Sul FOGLIO di oggi, 17/03/2012, a pag. IV, con il titolo "Gli schiaffi della casalinga", Giulio Meotti racconta la vita di Beate Klarsfeld, candidata alle presidenziali francesi.
Beate Klarsfeld
1968: schiaffo al Cancelliere dal passato nazista
2012: candidata alle presidenziali
Quando gli chiesero che lavoro faceva, Beate Klarsfeld rispose: “La casalinga”. Disse che si prendeva cura di “tre cani, due gatti, un marito e due figli”. La signora fino a domani, quando la Germania sceglierà il suo nuovo presidente, sarà per tutti “Fräulein Klarsfeld”. La celebre sicaria garantista è stata scelta infatti dal partito della sinistra radicale Die Linke come candidato a presidente della Repubblica federale. La Klarsfeld ha poche chance di vittoria contro l’ex pastore protestante Joachim Gauck, il dissidente della Ddr che può contare sull’appoggio tanto della maggioranza quanto dell’opposizione socialdemocratica e Verde. Franco-tedesca che ha trascorso tutta la vita a cercare di portare in giudizio gli ex criminali di guerra, di recente la Klarsfeld ha ricevuto la Legione d’onore da parte di Nicolas Sarkozy, mentre in Germania una richiesta, su istanza della Linke, del riconoscimento corrispondente, la croce d’onore, le è stata rifiutata senza spiegazioni dal ministero degli Esteri e dall’ufficio del presidente della Repubblica. In Germania la amano o la odiano. Molti le danno della “fanatica” e in Francia il quotidiano Le Monde l’ha appena accusata di essere parte della “estrema sinistra sarkozista”. La sua candidatura ha l’altissimo valore simbolico di un’iniziativa che rende onore a una autentica protagonista del Novecento. E’ l’epopea di una famiglia, Beate e Serge Klarsfeld, giuristi agguerriti, cacciatori di criminali di guerra e custodi ortodossi e oltranzisti della memoria. La storia pubblica di Beate inizia nel 1968, quando da ragazza scrive un pezzo sul giornale francese Combat per denunciare il passato nazista dell’allora cancelliere tedesco della Cdu, Kurt Georg Kiesinger. Per questo articolo Beate viene subito licenziata dall’ufficio franco-tedesco per la gioventù presso cui lavorava. Allora la ragazza, ventinovenne, prese posto sulla tribuna del Bundestag e urlò all’indirizzo di Kiesinger: “Nazista, nazista, nazista, dimettiti!”. Niente. Il 7 novembre del 1968 si reca al congresso della Cdu a Berlino e rifila uno schiaffone al cancelliere. Una fotografia immortala i suoi occhi di brace e lo sgomento di Kiesinger. “Fu un gesto simbolico: i figli dei nazisti picchiano i loro padri”, dirà Beate nel 2006 a una radio tedesca. Lo schiaffo le costò un anno di carcere. A ulteriore giustificazione del suo gesto, Beate disse di non poter tollerare che uno dello stesso partito del criminale che aveva deportato il suocero ad Auschwitz fosse diventato cancelliere. Kiesinger alla fine non verrà rieletto e Beate ottenne il plauso di numerose personalità pubbliche. Heinrich Böll, premio Nobel per la Letteratura nel 1972, le spedì un mazzo di rose rosse. “Frau Klarsfeld, avrei voluto parlarle volentieri… quello che sta facendo è meraviglioso”, le lasciò detto sulla segreteria telefonica Marlene Dietrich. Per far adottare dalla Germania una legge più severa con gli ex ufficiali nazisti, Beate si farà persino arrestare dentro al campo di concentramento di Dachau. Rimase in cella tre settimane. Tre anni dopo tentò di rapire a Colonia l’ex capo della Gestapo di Parigi, Kurt Lischka, che lì viveva indisturbato. L’ex gerarca verrà processato per la deportazione di quarantamila ebrei dalla Francia. Beate aveva già trovato una macchina sportiva per portarselo in Francia, ma uno dei compagni, che doveva colpirlo alla testa, non ebbe il coraggio. Un fallimento. Ma tutti conobbero il passato di Lischka. E Beate fu arrestata. Per assicurare alla