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Informazione Corretta Rassegna Stampa
15.03.2012 Gli intellettuali collaborazionisti come a Vichy
Commento di Giulio Meotti

Testata: Informazione Corretta
Data: 15 marzo 2012
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Gli intellettuali collaborazionisti come a Vichy»

Gli intellettuali collaborazionisti come a Vichy
di Giulio Meotti

(Traduzione di Yehudit Weisz)

http://www.israelnationalnews.com/Articles/Article.aspx/11389#.T19f5oFELuw

Henning Mankell, Sartre e de Beauvoir, Zymunt Bauman, Edgar Morin, Angelo D'Orsi,
in basso la copertina dell' e-book di Bruce Bawer

Quanti giornalisti occidentali avevano dichiarato, prima del massacro dei Fogel, che i palestinesi hanno il diritto di attaccare le città come Itamar?
Bruce Bawer, il giornalista americano che vive in Norvegia, è l’autore di un nuovo libro, appena pubblicato, dal titolo “I nuovi Quislings”, una vera e propria sferzata contro la caccia alle streghe e l’isterismo che hanno avvelenato l’Europa dopo la carneficina avvenuta l’anno scorso, nel campeggio di giovani vicino a Oslo.
Il termine “Quisling” è nato in Norvegia, dal nome del politico che ha incoraggiato l’invasione nazista del proprio paese. Nonostante lo splendido libro di Bawer sia incentrato sulla Norvegia, esso getta una nuova luce su un fenomeno che sta mettendo radici profonde: la notte dell’Europa e dei suoi intellettuali, collaborazionisti come lo furono a Vichy.
In tutta Europa scorre un fiume di denaro sporco e insanguinato, che foraggia chi incita al boicottaggio anti-ebraico, isieme alla diffusione di menzogne contro Israele sotto forma di “giornalismo obiettivo” e “ricerca accademica”. 
Questo facilita la carriera di quegli intellettuali che tradiscono così la loro professione, demonizzando continuamente lo Stato di Israele.
Oggi a Oslo non ci sono quasi più Ebrei, tuttavia la capitale norvegese è diventata uno dei centri globali del nuovo anti-semitismo.
Gli ebrei sono poco più di un migliaio in città, e cercano di essere il meno visibili possibile.
 E’ come durante la Shoah: anche se gli ebrei erano pochi, questo non impedì a poliziotti cresciuti in buone famiglie norvegesi di guidare gli invasori tedeschi fino ad un liceo per arrestare una ragazza ebrea e spedirla ai campi di sterminio.
In un famoso editoriale apparso su 'Aftenposten' nel 2006, titolato sarcasticamente “Il popolo eletto di Dio”, Jostein Gaarder, autore del best seller “Il mondo di Sofia”, scrisse che “non dobbiamo più riconoscere lo Stato di Israele, non dobbiamo credere all’idea che esista un ‘popolo eletto di Dio’, il presentarsi come popolo eletto di Dio non solo è stupido e arrogante, ma è un crimine contro l’umanità”.
Il libro di Bawer racconta la storia di Lars Gule, ex presidente dell’Associazione Umanista Norvegese e figura di alto profilo nei circoli culturali norvegesi. Nel 1977 Gule aderì al Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina, il gruppo terroristico responsabile del massacro a Maalot nel 1974, in cui furono uccisi 22 studenti israeliani.
Gule fu incaricato di far esplodere una bomba in Israele nel 10°anniversario della Guerra dei Sei Giorni, ma all’aeroporto di Beirut venne fermato per aver nascosto tra i libri nel suo zaino 750 grammi di esplosivo.
Leggendo il coraggioso pamphlet di Bawer, ci tornano in mente nomi divenuti icone famose, come Gide, Claudel, Romains, Picasso, Malraux e Piaf, così come i nomi d’intellettuali comunisti francesi che nel 1953 organizzarono una manifestazione a Parigi a sostegno della politica sovietica, secondo cui i medici ebrei avevano assassinato dei leaders comunisti.
Sopra tutti spicca il nome di Jean-Paul Sartre, l’incarnazione dell’impegno culturale, il guru umanista che aveva rifiutato il Premio Nobel per la letteratura e fondato il giornale di sinistra Libération.
