Cosa sta succedendo realmente a Gaza ?
di Mordechai Kedar
(Traduzione dall'ebraico di Sally Zahav, a cura di Yehudit Weisz)
in uscita contemporanea su MAKOR RIHON
Mordechai Kedar
Una settimana di missili avrebbe dovuto spostare l’interesse in Medio Oriente da Homs a Gaza, dalla Siria a Israele, da Assad a Netanyahu. Questo era il piano dell’Iran e dei suoi seguaci a Gaza. Ma non è successo, e per la solita ragione: i fattori sociologici che guidano il Medio Oriente.
Nei miei articoli precedenti, ho sempre dato rilievo e continuerò a farlo, al predominio del tribalismo all’interno della cultura mediorientale, e all’importanza del ruolo svolto dalla struttura tradizionale dei rapporti - etnico, tribale, religioso, di gruppo – nella vita privata come in quella comunitaria. Minimizzo l’influenza delle ideologie straniere che sono state importate dall’Europa, dal comunismo alla democrazia, dal nazionalismo al liberalismo, che hanno sempre fallito nello sforzo di formulare una cultura tipica degli Stati di diritto nel Medio Oriente. La dittatura è l’espressione pratica del fallimento di queste ideologie.
Quel che resta è solo la persona, insieme con la famiglia, una famiglia estesa, il clan e la tribù. Questa è l’unico aspetto reale, vitale, che funziona come sempre è accaduto, ed è l’unica struttura capace di concedere all’individuo un’identità, un senso di appartenenza, dei mezzi di sostentamento, di difesa fisica e sicurezza.
Uno dei pilastri della cultura tribale è l’antagonismo tra la tribù e lo Stato moderno, che fu imposto alla tribù dal colonialismo straniero. Gli stati hanno sempre cercato di imporsi all’individuo e alla tribù; compresi i propri simboli, valori, leggi e leaders. Hanno cercato di sostituire tutto questo fra la popolazione, al posto della tribù e dei suoi simboli, valori, leggi e leaders. Nelle società arabe che si sono avviate a una dissoluzione e in seguito trasformate in società più individualistiche, come l’Egitto e la Tunisia, lo Stato è riuscito a radicarsi nel cuore della gente, e a estirparne la lealtà alla tribù. Nelle società tribali, nella maggior parte degli altri Stati arabi, lo Stato è costretto a rinunciare a una parte della sua sovranità e ad accettare l’esistenza e i limiti dell’autorità tribale. Per non doversi confrontare con la tribù, lo stato scende a compromessi e giunge a cooperare con la tribù, nello sforzo di mantenere la pace tra i suoi componenti.
La realtà nella striscia di Gaza non è molto diversa dal resto del mondo arabo, tanto è viva e presente la sua cultura tribale. Fin da quando il movimento Hamas ha preso il controllo sulla striscia nel 2007, trasformandosi da una banda di jiadhisti in un’organizzazione di dirigenti con uno Stato, un governo, un consiglio consultivo, un sistema legale, polizia, corpi militari ed enti economici. Così Hamas è diventato uno Stato arabo come gli altri, che cerca di imporre i suoi programmi alle tribù e ai clan che vivono nella striscia. Lo Stato di Hamas serve gli interessi del gruppo che comanda e quindi è in conflitto perenne con le tribù e i clans, con cui deve però giungere a degli accordi.
I movimenti minori - Jihad islamica, il PRC ( Comitati di Resistenza Popolare), la Divisione Salah-a-Din, l’Esercito della Nazione, l’Esercito dell’Islam e altri - funzionano come le tribù, sfidando l’autorità dello Stato, che è nelle mani di Hamas. Oggi, questi gruppi stanno facendo a Hamas ciò che Hamas fece all'OLP 20 anni fa, quando l'OLP era al potere. La diffusa corruzione ai livelli più alti di Hamas rafforza l’influenza delle piccole organizzazioni che le si oppongono. Quel che le incoraggia è il fatto che Hamas ha “appeso i guantoni al chiodo”e sta cercando di mantenere calmo il rapporto con Israele. Hamas non è diventato un’organizzazione "sionista", non ha cambiato il suo statuto, nè il suo obiettivo principale, quello cioè di eliminare Israele e portare a termine l’ “occupazione” di Jaffa e Acri, non solo di Hebron e Nablus. Tuttavia, nella fase storica attuale, sta sospendendo la sua battaglia contro Israele con l’obiettivo di costruire uno Stato che, quando verrà il momento giusto, diventerà la base da cui verrà dichiarata la guerra per distruggere Israele. Ma le piccole organizzazioni non accettano questa sospensione della Jihad e chiamano Hamas in modo sprezzante, come “la guardia del confine israeliano” e “l’esercito libanese del Sud”.