giustizia il nazista Alois Brunner, Beate è volata fino in Siria. Ma il più stretto collaboratore di Adolf Eichmann, noto anche come “la mano destra del diavolo”, le è sempre sfuggito. E’ accusato dello sterminio di 128.500 ebrei austriaci, greci, francesi e slovacchi. Brunner “l’ingegnere della soluzione finale”, ossessionato dallo sterminio degli ebrei al punto che nel 1985, intervistato dal magazine tedesco Bunte, affermò di “rimpiangere di aver lasciato il lavoro a metà”. La mattina del 5 dicembre 1991, il telefono squilla nella casa di Brunner in via George Haddad a Damasco. I servizi segreti siriani gli annunciano: “La Klarsfeld è arrivata a Damasco”. Brunner balbetta intimorito: “Non mi consegnerete a quella donna?”. Grazie sempre alla nota casalinga, Joseph Schwammberger, ufficiale delle SS responsabile dello sterminio di tremila ebrei polacchi, è finito in tribunale a Stoccarda. Beate Klarsfeld ha spartito con Simon Wiesenthal gli onori della caccia agli ex nazisti. Ma le loro biografie non potrebbero essere più diverse. Due cicatrici appena visibili sui polsi di Wiesenthal ricordavano che tentò il suicidio in uno dei dodici campi di sterminio da cui uscì vivo per miracolo. Lei, Beate, non è passata per l’Olocausto. E’ la figlia di un soldato della Wehrmacht. Non un’ebrea, ma una cristiana protestante. Fu nel 1960, quando venne a vivere in Francia e incontrò Serge, che sentì che la gioventù tedesca doveva assumere la responsabilità morale e storica dei campi di sterminio. Fu il marito, figlio di un deportato di Auschwitz, ad aprirle gli occhi. Si conobbero nella metro di Parigi. Aveva ventun anni. Da allora Beate ha fatto della caccia la ragione della sua vita. Una donna sempre pronta a generare scandalo per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica. Come quando si recò in piazza San Pietro tra gli ebrei che manifestavano contro la decisione di Giovanni Paolo II di ricevere il presidente austriaco Kurt Waldheim, bandito dagli Stati Uniti per il suo passato nell’esercito nazista. Beate voleva portare numerose bombolette di fumogeni in piazza. Ma causarono un piccolo incendio all’Hotel Columbus in via della Conciliazione, a due passi dal Vaticano. Beate ha pagato un caro prezzo per questa caccia al passato. Una volta le hanno messo una bomba in casa. Un’altra volta hanno fatto saltare la sua automobile. La rete televisiva Abc negli Stati Uniti ha realizzato un film su di lei, interpretato dall’ex “Charlie’s Angel” Farrah Fawcett. Nel 1998 ci fu l’apice delle imprese di Beate e Serge. Non portarono alla sbarra un ex gerarca tedesco come Klaus Barbie, ma un francese, un esponente di quella borghesia di provincia che spedì al massacro migliaia di ebrei e seppe riciclarsi con perfida maestria. E’ il caso Maurice Papon, segretario generale della prefettura della Gironda, fedele a Vichy, di cui anche il presidente Charles de Gaulle nel 1968 disse: “E’ uno serio, una brava persona”. I Klarsfeld riuscirono a trasformare il caso nel processo alla Francia collaborazionista. Papon fu infatti l’unico responsabile del regime di Vichy a essere stato condannato per lo sterminio degli ebrei. Storica la sentenza della Corte di assise di Bordeaux, il 2 aprile 1998: “Complicità in crimini contro l’umanità”. Gli varrà l’etichetta di “boia di Vichy”, perché tra il 1942 e il 1944 Papon mandò a morire oltre 1.500 ebrei, anziani e bambini, prelevati minuziosamente da sanatori, case di riposo, ospedali. Poi i Klarsfeld costruiscono l’accusa contro Paul Touvier, il capo della milizia di Lione. I coniugi passano anni a mettere su una azione legale credibile. E alla fine i capi d’accusa parlano da soli: l’attentato contro la sinagoga di Lione nel 1943; l’assassinio di Victor Basch, il presidente della Lega francese dei diritti