Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 19/03/2012, a pag. 34, l'articolo di Fareed Zakaria dal titolo " Se la deterrenza ha funzionato per l'Urss perché non usarla anche con l'Iran? ".

Fareed Zakaria è contrario a un attacco contro l'Iran per bloccare il programma nucleare. A suo avviso la soluzione migliore sarebbe quella della 'deterrenza', strategia che non viene ben definita nel corso dell'articolo.
Leggendo il pezzo si evince che questa miracolosa deterrenza sarebbe la stessa utilizzata dagli Usa contro l'Urss durante la Guerra Fredda.
Perciò la soluzione contro il nucleare iraniano sarebbe permettere al regime di diventare una potenza nucleare e tenerlo a bada con la paura che avrebbe di venire distrutto dal nucleare americano qualora dovesse fare un passo falso. Una teoria che fa acqua da tutte le parti, a partire dal fatto che Usa e Iran non possono essere messi sullo stesso piano. Al momento l'Iran non è una potenza nucleare, non si capisce per quale motivo si dovrebbe consentire che lo diventi. Gli Usa, invece, possiedono già l'atomica. Inoltre lo spauracchio di un attacco nucleare non dovrebbe già esserci? L'Iran continua indisturbato il programma, evidentemente non avverte la 'minaccia nucleare Usa' così pressante e pericolosa.
La deterrenza viene contrapposta all'attacco perchè quest'ultimo, secondo Zakaria, rafforzerebbe il consenso del regime fra la popolazione. Quale consenso? Ahmadinejad non gode dell'appoggio del popolo iraniano. Dopo le scorse elezioni presidenziali ha represso nel sangue tutte le manifestazioni di protesta.
Un clima da guerra fredda sarebbe auspicabile?
E in ogni caso non sono gli Usa il primo obiettivo dell'Iran, ma Israele. Che cosa dovrebbe fare lo Stato ebraico? Aspettare che l'Iran si doti di armi nucleari e permettergli di bombardare? E nel frattempo come dovrebbe comportarsi coi nemici che lo circondano?
Comodo dire a chi è minacciato di non difendersi quando si è al sicuro a migliaia di Km in casa propria...
Ecco il pezzo:
Q uando ero all'università, nei primi anni Ottanta, invitai l'allora segretario alla Difesa del governo di Ronald Reagan, Caspar Weinberger, a tenere un discorso agli studenti. A quell'epoca, le università americane erano focolai di opposizione, specie in materia di difesa. E difatti, non appena Weinberger prese la parola, diversi studenti si alzarono in piedi e cominciarono a contestarlo. Uno dopo l'altro, si diedero il cambio nel ripetere un unico slogan: «Il deterrente è una menzogna!». Mentre ascolto i dibattiti sulle mire nucleari dell'Iran, mi torna in mente quell'incontro infuocato e osservo uno strano rovesciamento dei ruoli nell'attuale discorso sulla politica estera. Un tempo era la sinistra a respingere l'idea del deterrente, proponendo invece altre opzioni, come il congelamento della proliferazione nucleare. E toccava invece ai sostenitori di destra spiegare pazientemente virtù e vantaggi della deterrenza. «Ogni 25 anni, la nuova generazione scopre daccapo gli orrori dell'arma nucleare e i paradossi della deterrenza, e si impegna a cercare una via d'uscita. Ma dopo un po' ci si stanca di minacciare l'apocalisse e di vagliare e scartare un'infinità di alternative. Inevitabilmente, il dibattito si arena proprio laddove è iniziato: nell'affermare, ahimè, la necessità di fare affidamento all'equilibrio del terrore per conservare la pace». Le parole sono di Charles Krauthammer, pubblicate sul New Republic nel 1984. «La deterrenza, come la vecchiaia, ci appare intollerabile, finché non si prendono in considerazione le alternative», spiegava l'analista politico.
