Le priorità contorte del Vaticano
di Giulio Meotti
(Traduzione dall'inglese di Yehudit Weisz)
pubblicato su: http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4203818,00.html
Invece di concentrarsi sul declino della cristianità araba, la Chiesa Cattolica sceglie di demonizzare Israele.
Giulio Meotti Vaticano
In una speciale intervista rilasciata a "Die Tagespost" la settimana scorsa, il Patriarca Latino di Gerusalemme Fouad Twal, nominato da Papa Benedetto rappresentante del Vaticano nello Stato Ebraico, ha dichiarato che “ l’esistenza di Israele in quanto tale non ha nulla a che fare con la Bibbia”. Poi ha paragonato la condizione dei Cristiani nella Gerusalemme di oggi alla passione di Gesù. “ Noi Cristiani mai dimentichiamo che anche nostro Signore ha sofferto ed è stato deriso a Gerusalemme”.
La posizione di Twal su Israele e la Bibbia è stata accettata dalle massime cariche della Chiesa Cattolica. Il Sinodo del Vaticano nel 2010 aveva dichiarato che Israele non può usare il concetto biblico di una terra promessa o di un popolo eletto. “ Noi Cristiani non possiamo parlare della terra promessa per il popolo ebraico”, dice il documento del Sinodo. “Non c’è più un popolo eletto. Il concetto di terra promessa non può essere utilizzato come base per giustificare il ritorno degli Ebrei in Israele, da cui la diaspora palestinese ”.
Pochi giorni fa, il Patriarca Twal ha accolto con entusiasmo l’accordo raggiunto tra Hamas e Fatah. Ha anche denunciato “la giudaizzazione di Gerusalemme” e attaccato Israele per “ cercare di trasformarla in una città solo ebraico-giudaica con l’esclusione di altre fedi”. Altrove, in Iraq, l’arcivescovo Louis Sako, ha chiesto di “distinguere tra Ebraismo e Sionismo”. Infatti, ai livelli più alti e influenti della Cristianità, gli ebrei sono tuttora considerati come un gruppo di apostati che non ha diritto a un suo Stato sovrano.
Sostenuti dal clero cattolico, per la prima volta nella storia, i palestinesi hanno chiesto all’ UNESCO di registrare la Chiesa della Natività di Betlemme sotto il nome di “Palestina”. Secondo Omar Awadallah, capo del Dipartimento delle Nazioni Unite nel Ministero degli Esteri per l’Autorità Palestinese, “Gesù è il principe palestinese di speranza e di pace, e tutti i Cristiani del mondo vogliono che questa chiesa sia un sito considerato Patrimonio dell’Umanità”.
In un periodo in cui la preoccupazione del Vaticano per il declino catastrofico del cristianesimo arabo dovrebbe essere visibile, la Chiesa cattolica sceglie di demonizzare Israele e di rafforzare la sua collaborazione con l'OLP. La conferma viene dalla frequenza degli incontri delle ultime settimane, tutti di alto profilo, con la partecipazione di vescovi provenienti non solo dai paesi arabi, ma anche dall’ Europa e dagli Stati Uniti.
Sionismo come esclusività razziale
Una delegazione vaticana composta da Ettore Balestrero, Sottosegretario della Santa Sede per le Relazioni con gli Stati, e dall’Arcivescovo Antonio Franco, delegato apostolico in Israele, si è incontrata a Ramallah con Ministri e funzionari palestinesi per un accordo con l'OLP. Il cardinale Jean Louis Tauran, presidente del Concilio Pontificio per il Dialogo Inter-religioso, in una prima intervista assoluta da parte di un Cardinale a al-Jazeera, ha dichiarato che Israele deve adottare “uno statuto riconosciuto a livello internazionale, per quella parte di Gerusalemme in cui i Luoghi Santi delle tre religioni monoteistiche sono aperte ai credenti”
Nel frattempo, prelati cattolici e dignitari musulmani si sono incontrati a Beit Sahour per una conferenza su “Come vivere insieme in un futuro Stato palestinese”. Il Patriarca Emerito di Gerusalemme, Michel Sabbah, e il Grand Muftì di Gerusalemme, Muhammad Ahmad Hussein, hanno partecipato alla manifestazione organizzata da Al-Liqa, un centro ecumenico vaticano. Sabbah ha firmato un documento in cui si condanna il Sionismo come “esclusività razziale” e “ideologia dell’impero e del colonialismo”.
Nello scorso gennaio, otto vescovi cattolici d’Europa e del Nord America, compreso l’Arcivescovo inglese Patrick Kelly e l’Arcivescovo francese Michel Dubost, hanno visitato Gaza. “Ho chiesto ai prigionieri della più vasta prigione d’Europa, a Evry, di pregare per voi”, ha detto Dubost agli abitanti di Gaza. Il messaggio era chiaro: i palestinesi vivono in una grande prigione, terrorizzati da Israele. Nello stesso periodo, Padre Manuel Musalam, capo dei cattolici di Gaza, ha incontrato il leader di Hamas, Mahmoud al Zahar, e ha dichiarato che “i cristiani non sono minacciati dai musulmani” ma che tutti affrontano lo stesso problema, quello dell’ ”umilazione” di Israele.
Lo scorso novembre, il patriarca maronita Besara Rai, capo della Chiesa Cattolica libanese, ha mandato il suo inviato, Padre Abdo Abou Kassem a una conferenza a Teheran per sostenere un “Medio Oriente libero da sionisti”. Alla conferenza hanno partecipato anche l’ideologo hezbollah Mahammad Raad e il leader di Hamas, Khaled Mashaal.
Se nel periodo di guerra il Vaticano avesse assunto una posizione morale contro il Nazismo, il risultato sarebbe stato diverso per il popolo ebraico. Ma era il 1943. Nel 2012 la Chiesa dovrebbe sapere cosa fare. Eppure sembra che, come avvenne nella Seconda Guerra Mondiale, il Vaticano stia ancora perseguendo una causa comune con le forze del male per garantirsi la benevolenza del supposto vincitore.
La criminalizzazione del Sionismo da parte del Vaticano, che le Chiese arabe hanno messo come condizione fondamentale per un avvicinamento tra musulmani e cristiani, garantisce l’eliminazione della priorità dello Stato ebraico per difendere i diritti delle comunità cristiane nei paesi arabi. Dopo che il nazionalismo arabo non è riuscito a eliminare Israele, la cristianità araba e il Vaticano collaborano ora a costruire un’identità palestinese ostile a Israele e agli ebrei.
Giulio Meotti scrive sul Foglio, tiene una rubrica settimanale su Arutz Sheva, scrive per Wall Street Journal, Commentary, Ynet. Ha pubblicato il libro " E continueranno a danzare " (Lindau Ed.), tradotto in inglese con il titolo " A New Shoah" (Encounter Pub.), la storia delle vittime israeliane del terrorismo palestinese.