dell’uomo, sempre nel 1943; la complicità nell’uccisione di sette ostaggi ebrei a Rillieux, nel 1944.Touvier gode della protezione di monsignor Duquaire, il segretario particolare dell’arcivescovo di Lione. Sarà Georges Pompidou, nel 1971, a firmare la sua grazia in contumacia. Scoppia lo scandalo. La notizia suscita la reazione delle comunità ebraiche. I Klarsfeld lo scovano, nel 1989, a Nizza, in un convento di sacerdoti cattolici integralisti, sotto falso nome: Paul Lacroix. Se Beate è una donna d’azione, il marito Serge è un intellettuale che ha trascorso molti anni a scrivere i sei volumi della storia dei bambini ebrei di Francia uccisi nell’Olocausto. Un libro sconvolgente, che ricostruisce minuziosamente la storia di ognuna delle giovanissime vittime con corredo di fotografia e di dati anagrafici, ma soprattutto è un libro con cui Klarsfeld ha riaperto la polemica con il presidente François Mitterrand a proposito delle responsabilità del regime di Vichy e della figura di René Bousquet, che della polizia di Vichy fu il capo, e con il quale Mitterrand ha intrattenuto per molti anni rapporti di amicizia. “Mai, nella storia di Francia, si erano martirizzati dei bambini per non scontentare i vincitori”. Klarsfeld se la prese con Elie Wiesel a causa di “Mémoire à deux voix”, il libro in cui Mitterrand dialoga con il premio Nobel ex deportato e si sofferma sull’amicizia con Bousquet. “Wiesel si comporta come se il soldato Mitterrand fosse passato dalla prigionia in Germania alla Resistenza”, disse Klarsfeld. “Un Wiesel nei panni del cortigiano. Rimprovera a Mitterrand quell’amicizia con Bousquet ma non gli ricorda: signor Mitterrand, nel 1942 e anche nel 1943, lei era petainista e, in seguito, ha avuto Bousquet come amico”.Contro l’oblio della memoria i Klarsfeld hanno rinvenuto lo schedario di tutti gli ebrei residenti in Francia all’epoca dell’occupazione nazista. Due anni fa arriva un altro successo. Dalla ex stazione dei treni di Bobigny, nella periferia di Parigi, più di 20.000 ebrei furono deportati verso i campi della morte tra il 1943 e il 1944, senza mai fare ritorno. I Klarsfeld hanno costretto i capi della Sncf, la società ferroviaria francese, a riconoscere le loro responsabilità nelle deportazioni naziste. Grazie a loro il mea culpa del presidente della Sncf, Guillaume Pepy, è diventato inevitabile. Un anno fa i Klarsfeld hanno protestato contro la decisione di includere Louis-Ferdinand Céline, l’autore del celebre “Viaggio al termine della notte” ma anche noto per i suoi pamphlet antisemiti, nella raccolta delle Celebrazioni nazionali del 2011 edita dal ministero della Cultura. Klarsfeld ha chiesto “il ritiro immediato di questa raccolta e la soppressione delle pagine dedicate a Céline nella prossima riedizione”. “Il ministro Frédéric Mitterrand deve rinunciare a portare i fiori in memoria di Céline, così come suo zio, l’ex presidente François Mitterrand, fu obbligato a non deporre più corone di fiori sulla tomba di Petain” (il maresciallo capo del regime francese collaborazionista). E ancora: “Il talento di scrittore non deve fare dimenticare l’uomo che lanciava appelli alla morte degli ebrei sotto l’Occupazione. Che la Repubblica lo celebri è indegno. Bisogna attendere secoli, e non solo cinquant’anni, perché si possano commemorare allo stesso tempo le vittime e i loro carnefici”. Alla fine, Klarsfeld ha la meglio e Céline viene cassato dalle celebrazioni, nonostante il presidente Sarkozy avesse detto a favore dello scrittore collaborazionista: “Si può amare Céline senza essere antisemiti, come si può leggere Proust senza essere omosessuali”. Storica è la militanza pro Israele della famiglia. Nel 1967, allo scoppio della guerra dei Sei giorni, Serge parte volontario per Israele, dove serve come corrispondente