In pratica Hamas sarebbe capace di eliminare queste organizzazioni, esattamente come fece con l’Esercito dell’islam, il clan Dughmush nell’agosto del 2008, o come eliminò a sangue freddo l’Emirato islamico di Gerusalemme di Sheikh Abd Al-Latif Moussa nell’agosto del 2009, in una moschea di Rafah, uccidendo lui, le sue mogli, i figli e 24 seguaci. Oggi, nell’anno 2012, Hamas si trattiene dall’imporsi sulle piccole organizzazioni con la forza delle armi, per non diventare “la guardia del confine israeliano” agli occhi degli abitanti di Gaza, preferendo arrivare a un accordo, scendere a compromessi per mantenere un clima il più possibile tranquillo.
Questo è il motivo per cui Hamas durante l’ultimo lancio di razzi ha funzionato da forza calmieratrice e moderata, non perché sia diventato 'sionista' , ma perché è diventato uno Stato, e lo Stato deve, in un modo o nell’altro, imporre i suoi programmi su quelle fazioni che lo considerano un’organizzazione illegittima per aver sospeso l' Jihad attiva contro Israele.
L’Iran vorrebbe Gaza come un fronte permanente, per questo non appoggia più Hamas, e ha trasferito i suoi aiuti alle organizzazioni che tendono a scalzare la sua egemonia a Gaza. Proprio adesso, mentre l’interesse del mondo è concentrato sul massacro dei civili siriani a Homs e incominciamo a farsi sentire le prime voci in favore di un intervento militare, l’Iran sta incoraggiando le sue organizzazioni subalterne ad alimentare il fuoco a Gaza. L’assassinio di Kaisi, comandante dei Comitati di Resistenza Popolare, è stata la miccia giusta per infiammare la striscia.
La determinazione dell’IDF, il grande successo derivante dall’uso degli 'Iron Domes' nell’eliminare i gruppi di lanciatori di missili e il fatto che non molti civili siano stati colpiti a Gaza, fa sì che Hamas se ne stia ai margini, senza sentirsi coinvolta in una risposta bellica, e mantenga il controllo sulle organizzazioni estremiste, almeno fino alla prossima volta.
Queste organizzazioni si stanno leccando le ferite, traendo le conclusioni dell’operazione, maledicono Hamas, in attesa di una prossima opportunità per scalzare l’autorità dello Stato, proprio come farebbe una qualsiasi tribù in Medio Oriente. Lo Stato di Hamas deve trovare la sua strada tra il martello (l’accusa di essere diventato un collaboratore di Israele) e l’incudine (il suo desiderio di fondare uno Stato arabo come gli altri, con un tenore di vita sufficiente per la popolazione e il lusso per i livelli più alti del movimento).
Israele non ha bisogno di immischiarsi della struttura sociale di Gaza, né tentare di riprogettare la mappa tribale e i suoi interessi. Lo Stato di Hamas - con tutti i suoi problemi di terrorismo e jihadismo - fa gli interessi di Israele, perché manda il sogno palestinese in frantumi e dimostra anche a chi in Israele è affascinato dal sogno della pace, che quel che sta accadendo ora a Gaza potrebbe succedere di nuovo, ma in una versione molto più drammatica, in Giudea e Samaria, se Israele trasferisse il controllo di quell’area nelle mani di un potere arabo. Molte città israeliane del centro sono a portata di tiro dei mortai, dei kassam e dei missili che potrebbero essere lanciati dalle colline di Giudea e Samaria. Perciò, Israele deve trovare una soluzione che ci liberi della maggioranza della popolazione araba in Giudea e Samaria, ma che ci consenta di rimanere nelle aree rurali. La soluzione degli otto stati, che si basa sulle tribù che vivono nelle città arabe in Giudea e Samaria, è l’unica soluzione che tenga conto della struttura sociale mediorientale oggi esistente, e che garantirà a Israele la sicurezza. Non una pace assoluta, perché cose come questa non esistono in Medio Oriente, ma una pace relativa, che ogni tanto avrà bisogno di una certa “manutenzione”.
In Medio Oriente soltanto la tribù invincibile può vivere in pace, perchè solo se un gruppo è forte le altre forze lo lasceranno stare in pace.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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