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Il Giornale Rassegna Stampa
10.03.2012 Le amicizie su Facebook, passaporto per l'Iran, il nuovo libro di Ron Leshem
lo intervista Stefania Vitulli

Testata: Il Giornale
Data: 10 marzo 2012
Pagina: 29
Autore: Stefania Vitulli
Titolo: «Le amicizie su Facebook, passaporto per l'Iran»

E'uscito in italiano il nuovo romanzo dello scrittore israeliano Ron Leshem, pubblicato da Cargo con il titolo " Undergound Bazar". Leshem è l'autore di "Tredici soldati" dal quale era stato tratto il film "Beaufort", un successo internazionale del cinema israeliano. In questi giorni è in Italia per presentare il nuovo romanzo.
Ecco l'intervista:

 Ron Leshem

«Tre anni e mezzo fa per la prima volta nella mia vita ho incontrato degli iraniani. È cominciato in in­ternet. Non sono sicuro di sapere perché li ho avvicinati. A volte cer­co l’amicizia di un individuo che non ha nessun motivo per essere mio amico. Sotto la pro­tezione di un social network mi intrufolo nei suoi album fotogra­­fici, navigo con indiscre­ta placidità all’interno di casa sua, lo osservo durante una cena di fa­miglia, in ufficio, in va­canza, in un bar, in spiaggia, quando si al­za, quando si corica». È cominciata così, grazie a Facebook, una delle collaborazioni lettera­rie pi­ù originali e illega­li di questi tempi digita­li.
Lo scrittore israelia­no Ron Leshem - uno convinto che il mondo mandi segnali a chi vuo­le scrivere - , nato nel 1976 a Ramat Gan, vici­no a Tel Aviv, ci ha pro­vato prima con palesti­nesi, egiziani, siriani.
Ma soltanto gli iraniani accettavano sempre l’amicizia. Così, grazie ai racconti di due di loro, postati di notte, per due anni, è riuscito a scri­vere il suo ultimo romanzo,
Under­ground Bazar (Cargo, pagg. 406, euro 20, trad. Cinzia Bigliosi - lo presenterà a«Libri Come»dopodo­mani alle 15 con Nir Baram e Eshkol Nevo). Protagonisti sono lo studente Khami che, a Teheran ospite della zia, apre agli iraniani grazie al suo computer un mondo prima proibito, e la pilota Niloufar, che coinvolge il ragaz­zo in un giro di feste e amicizie con opposito­ri di Ahmadinejad.
Questa cooperazio­ne speciale è stata tutta merito dei nuo­vi media o avrebbe potuto succedere anche in un mondo non digitale?
«È stata possibile gra­zie alla curiosità, anche se oggi è così facile tro­vare ciò che si cerca che l’eccitazione va sce­mando. Lo stupefacen­te del digitale è che mi ha dato la possibilità di volare in luoghi dove nel mondo reale mi è proibito volare e passa­re del tempo con gente con cui sempre nel mondo reale mi è proi­bito stringere amici­zia ».
E che cosa ha scoper­to
che non sapesse già?
«Un mondo intero: la vita dei gio­vani a Teheran, la dittatura tecno­logica ai tempi di internet, le esecu­zioni per chi beve troppo, fa sesso o è gay. Sono rimasto scioccato da co­me ci si abitui a tutto e la crudeltà delle leggi religiose possa diventa­re
tran tran. Ma soprattutto da co­me persiani e israeliani siano simi­li ».
In che senso?

«Le loro donne forse sono più ele­ganti, ma per il resto sono il popolo più simile a noi. Il che mi ha inco­raggiato. Ma anche spaventato. Quando ho scoperto che io e i miei “amici” iraniani amiamo le stesse serie tv, ho capito quanti pregiudi­zi avevo. Credevo fossero cresciuti guardando puntate di Jihad per ra­gazzi. E loro credevano che in Israe­le non ci fossero città. Solo un de­serto e soldati».
Facebook l’ha fatta entrare nel­le vite della gente, ma qualcu­no sostiene che questo è anche un male.
«Internet non è solo un modo per rompere le barriere. È anche un modo per fuggire alla realtà. Quando stanno per giustiziare il tuo vicino fuori dalla finestra e tu ti chiudi in casa tutto il giorno a guar­dare clip su Youtube, hai l’illusio­ne di essere libero. Ma sei nella ma­­trice, in un mondo irreale. Sceglie­re dipende da noi».
Se oggi potesse entrare a Tehe­ran, che farebbe come prima cosa?
«Andrei in giro a piedi per un giorno, da solo. Al parco Jamshi­dieh, da cui si vede tutta la città, cir­condata dalle montagne innevate.
A piazza Argentina, dove vivono i personaggi del mio romanzo. Al­l’Università, per incontrare i miei amici. E al cimitero militare, che ci rende tutti così simili».
Pensa che la sua storia sia un esempio di come la letteratura può «cambiare» il mondo?
«Non sono così ingenuo. Ci sono due modi per convincere la gente a cambiare: il primo è con i fatti, i da­ti e le presentazioni in Powerpoint.
Il secondo raccontando storie. Con il primo fronteggio i dubbiosi, i sospettosi. Col secondo, i miei ro­manzi, film, serie tv, arrivo al cuore delle persone per aprirlo a idee e pensieri a cui, altrimenti, non si sa­rebbe mai aperto».

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