Giordania: la 'patria alternativa' ?
Analisi di Mordechai Kedar
(Traduzione dall'ebraico di Sally Zahav, a cura di Yehudit Weisz)
Mordechai Kedar, Giordania
Fin dalla sua fondazione, il regno di Giordania è stato contraddistinto da due identità, giordana e palestinese, che hanno interagito tra loro come una coppia di gemelli siamesi che si odiano, ma che non possono dividersi. L’origine sta nel fatto che molti cittadini della monarchia hashemita giordana si definiscono “palestinesi”, ma il loro Stato è la Giordania. Quindi come devono considerarsi, cittadini nel proprio paese o in uno stato straniero?
Il centro del problema sta nel fatto che il regno di Giordania non ha radici storiche, ma è il risultato di una decisione del colonialismo britannico, seguita all’impero ottomano alla fine della prima guerra mondiale. Il suo nome inizialmente era “ Emirato di Transgiordania”, dato che i britannici non avevano trovato un nome unico da dargli. Fino all’epoca del Mandato Britannico, la Giordania non era uno Stato, né un paese distinto, come ad esempio, l’Egitto, e non aveva una sua leadership locale. Gli inglesi designarono Abdullah, il figlio di Sharif Hussein, responsabile dell' Emirato di Transgiordania, anche se gli abitanti del paese non riconoscevano in lui un leader naturale, uno di loro, poichè era nato a centinaia di chilometri a sud della Giordania. Questo è il motivo per cui, ancora oggi, molti Giordani considerano il regime del loro paese illegittimo.
La Giordania, dal punto di vista culturale, è divisa in due: i beduini da una parte, i contadini e la gente di città dall’altra. All’epoca del Mandato Britannico, prima della creazione degli Emirati, ognuno di loro era “palestinese” perché era un residente del Mandato Britannico per la Palestina, la Terra di Israele. Dopo la creazione degli Emirati, Abdullah, il figlio di Sharif Hussein proveniente dalla Mecca, fu accettato come leader legittimo soltanto dai beduini, mentre coloro che vivevano nei villaggi e nelle città lo consideravano uno straniero, designato dagli inglesi. Ecco perché i beduini accettarono l’identità degli Emirati, e di conseguenza, a partire dal 1946, assunsero la qualifica di sudditi della monarchia; gli abitanti dei villaggi e delle città invece continuarono a chiamarsi “palestinesi”, esattamente come durante il Mandato Britannico. Alcuni di loro avevano legami famigliari con i residenti a occidente della Giordania, e quindi era più facile per loro definirsi palestinesi, piuttosto che giordani.
Durante la guerra del 1948, alcune centinaia di migliaia di arabi abbandonarono Israele per la Giordania, accolti in gran parte nei campi profughi. Negli anni successivi, soprattutto in seguito alla Guerra dei Sei Giorni nel 1967, altre centinaia di migliaia si rifugiarono in Giordania, costituendo così la maggioranza assoluta dei sudditi giordani, circa il 70%, anche se, la Giordania dichiara che i palestinesi non superano il 30%. Da allora il compito della monarchia è stato quello di tenere unite le due maggiori componenti della popolazione, beduini e palestinesi.
Di recente questo piano è stato definito”Innanzi tutto giordani”, che significa che tutti i residenti in Giordania devono adottare una comune identità nazionale, superando così le singole tradizionali differenze culturali. Ma già solo il modo in cui è stata condotta questa campagna ha generato dissensi. Il re e i suoi sostenitori parlano di “santa unità”, mentre i palestinesi dicono di sentirsi emarginati. Questa loro sensazione nasce dal fatto che ai beduini vengono affidate posizioni di governo, mentre ai palestinesi è proibito; di conseguenza trovano lavoro soprattutto in settori economici privati. In particolare i palestinesi sono commercianti, imprenditori, professionisti e accademici; mentre i Beduini sono ufficiali nell’esercito, nella polizia e nel Muhabarat (agenzia interna d’intelligence).
Nell’arco del tempo sono successe molte cose che hanno influenzato i rapporti tra la Giordania e i palestinesi residenti nello stato. La prima svolta importante è stata quella impressa dall’occupazione da parte giordana della Cisgiordania nel 1948, occupazione non riconosciuta a livello internazionale. I residenti della Cisgiordania ebbero la cittadinanza giordana, ma i beduini al governo li considerarono nemici stranieri: chiunque di loro osasse parlare di identità palestinese avrebbe messo a repentaglio la propria vita.
Un secondo evento fu la morte di Abdullah, assassinato davanti allla moschea Al-Aksa nel 1951. Si disse che l’omicidio fosse il risultato dei negoziati che Abdullah aveva avuto con i rappresentanti del movimento sionista. Infatti non aveva problemi a negoziare con i sionisti, dal momento che non aveva alcun interesse nella parte di Palestina a ovest del fiume Giordano, e perciò era pronto a rinunciarvi permettendo così la creazione di uno Stato ebraico.