militare sulle alture del Golan. Nel 1970 Beate vola a Varsavia, per protestare contro il processo intentato agli “ebrei sionisti”. Si incatena a un albero della capitale polacca e distribuisce volantini contro il regime comunista antisemita. Viene arrestata ed espulsa. Un anno dopo parte per Praga, dove è in corso un altro processo a militanti ebrei. Golda Meir, da primo ministro d’Israele, le ha conferito la medaglia della “Donna di valore”. I coniugi Klarsfeld hanno attaccato l’Europa che “fa concessioni al mondo arabo ed è pronta a sacrificare diplomaticamente Israele”. Serge è stato uno dei pochissimi intellettuali pubblici di Francia a sostenere la guerra in Iraq. Nel 1974 Beate fu l’unica occidentale a prendere un aereo per Damasco e protestare contro il trattamento riservato dai siriani ai prigionieri di guerra israeliani. “Non lasciamo che i crimini della Germania di Hitler vengano usati come modello dal mondo arabo”, recitava un appello di Beate pubblicato dai giornali dell’epoca. Nel 1975 vola al Cairo, per denunciare Hans Schirmer, allora a capo del programma euro-arabo ma che prima aveva servito nell’ufficio di propaganda nazista. Tre anni dopo, il primo ministro israeliano Menachem Begin e il ministro degli Esteri Abba Eban la nominano invano per il premio Nobel della Pace. Nel 1979 Beate è a Teheran, per protestare contro l’esecuzione di Habib Elghanian, leader della comunità ebraica iraniana. La troviamo poco dopo a Beirut, dove si offre prigioniera in cambio di cinque ebrei libanesi tenuti in ostaggio dai terroristi sciiti. Nel 1988 Beate venne espulsa dall’Algeria, dove era andata per manifestare contro il vertice arabo. Voleva presentarsi con uno striscione: “Il pieno e completo riconoscimento dello stato di Israele è il primo passo verso la pace”. Nel 2004 Serge generò un altro scandalo in Francia suggerendo agli ebrei di emigrare in Israele. C’era fin troppo antisemitismo a Parigi. Anche il figlio, Arno Klarsfeld, ha speso parte della sua carriera di avvocato alla ricerca dei criminali di guerra. Quasi tutti se lo ricordano puntare il dito come difensore delle parti civili contro Papon. Poi alla soglia dei quarant’anni, Arno Klarsfeld ha indossato la divisa color oliva dell’esercito israeliano. Disse di essersi “sentito aggredito dalla politica estera della Francia, che compra la sua sicurezza a breve termine dalle organizzazioni terroristiche che oggi non hanno alcun interesse a colpire un paese che si oppone a Israele e agli Stati Uniti”. La scintilla scattò a qualche metro dal Mike’s Place di Tel Aviv, dove un kamikaze palestinese si è fatto saltare in aria provocando una strage. Quei corpi carbonizzati, resti umani abbandonati sull’asfalto, gli hanno dato l’ultima spinta verso l’arruolamento: è diventato soldato di Tsahal per combattere le organizzazioni terroristiche che seminano morte in Israele. A La Paz, in Bolivia, Beate si è incatenata a un albero per protestare contro la mancata estradizione di Klaus Barbie. Nel 1985 la rivista americana Life rivelò il piano dei coniugi Klarsfeld, di fronte alla mancata estradizione, per assassinare il “boia di Lione”. Alla fine riescono a farlo estradare e Barbie viene condannato all’ergastolo per lo sterminio di migliaia di persone nelle camere a gas (come i cinquanta bambini ebrei razziati nella colonia di Izieu). Klarsfeld sa che i criminali di guerra non pagano mai abbastanza. Franz Nowak, responsabile dei treni della morte che trasportarono un milione di ebrei nelle camere a gas, ha scontato sei anni di galera. Tre minuti per ogni vittima. Ma catturarli ne è valsa comunque la pena. A giustificazione del suo lavoro di cacciatrice, Beate ha detto: “Non hanno il diritto di morire in pace nei loro letti".
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