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Ugo Volli
Cartoline
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Noam Shalit e Salim Joubran, due facce della stessa medaglia 18/03/2012

Noam Shalit e Salim Joubran, due facce della stessa medaglia
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Noam Shalit                       Ugo Volli                     Salim Joubran

Cari amici,
come sapete io ho per regola di non attaccare mai Israele o i soggetti politici israeliani, anche quando non mi piace quel che fanno, ma qualche volta proprio non capisco e lo devo dire.
Per esempio, prendete Noam Shalit, il padre di Gilad. Abbiamo tutti appoggiato la sua battaglia per la liberazione del figlio, anche quando ci sembrava puntasse per protestare all'obiettivo sbagliato, il governo israeliano e non la leadership terrorista di Hamas.
Quando, immediatamente dopo la liberazione, ha annunciato l'ingresso in politica nelle file del partito laburista, mi sono sentito un po' tradito. La lotta per Shalit era stata di tutti, la passione era stata condivisa da tutti gli ebrei, salvo solo gli odiatori di sé, e dagli amici di Israele. Che senso aveva monetizzare la propria popolarità in una scelta inevitabilmente divisiva e farlo in un partito che ha sì una grandissima storia, ma che  negli ultimi vent'anni ha accumulato gravissime responsabilità rispetto alla sicurezza di Israele?
Ora  Noma Shalit ha concesso un'intervista televisiva in cui dice che se fosse palestinese rapirebbe anche lui dei soldati, cioè in sostanza che giustifica il fatto che l'abbiano fatto a suo figlio. (http://www.jpost.com/DiplomacyAndPolitics/Article.aspx?id=261885)
Ma ha lottato per liberarlo, ha chiesto i provvedimenti più pesanti per obbligare i terroristi a liberarlo e insieme i cedimenti più pericolosi al loro ricatto.
La domanda è: se la pensa così, perché l'ha fatto? Solo per interesse personale? Se è giusto rapire i propri nemici, ricattare, fare terrorismo, in nome di che opporvisi? Semplicemente degli affetti? Ma tutti hanno affetti, anche Hitler voleva bene ad Eva Braun. Si tratta semplicemente di capire chi è più forte, chi riesce a fare più rumore?
Trovo inaccettabile questa tesi, dopo l'intervista di Shalit sento rimpicciolito e sporcato non solo lui, ma anche la solidarietà che gli ho dato. Tendo a pensare che sia un uomo gretto e meschino, che si propone come equanime ma non ha il senso del giusto e dello sbagliato. Continuo ad essere contento della liberazione di suo figlio, ma a lui non vorrei stringere la mano.

Altro esempio: che direste voi se un atleta italiano della nazionale premiato alle Olimpiadi rifiutasse di far cantare l'inno nazionale perché si sente leghista e quell'”elmo di Scipio” e quella “schiava di Roma” con quel che segue non gli va proprio giù, perché leghista o sudtirolese? O se un magistrato inglese di idee repubblicane non volesse proclamare la sua sentenza in nome della regina? O se io, nel mio piccolo, proclamando  una laurea non lo facessi più nel nome della legge perché non mi piace la riforma universitaria?
Direste giustamente che siamo impazziti. La legge dev'essere uguale per tutti e così gli atti formali di appartenenza e di omaggio allo Stato da parte di chi lo rappresenta. Senza questo siamo all'anarchia, che magari all'inizio sembra allegra e simpatica, ma poi diventa la legge della giungla, in cui i più forti divorano i più deboli.
Come avete capito mi riferisco a quel magistrato della corte suprema israeliana, Salim Joubran, che ha suscitato molte polemiche in Israele rifiutandosi in maniera ostentata di cantare l'inno nazionale israeliano Hatikvah, in quanto espressione del progetto sionista.
Costui è stato giustificato dal premier Netanyahu, e posso capire che ci siano ragioni politiche per questo, ma anche lodato da alcuni intellettuali ebrei come espressione di un incipiente carattere binazionale dello stato ebraico e della fine del sogno sionista.
Notate che non si tratta di un giudice di un tribunale qualunque, che di mestiere attribuisca torti e ragioni nelle liti di condominio e degli incidenti stradali, ma del membro del piccolo collegio di un tribunale supremo che assomma i poteri della Corte di cassazione e della Corte Costituzionale italiana, con il non trascurabile dettaglio in più che, mancando Israele di una costituzione chiusa, la corte si trova spesso a decidere senza vincoli di legge, sulla base di principi di equità, cioè in definitiva politici.
Quel giudice ha più poter politico di una dozzina di deputati. Ora quale stato vorrebbe avere un nemico dichiarato del suo progetto fondamentale a condividere le decisioni politiche più importanti e delicate per il suo futuro? Quale stato potrebbe esser richiesto di essere favorevole alla libertà di uno dei suoi massimi responsabili politici di negare in maniera esplicita e provocatoria il suo carattere fondamentale? che faremmo noi se un giudice della corte costituzionale facesse in pubblico il saluto fascista? E' accaduto di recente con un console in Giappone, che è stato giustamente rimosso per essersi esibito in un gruppo nazirock.
E' difficile capire le ragioni per cui Israele dovrebbe comportarsi diversamente. Più facile capire invece le molle che inducono ad approvare un atto del genere, per pazzesco che sia: un bisogno di giustificazione di fronte al mondo, un'illusione di essere approvati se solo ci si arrende alla prepotenza dei nemici, che risale a una fondamentale insicurezza della propria legittimità.
E' un peccato dover ammettere che questo tipo di insicurezza è entrata così profondamente nella poitica israeliana da essere preso per garantito.

Ugo Volli


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