Gli spodestati Steve Sem-Sandberg
Traduzione di Katia De Marco
Marsilio euro 22
Non avrei mai immaginato che sarebbe toccato a me condurre l'agnello sacrificale all'altare. Ma nell'autunno della mia vita mi trovo costretto a tendere le mani e a chiedervi: Fratelli e sorelle consegnatemeli! Consegnatemi i vostri figli!».
In pochi giorni furono strappati alle famiglie 20.000 tra bimbi, malati e anziani, come prima erano stati deportati i più ribelli. Era il settembre 1942. A perorare indicibilmente presso la popolazione del più grande ghetto del III Reich, quello di Lodz, di esaudire le nuove inaudite richieste dei nazisti, era Chaim Rumkowski, onnipotente presidente del Consiglio ebraico. Di fronte allo stesso ordine il capo dello Judenrat di Varsavia Czerniakow si suicidò. Ma Rumkowski no, lui tentò di convincere i suoi ebrei: perché si sentiva certo del suo diritto di vita e di morte sulla "città operaia" in cui nel 1940 aveva trasformato quel luogo disperato, che riforniva il III Reich con indispensabili divise, cappotti, scarpe, moduli per prefabbricati... al costo di poca brodaglia, un sistema con cui, secondo lui, poteva evitare il peggio garantendo ai tedeschi un enorme profitto. Di fatto gli altri ghetti vennero eliminati come birilli, il suo resistette fino all'estate del '44, e se i russi nel '43 non si fossero fermati sulla Vistola e avessero liberato Lodz in tempo, forse ora il traditore Rumkowsky sarebbe celebrato come l'unico Presidente di Judenrat ad aver salvato molti dei suoi 200.000 ebrei. Al contrario morirono tutti o quasi, anche lui, che non aveva guardato in faccia l'obiettivo finale dei tedeschi, "l'estirpazione definitiva". Partì con l'ultimo convoglio diretto a Auschwitz.
Fu un mostro? O un pragmatico stratega? Sulla sua figura controversa si sono cimentati in molti, da Primo Levi ad Hannah Arendt, Hilberg, Friedländer, Bauer. Poche le risposte definitive. E ora esce un monumentale e pluripremiato romanzo già tradotto in 27 paesi dello svedese Steve Sem-Sandberg ( Gli spodestati, trad. di Katia De Marco, Marsilio, pagg. 672, euro 22) classe 1958: dopo tre anni di studio degli archivi, ha tracciato un grande e ipnotico affresco del ghetto e della babele di lingue e destini dei suoi abitanti, veri e fittizi, regalandoci una preziosa chiave per ripensare quella catastrofe.
Mr Sem-Sandberg, come è nato il suo interesse per il ghetto di Lodz? «Nel 2000 ho visitato quel che rimane del ghetto: molti edifici sono ancora in piedi, il luogo è ancora oppressivo, marcio come allora.
Ne fui sopraffatto. Lo scopo del mio primo viaggio era ritrovare le tracce delle sorelle di Kafka Elli e Valerie, deportate a Lodz con altri 5000 ebrei di lingua tedesca che vivevano a Praga nel 194: ho rintracciato le loro case: furono trasferite a Chelmno dove furono uccise nelle camere a gas. Nel ghetto ho finito per passarci settimane, camminando per le strade, gli appartamenti. E l'idea del romanzo ha preso vita». Che parte ha avuto la figura di Rumkowski nella sua scelta? «Non ho mai pensato di farne il protagonista. Fin dall'inizio ho immaginato un libro costruito sulle molte voci degli abitanti del ghetto, un coro di vicende non raccontate, perché in genere gli storici e gli scrittori si soffermano sui grandi fatti o sulla catarsi dei sopravvissuti. L'unica cosa che è successa agli abitanti del ghetto di Lodz è che soffrirono e morirono».
Per Rumkowski, si è sentito più vicino al giudizio senza appello della Arendt, o alle parole di Primo Levi "la sua ambiguità è la nostra ambiguità"? «All'inizio credevo di sapere chi fosse, ma man mano che procedevo non lo ero più. È interessante che chi ne ha scritto, come la Arendt, non vuol cercare di capire, ma solo giudicare. Quell'uomo fece la cosa giusta? Non mi interessa. I giudizi seri arriveranno più tardi. Direi che protendo verso Primo Levi».
Quanto c'era su di lui nei grandi archivi che il ghetto curò fino all'ultimo? «C'era la vita ufficiale, ogni atto, ogni discorso. Ma tanti vuoti sulla vita privata. L'ultimo anno affiancarono alla Cronaca una Enciclopedia del ghetto: ogni persona, importante o no, aveva una voce. Tutti fuorché Rumkowski: ebbero paura? qualcuno distrusse le pagine? Non si conosce il lato oscuro della sua personalità, proprio quello che mi interessava».
Lei dedica spazio agli abusi sessuali commessi da Rumkowski.
Ne ha le prove? «Ne hanno parlato molto almeno due sopravvissuti. Ma non importavano tanto gli abusi, quanto la questione del potere. Dai suoi discorsi si vede che considerava il ghetto e i suoi abitanti un dominio personale. Volevo capire come il potere forma o deforma l'individuo, che differenza c'è tra uso e abuso di potere».
Assistiamo a un'ondata di fiction sulla Shoah, come mai? «È bene che la Shoah esca dalla zona chiusa in cui è stata tenuta per decenni, come una materia intoccabile se non per i sopravvissuti o i parenti di chi ha sofferto. È una buona scusa per dire che riguarda gli ebrei ma non noi. Invece ci coinvolge moltissimo, raccontandola da più punti di vista non le si sottrae niente. La questione non è chi ne scrive, ma il risultato. Il mio libro fa giustizia di quel che è successo? Il vero difetto è il sentimentalismo, la ricerca dell'happy end che non ci fu. E i colpevoli vanno cercati nel cinema, non nella letteratura».
Susanna Nirenstein
R2 Cult La Repubblica