innescando molteplici azioni legali difensive fondate sul Primo Emendamento. Queste nel giugno 2010 sono arrivate al giudizio della Corte Suprema di Washington grazie a Ralph Fertig, presidente dell’«Humanitarian Law Project». La decisione della Corte Suprema, con 6 voti contro 3, è stata quella di definire il confine fra tutela della libertà di espressione e protezione della sicurezza collettiva nel «sostegno materiale» ai gruppi terroristi. Ovvero, un individuo o un’associazione sono liberi di esprimere qualsiasi opinione, anche molto violenta, a condizione che non porti a dare «aiuti concreti» per nuocere alla sicurezza. «L’interesse del governo è prevenire il terrorismo e dunque è necessario proibire ogni sostegno materiale ad attività violente» si legge nel dispositivo della sentenza, scritta dal presidente della Corte Suprema, John Roberts.

È proprio tale interpretazione della Costituzione che legittima l’operato degli agenti dell’Fbi che, una volta infiltrati nei gruppi jihadisti, arrestano i sospetti quando il «sostegno materiale» diventa a loro avviso inoppugnabile. L’attività di indagine dunque non punta a punire l’espressione di opinioni pro-Jihad, anche quando la formulazione è esplicita, bensì a far scattare gli arresti appena un sospetto commette un «atto materiale» tale da far concludere che dalle opinioni sta passando ai fatti. È questo approccio che ha consentito nel settembre 2009 di sventare il piano dell’afghano-americano Najibullah Zazi di attentati multipli contro la metro di Manhattan.

L’Fbi si giova di tale interpretazione della legge per far cadere in trappola i jihadisti con ogni sorta di espedienti: in Oregon è in corso il processo a un sostenitore somalo di Al Qaeda che ha chiesto, e ottenuto, da agenti infiltrati un falso ordigno al fine di commettere un attentato contro l’Albero di Natale nel dicembre 2010 così come nel giugno 2011 i maghrebini Ahmed Ferhani e Mohammad Mehdi vengono arrestati a New York dopo aver mostrato a dei collaboratori dell’Fbi armi e sostanze tese a colpire obiettivi ebraici.

In sostanza, il «Patriot Act» consente agli inquirenti di monitorare le attività dei sospetti in assenza di reati già commessi e l’Fbi può poi operare arresti in presenza di «atti materiali» che avvalorano l’esistenza di un piano terroristico, consentendo in questa maniera alla Corte Suprema di affermare che il Primo Emendamento è stato salvaguardato.

Ironia della sorte vuole che tale sistema di prevenzione si basa sull’esaltazione della libertà di espressione dei jihadisti perché più sono liberi di dire ad alta voce ciò che intendono fare, più aiutano l’Fbi a individuare le piste da seguire.

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