Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 09/03/2012, a pag. 34, l'articolo di Simonetta Robiony dal titolo "Così divento Golda Meir la lady di ferro israeliana".
William Gibson
La pièce di William Gibson ha avuto due trasposizioni teatrali, quella citata sulla STAMPA con Anne Bancroft è del 1977. Nel 2003, al Helen Heyes Theater di Broadway, Golda è stata interpretata da Tovah Feldshuh, grandissima attrice di prosa, in un monologo che ha avuto alla fine 15 minuti di applausi entusiasti. In questa pièce viene rievocata la famosa telefonata notturna di Golda a Kissinger durante la guerra del Kippur. Kissinger le aveva detto: io sono americano, poi segretario di Stato e poi ebreo. Bene, rispose Golda, ma l'ebraico va da destra a sinistra, quindi lei è per primo un ebreo, mi mandi subito gli aerei promessi, non abbiamo il tempo per aspettare. Kissinger capì e gli aerei arrivarono in tempo.
La vita di Golda Meir è stata portata anche sullo schermo in un film memorabile," Una donna chiamata Golda" interpretato da Ingrid Bergman, la sua ultima interpretazione prima di morire.
Paola Gassman
Tovah Feldshuh qui nei panni di Golda
Paola Gassman, la prima figlia di Vittorio Gassman, è una bella signora elegante e senza età, ma basta una parrucca di capelli ingrigiti e un tailleurone di flanella uguale a quelli che portavano le donne dell’Udi o dell’Azione cattolica, ed ecco che si trasforma in Golda Meir, militante del movimento sionista e premier dello stato di Israele nei lontani Anni Settanta, quando ancora non c’era stata la Thatcher.
In un teatrino che la Marina Militare ha cortesemente dato in prestito, si fanno le prove de Il balcone di Golda , un testo che l’americano William Gibson, quello di Anna dei miracoli , scrisse e che interpretò Anne Bancroft. Un testo che, rimesso a posto dal suo autore poco prima di morire, ha debuttato nel 2003, è stato venduto, tradotto e visto in mezzo mondo ed è tuttora in scena in America forte di oltre 3600 repliche. Ed è proprio in America che Maria Rosaria Omaggio, attrice per vocazione attenta alle tematiche femminili, l’ha visto, ne ha comprato i diritti e lo porta adesso da noi, al Piccolo Eliseo di Roma, dal 20 marzo al 1 aprile. Figura centrale nella storia di Israele, Golda Meir è una ebrea di famiglia russa, emigrata con i genitori in America dove è cresciuta, ha studiato, ha preso marito prima di trasferirsi nel 1918, alla fine della Grande Guerra, in Palestina, con l’idea di fare della Terra Promessa non solo un luogo di memorie antiche ma un paese riconosciuto dalle Nazioni Unite come una autentica democrazia.
Gibson, però, in questo suo monologo drammatico, non è tanto interessato all’impegno politico di questa donna quanto alla sua lacerazione psicologica: da una parte gli affetti privati, i figli, i nipoti, il marito da cui finisce per separarsi, i compagni di partito, dall’altra le scelte difficilissime che è costretta a compiere per imporre le sue idee. In mezzo lei che si barcamena in cerca di una soluzione che non c’è. «Più che di un balcone parlerei di due balconi. Il balcone pubblico e quello privato che si intersecano continuamente tra loro. E’ questo che mi ha colpito ed emozionato - spiega Maria Rosaria Omaggio - scoprire che un uomo, forse perché alla fine della carriera e della vita, ha saputo entrare nella testa e nel cuore di una donna complessa e sfaccettata come fu la Meir, raccontandola a tutto tondo». La scena è spoglia e grigia: due tavoli di ferro, una poltrona, un telefono e Paola Gassman che va avanti e indietro con l’eterna sigaretta accesa in mano, accompagnata dalle musiche di Luis Bacalov. E’ la notte dello Yom Kippur del 1973, quando sembrava che Israele, per difendersi dall’attacco dell’Egitto, avrebbe fatto ricorso alla bomba atomica, una minaccia lanciata dalla Meir come uno spauracchio per ottenere l’appoggio di Kissinger.
«Ho voluto leggere una sua biografia per poter meglio entrare nel personaggio - spiega Paola Gassman che ha scelto di fare questo spettacolo inserendolo a stento nei suoi impegni precedenti -. Io stessa ne sapevo poco, ma i ragazzi, spesso, non conoscono neanche il nome di Golda Meir. Eeppure la questione del Medio Oriente è tuttora centrale come dimostra la Siria. E non è solo una faccenda di petrolio. Israele c’entra, c’entra molto». A vedere lei che fa Golda Meir, racconta ridendo, arriverà dall’America, con marito e figli, pure sua sorella Vittoria, quella che fa il medico e che ha scelto, a differenza di sua madre Shelley Winters, di essere una ebrea osservante e militante, molto interessata perciò a chiunque parli di Israele e di Palestina.
Non c’è mai stata, per Maria Rosaria Omaggio, la tentazione di essere lei stessa a interpretare Golda Meir: era appena stata scelta da Wajda per fare Oriana Fallaci nel film su Lech Walesa e la Meir, all’epoca, fu intervistata proprio dalla Fallaci: «Farla io sarebbe stata una sovrapposizione di ruoli insostenibile». C’è, invece, per lei la massima attenzione ad essere chiara, a far capire i fatti, a illustrare quale fosse allora il quadro internazionale. «Sono ricorsa a video, fotografie, musiche. Sulla Shoah solo le immagini della Sala della Memoria dedicata ai bambini. Niente sulla strage degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco perché l’autore non ne parla. Scarsi gli orpelli in palcoscenico. Ma la sigaretta a Golda Meir non l’ho potuta togliere: ne fumava sessanta al giorno. Ho messo in mano a Paola Gassman una di quelle finte che si accendono, fanno vapore e, viste a distanza, sembrano proprio vere».
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