Durante l’occupazione nazista di Parigi, Sartre fu un cinico profittatore, esclusivamente interessato alla propria carriera letteraria e pronto al compromesso con le autorità naziste. Sartre collaborava alla rivista “Comoedia” finanziata dai nazisti; il suo testo, “Le mosche” ottenne l’approvazione della censura tedesca. La sua compagna, la dea della letteratura, Simone de Beauvoir, lavorò per “Radio Vichy”, la radio nazionale francese filo-tedesca. Dopo la guerra, Sartre ricostruì la sua immagine come “gran resistente”.
Ormai conosceva bene l’esistenza degli orrori nei gulag sovietici, ma non ne parlò mai per “non scoraggiare il morale degli operai di Billancourt”.
Molto meno noto è il suo consenso al terrorismo arabo: quando nel 1972 alle Olimpiadi di Monaco di Baviera 11 atleti israeliani furono massacrati, Sartre scrisse: ” Il terrorismo è un’arma terribile, ma i poveri oppressi non ne hanno altre”.
La lezione che si evince dalla storia di Sartre e dal libro di Bawer stimola a stare all’erta oggi: vale a dire che si deve riflettere sul fascino verso il totalitarismo della jiadh e il terrorismo palestinese da parte degli intellettuali occidentali e sul loro silenzio su questi temi.
Rivela inoltre quanto sia profondo l’odio anti-ebraico che divora le menti dell’élite intellettuale europea. Quando schiere di “martiri arabi”hanno cominciato a farsi esplodere nelle strade di Gerusalemme, Tel Aviv, Afula e Karnei Shomron, quanti intellettuali occidentali espressero questa sartriana, ignorante empatia per la furia omicida?
A quel tempo il Guardian pubblicò un editoriale intitolato “Israele non ha il diritto di esistere”. Oggi, gran parte degli intellettuali europei, accademici, scrittori e giornalisti, sono fra coloro che letteralmente riabilitano il male, giustificando il massacro di ebrei.
Quanti sono i giornalisti occidentali che hanno dichiarato prima del massacro dei Fogel, che i palestinesi hanno il diritto di attaccare città come Itamar?
Tom Paulin, il poeta irlandese, ha sostenuto che “si dovrebbe far fuori i coloni nati a Brooklyn”. Inoltre ha aggiunto: ” Io non ho mai creduto che Israele abbia il diritto di esistere”. (Sembra che si stia avverando una visione nazista, alcune note icone culturali hanno anche parlato di eliminare qualsiasi presenza israeliana dalle istituzioni accademiche e di interrompere qualsiasi cooperazione scientifica con Israele).
Zygmunt Bauman, uno dei sociologi più influenti al mondo, di recente, in un’intervista al settimanale polacco Politika, ha paragonato la barriera di difesa israeliana anti-terrorismo al ghetto di Varsavia, da cui 400.000 innocenti, pacifici ebrei furono eliminati nelle camere a gas di Treblinka.
Non dimentichiamo l’illustre sociologo francese, Edgar Morin, che ha definito Israele “un cancro”. Lo storico tedesco Ernst Nolte, ad un congresso in Italia disse : ”L’unica differenza tra Israele e il Terzo Reich è Auschwitz” e “La simpatia per i palestinesi è più diffusa di quella per le vittime della Shaoh”.
Ma anche l’autore svedese di best sellers, Henning Mankell, che partecipò alla Flotilla pro Hamas, e lo storico italiano Angelo D’Orsi, che si rammarica solo che “forse è troppo tardi” per annullare Israele perché “ lo scandalo è l’esistenza stessa di quello Stato ”.
A.N. Wilson, un importante scrittore inglese, ha “con disgusto” concluso che Israele non ha più alcun diritto di esistere.
Questa egemonia giudeofobica viene esercitata sui quotidiani, cinema, riviste, libri ed eventi culturali. Resta in circolazione come i rifiuti sintetici e come la plastica, non scompare per generazioni. E’ come l’inquinamento.
L’anti-semitismo non stupisce più la gente.
Le mani dei nostri intellettuali occidentali, collaborazionisti come a Vichy, grondano di sangue israeliano.

Giulio Meotti scrive sul Foglio, tiene una rubrica settimanale su Arutz Sheva, scrive per Wall Street Journal, Commentary, Ynet. Ha pubblicato il libro  " E continueranno a danzare " (Lindau Ed.), tradotto in inglese con il titolo " A New Shoah" (Encounter Pub.), la storia delle vittime israeliane del terrorismo palestinese.


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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