Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 22/03/2012, a pag. 49, l'articolo di Francesca Caferri dal titolo "Una donna alle Olimpiadi, la rivoluzione dell'Arabia Saudita ".
Londra 2012
Francesca Caferri presenta la notizia della donna saudita che parteciperà alle Olimpiadi come un qualcosa di positivo, un passo avanti per la presunta rivoluzione silenziosa delle donne in Arabia Saudita.
Peccato che poi si scopra il vero motivo della concessione: " Da mesi infatti l'Arabia Saudita, insieme al Qatar e al Brunei, è nel mirino delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani, che hanno chiesto al Comitato Olimpico Internazionale di escluderla dai Giochi proprio per l'ostinato rifiuto di garantire alle atlete la possibilità di competere.". L'Arabia Saudita è disposta a mandare un'atleta donna solo per non restare esclusa dalle Olimpiadi e non in nome dell'uguaglianza dei diritti fra uomini e donne.
Nessun passo avanti, quindi. Le donne saudite continueranno ad essere discriminate, mentre l'Occidente è distratto dalla singola atleta spedita alle Olimpiadi per garantire la partecipazione del regime.
Ecco il pezzo:
La rivoluzione silenziosa delle donne musulmane si prepara a un nuovo passo avanti: ancora una volta protagonista della svolta è l'Arabia Saudita, paese guida della regione e nazione simbolo sul tema dei diritti femminili nell'area, essendo quella dove le donne subiscono le maggiori discriminazioni. Dopo aver concesso alle sue cittadine diritto di voto e la possibilità di sedere a pieno titolo nella Shura, l'assemblea che dà consigli al re, Riad si prepara a mandare per la prima volta un'atleta di sesso femminile alle Olimpiadi di Londra l'estate prossima.
La mossa è stata annunciata due giorni fa dal quotidiano panarabo Hayat: pur non essendo stata ancora confermata da fonti ufficiali, ha subito provocato un terremoto. Da mesi infatti l'Arabia Saudita, insieme al Qatar e al Brunei, è nel mirino delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani, che hanno chiesto al Comitato Olimpico Internazionale di escluderla dai Giochi proprio per l'ostinato rifiuto di garantire alle atlete la possibilità di competere. Di fronte al timore di perdere le Olimpiadi, sarebbe stato il principe ereditario in persona, Nayef Bin Abdul Aziz, fratello di re Abdullah, a dare il via libera alle donne, purchè gli sport prescelti «rispettino gli standard della modestia femminilee non contraddicano le leggi islamiche». Non è ancora chiaro quali discipline siano incluse nella definizione, ma la candidata più accreditata a rappresentare il Paese dovrebbe essere Dalma Rushdi Malhas, una giovane cavallerizza già medaglia di bronzo nell'equitazione alle Olimpiadi giovanili.
In attesa della conferma ufficiale da parte di Riad a parlare è stato ieri il Cio, che ha ammesso di aver incontrato la scorsa settimana rappresentanti della Federazione saudita, e di essere «fiducioso che il Paese stia lavorando per includere atlete e funzionarie nella delegazione che sarà mandata a Londra». Non altrettanto soddisfatta è stata la reazione di Human Rights Watch, che qualche giorno fa ha pubblicato un rapporto durissimo sulla condizione delle donne che vogliono fare sport in Arabia Saudita: "Passi del diavolo" racconta di palestre chiuse, raid per terrorizzare le sportive, mancanza di qualsivoglia struttura nelle scuole femminili del Regno. Christop Whilcke, uno degli autori, aveva sperato che le Olimpiadi fossero un'occasione per cambiare tutto questo: «Una partecipazione simbolicaè benvenuta, ma avremmo voluto che il Cio spingesse per un cambiamento più strutturale», ha detto ieri.
Eppure la piccola apertura non è da sottovalutare: poche ore dopo la diffusione della notizia anche il Brunei ha fatto sapere di essere pronto a fare il grande passo.
E la presenza di una donna a Londra accanto alla bandiera verde del Regno sarebbe di grande incoraggiamento per le saudite, che negli ultimi mesi hanno ottenuto, oltre al diritto di voto e di sedere nella Shura, quello di lavorare nei negozi di cosmetici e biancheria intima, ma stanno ancora combattendo la loro battaglia più significativa: quella per guidare l'automobile nell'unico paese al mondo in cui non è consentito loro di sedere al volante.
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