Sul FOGLIO di oggi, 15/03/2012, a pag.3, un editoriale titolato " Persi sulla via di Damasco "
Martedì l’ex magistrato Haytham al Maleh, l’attivista Catherine al Talli e uno dei più conosciuti leader dell’opposizione al regime di Damasco, Kamal al Labwani, si sono dimessi dal Consiglio nazionale siriano, l’organismo politico guidato da Burhan Ghalioun che cerca di coordinare la resistenza al regime di Bashar el Assad da un anno. Stando a fonti dello stesso Cns, le defezioni potrebbero non finire qui, “almeno altri ottanta membri si stanno organizzando in un nuovo movimento che punta ad armare al più presto i ribelli”. L’impasse dell’opposizione siriana, incapace di trovare al suo interno un leader carismatico e credibile sia verso l’interno sia verso l’esterno, è soltanto uno degli aspetti della crisi strategica dell’occidente rispetto a tutta la primavera araba. La rivoluzione del medio oriente è il risultato della “freedom agenda” bushiana, che pur tra i tanti errori d’esecuzione aveva instillato la voglia di democrazia in terre e popoli che conoscevano soltanto le dittature. Ma in un anno e più di rivolte, il senso iniziale di lotta ai regimi si è perso nei rivoli dei distinguo, delle contingenze, delle ricette ad hoc. L’impotenza nei confronti del regime siriano, che da un anno reprime il suo popolo con ferocia, facendo già novemila vittime, è la conseguenza di questa mancanza di una strategia unitaria, seppure declinata ovviamente a seconda dei contesti.Da mesi i leader occidentali si chiedono se sia il caso di consegnare le armi ai ribelli siriani, visti i non esaltanti precedenti. Mentre ci si interroga, il Qatar e il suo attivissimo emiro al Thani fanno la loro guerra ad Assad, con soldi e armi, come hanno già fatto in Libia. Noi valutiamo le alternative: imporre una “no fly zone” pare impossibile, perché la Siria non è un deserto continuo come la Libia. L’invasione da terra è ancora più impraticabile (oltre a essere esclusa da tutti i leader del mondo) perché non si saprebbe da dove far passare eserciti e carri armati. C’è poi l’Iran che, se può aver accettato l’inevitabilità della caduta di Assad, certo non starà a guardare che l’occidente decida il suo piano post Assad. Nonostante l’emergenza umanitaria sia ben più grave di quella che giustificò, nel giro di poche settimane, l’intervento in Libia, ora la via onusiana è ostacolata dalla Cina (che come si sa è però convincibile) e dalla Russia, che non dimentica “la manipolazione” occidentale della risoluzione che autorizzò l’uso della forza: varata per proteggere i civili è diventata una caccia all’uomo (Gheddafi). In Siria, l’occidente rivela la sua paralisi e si mostra incapace di attuare la mossa decisiva per propiziare la caduta del regime. Manca un piano concreto, soprattutto manca una visione strategica, che una volta chiamavamo chiarezza morale, ma ora non si usa più.
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