Eppure oggi è la destra a essersi convinta che la deterrenza è una menzogna. Krauthammer, l'Heritage Foundation, l'American Enterprise Institute e altre istituzioni denunciano sia il contenimento sia la deterrenza, e vorrebbero spingerci verso una politica che conduce dritta alla guerra preventiva. È la versione di destra del congelamento nucleare, una soluzione semplice che in realtà non risolve nulla. Un'aggressione contro l'Iran riuscirebbe, con ogni probabilità, a ritardare il suo programma nucleare di qualche anno, rafforzando al contempo l'appoggio popolare al governo di Teheran e fornendogli una giustificazione ancor più convincente per proseguire la corsa alle armi atomiche. Oggi in America ci sono conservatori di spicco che insistono su questa strada, dichiarandola preferibile alla deterrenza. La deterrenza è un concetto difficile da accettare perché paradossale: la minaccia della reciproca distruzione rinsalda la pace. Eppure il suo successo è indiscutibile. Le nazioni più potenti sono state dilaniate da guerre sanguinose a intervalli regolari per centinaia d'anni. Poi ha fatto la sua comparsa la bomba atomica e dal 1945 ad oggi non si registrano conflitti tra le massime potenze. Tra Stati Uniti e Unione Sovietica correva una rivalità serrata e a tutto campo, come non si era mai verificato fino ad allora nella storia. Ciascuna temeva di essere annientata dall'altra. Eppure questa rivalità non è mai sfociata in un conflitto aperto, perché la deterrenza è riuscita a tenere a bada entrambe le parti.
Nel 1989, alzando il calice in un brindisi a Mikhail Gorbaciov, Margaret Thatcher disse: «I nostri due Paesi sanno benissimo, per amara esperienza, che le armi convenzionali non possono impedire una guerra in Europa, mentre l'arma nucleare c'è riuscita per oltre quarant'anni. Come deterrente, non abbiamo altra scelta».
Se la deterrenza non funziona, allora perché non ci prepariamo a una guerra preventiva contro la Russia, che possiede ancora un pauroso arsenale di missili balistici intercontinentali? O contro il Pakistan, governato da un regime militare-spionistico coinvolto in tanti gravissimi atti di terrorismo negli ultimi dieci anni, più di quanti ne abbia annoverati l'Iran in un intero secolo? La tesi che l'Iran possa essere fermato dal deterrente atomico non poggia sulla razionalità dei suoi vertici, bensì sul desiderio di sopravvivenza del regime. «Chi governa vuol continuare a farlo» sostiene Kenneth Waltz, tra i massimi teorici di relazioni internazionali.
Per rafforzare la sua credibilità presso la critica conservatrice e l'attuale governo di Israele, il presidente Obama si è lasciato convincere e ha scartato l'idea del contenimento, insistendo sulla serietà delle sue minacce e invitando le parti a cogliere uno «spiraglio» di opportunità per sedersi al tavolo dei negoziati. Questo potrebbe rivelarsi un grave errore, in quanto mette gli Stati Uniti con le spalle al muro, limita le alternative di Obama e lo spinge su una strada che potrebbe portare a un'inutile guerra di prevenzione.
È comprensibile che la prospettiva della bomba atomica in mano agli iraniani susciti non poche angosce. Sarebbe senz'altro meglio per Israele, per il Medio Oriente e per il mondo intero se Teheran non si dotasse di queste armi. Gli sforzi degli Stati Uniti — in pieno accordo con quasi tutta la comunità internazionale — per ostacolare la corsa al nucleare e tenere sotto pressione Teheran, rappresentano la scelta politica giusta. Ma se Teheran dovesse insistere, se il suo regime accettasse l'isolamento globale e i costi paurosi derivanti dalla sua decisione, una robusta politica di contenimento e di deterrenza potrebbe funzionare contro l'Iran, come ha funzionato contro l'Unione Sovietica di Stalin, la Cina di Mao, la Corea del Nord di Kim Jong-Il e il regime militare pachistano.
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