Due anni fa ospitammo a Roma una comunità di ragazzi Cristiani Ortodossi provenienti dall'Alta Galilea e una sera furono letti alcuni brani della Bibbia prima in italiano e poi in lingua ebraica. Il primo fu Deut 6,4-ecc. Noi leggemmo: Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno; essi lessero, dal loro testo: Shemà, Adonai elohenu...Io chiesi spiegazione di questo al loro accompagnatore, estraneo, ma al corrente della loro logica il quale mi rispose che per queste persone Israele viene rifiutato persino come parola.
La guida comunicava con loro, ed essi tra di loro solo in arabo. Chiesi ragione anche di questo e, sempre la guida, mi rispose che tutti questi ragazzi erano bilingue, di nazionalità israeliana ma non di razza ebraica, pertanto "l'altra" lingua, e non solo quella non era amata. Spero che il sig. G. Quer possa capire perché in Israele alcuni servizi siano preclusi a talune "minoranze". E' stato già doloroso per me che sono italiano e cattolico prenderne atto; posso solo immaginare come debba tradursi ciò nella vita di tutti i giorni per un ebreo nella sua patria costretto a vivere con al fianco altri cittadini che lo odiano dal più profondo del cuore. L'esenzione degli ultraortodossi meriterebbe un discorso a parte; ma mi sembra solo oltreché una scelta politica di comodo (10% dell'elettorato, destinato a crescere esponenzialmente e che vota secondo una unica coscienza, fa gola e paura) una grossa ingiustizia perpetrata dallo Stato verso chi l'esercito lo fa. Le motivazioni addotte dal sig. Quer a favore di un servizio dovuto da tutti senza distinzioni sono valide e convincenti, ma lo Stato e i suoi governanti sono lungimiranti e si rendono giustamente conto che non sono attuabili nell'immediato, anche se questo immediato dura ormai da oltre sessanta anni e sarà destinato a durarne forse per altri sessanta o almeno fino a quando tutti in Israele, cristiani ed ebrei in Deut. 6, 4...non leggeranno "Shemà Israel". Cordialmente
Luigi Malerba
Risponde Giovanni Quer:
Come accennavo nell'articolo, l'esercito può rifiutare l'arruolamento per ragioni di sicurezza. Tuttavia, l'esenzione totale dalla coscrizione degli arabi per ragioni politiche si prova insostenibile proprio a fronte dell'atteggiamento della minoranza araba verso lo Stato, verso la narrativa e l'etos israeliani e verso gli ebrei in generale. Richiedere agli arabi di contribuire alla società israeliana come ogni altro cittadino è per taluni una prova di fedeltà, per altri un'occasione di integrazione, per alcuni un'ennesimo tentativo di oppressione.
Sulla questione della lealtà della minoranza araba verso Israele concordo nel sostenere che la narrativa palestinese ha penetrato il sentire sociale degli arabi israeliani che si definiscono palestinesi pur essendo felici di avere il passaporto israeliano. Non credo che il problema della lealtà sia definito dalla lingua araba, se non dal rifiuto di parlare l'ebraico quale lingua dell' 'oppressore'. Credo invece che il problema della lealtà sia definito dal ruolo dell'individuo verso lo Stato. Se il principio di eguaglianza richiede un trattamento diverso delle differenze, richiede anche un eguale sacrificio ai consociati. Pertato se il servizio militare è incompatibile con le ragioni di sicurezza e con l'etos della minoranza araba, il servizio civile non può che esser adatto alle richieste di ogni parte sociale.
Non finisce qui. Poiché i programmi di servizio civile sono approvati e gestiti dal Ministero della Difesa, molti cittadini arabi preferiscono boicottare questa via per percorrerne di alternative interamente definite dalle istituzioni comunitarie arabe. Il sogno di costruire una società parallela può esser tacitato proprio da un segnale forte che imponga a tutti, ebrei ultra ortodossi a-sionisti o cristiano ortodossi che non vogliono pronunciare la parola Israele, di dare allo stato un periodo della propria vita. Se questa è la giusta via verso l'integrazione è impossibile saperlo prima di percorrerla, tuttavia è il caso che anche i cittadini arabi "intrappolati" in uno stato ebraico che non riconsocono e in un popolo arabo che non li riconsoce si chiedano "cosa posso fare io per lo Stato" invece che chiedersi "come posso prendere sempre di più dallo Stato".