Il terzo evento fu la conquista israeliana della Giudea e della Samaria, (la “Cisgiordania” o “West Bank”) durante la Guerra dei Sei Giorni, nel 1967. Nacque allora una teoria che sosteneva l'ipotesi di un complotto, che il governo giordano aveva rinunciato volontariamente a quei territori poiché non voleva annettere altri palestinesi.
Il quarto evento fu la cessazione delle relazioni fra i due territori nel 1988, come risultato della prima Intifada. La separazione incluse la cancellazione della cittadinanza giordana dei residenti in Giudea e Samaria, con il risultato che molti di loro oggi non hanno alcuna cittadinanza. Questo avvalorò il sospetto che la sola cosa che il governo giordano voleva era liberarsi dei suoi cittadini palestinesi, in modo da aumentare la percentuale dei beduini fra la popolazione giordana.
Un ulteriore argomento che influenza negativamente il modo di rapportarsi del governo giordano nei confronti dei palestinesi, è la tensione che esiste tra il diritto di cittadinanza e il “diritto al ritorno”. E' un fatto che chiunque vive in uno Stato ne desideri la cittadinanza, per usufruire dei servizi di base, come passaporto, scuola, lavoro, assistenza sanitaria, pensione. Ma, nel caso dei palestinesi in Giordania, ottenere la cittadinanza significa avere un permesso di residenza permanente e quindi la perdita dello “status di rifugiati”, cioè la possibilità di richiedere ancora il “diritto al ritorno”. Questa situazione fu esacerbata dal raggiungimento dell’accordo di pace tra Israele e la Giordania nel 1994, in base al quale la Giordania riconobbe Israele, che escludeva la richiesta al “diritto al ritorno” dei palestinesi.
Durante gli ultimi 50 anni, da quando fu fondata l’OLP, tra il governo giordano e i palestinesi si giocò al gatto e topo. L’OLP ha dichiarato in tutti questi anni di essere” l’unica legittima rappresentante del popolo palestinese”, cioè di tutti i palestinesi del mondo, compresi quelli con cittadinanza giordana. Per questo Re Hussein ha sempre sospettato l’OLP di volerli incitare contro la monarchia. Il punto di ebollizione si raggiunse nel settembre del 1970, quando l’OLP prese il controllo di una vasta area nel nord della Giordania e la trasformò in un territorio autonomo palestinese sotto controllo militare. La ragione per cui l’OLP rivendicava questi territori era di poter condurre da lì la battaglia contro lo Stato di Israele, dopo che Israele, tre anni prima, l' aveva costretto ad andarsene da Giudea e Samaria.Tuttavia Hussein capì che la lotta contro Israele era solo una parte della storia, mentre l’altra era il desiderio dell’OLP di controllare maggiormente la Giordania, un'area in cui i Palestinesi erano già assoluta maggioranza. Hussein capì la posta in gioco,“o Arafat o me” e perciò mise in atto un massacro, uccidendo oltre 20.000 palestinesi . Questo evento drammatico rafforzo quindi il suo potere in Giordania e la memoria di quell’evento è ancora presente oggi.
La pace con Israele fu vista come illegittima dalla maggioranza dei giordani palestinesi, che la giudicarono un interesse personale di Re Hussein, per ottenere l'aiuto israeliano e americano contro gli stati vicini, a nord e a est: la Siria di Hafez al-Assad e l’Iraq di Saddam Hussein. Videro l'accordo di pace come un tradimento dei loro interessi, perché non ci fu alcun progresso nella questione palestinese, in contrasto con gli accordi di Camp David tra Sadat e Begin (1978), in cui c’era un chiaro riferimento a promuovere l’autonomia palestinese. Inoltre, i palestinesi considerarono gli accordi tra Israele e Giordania come il risultato del desiderio di Re Hussein di veder riconosciuta la monarchia da parte di Israele, per contrastare chi, in Israele, Ariel Sharon per esempio, sosteneva che la Giordania era il vero Stato palestinese.
Anche la situazione interna tra i palestinesi è fonte di tensione tra OLP e la monarchia giordana. Fin dal gennaio 2006, quando Hamas vinse il maggior numero di seggi nel parlamento palestinese, la gente dell’OLP teme che la Giordania sia più vicina ad Hamas che all’Anp per diverse ragioni. La prima è rappresentata dalla vicinanza culturale tra i beduini giordani e Hamas, un movimento formato in gran parte su gruppi di discendenti dei beduini, che costituiscono una parte significativa della popolazione della striscia di Gaza. La seconda ragione è che tra i palestinesi Hamas è la forza in crescita, mentre l’OLP è in declino, per cui i Giordani preferiscono la relazione con la futura leadership politica e non con i dirigenti dell'Anp al tramonto. Un’altra ragione è il desiderio di Abdullah, re di Giordania, di controllare nel proprio paese i Fratelli Musulmani, ideologicamente vicini ad Hamas.
Un ulteriore problema che ha incrinato il rapporto è la dichiarazione dei Palestinesi di sentirsi emarginati, anche il Parlamento non riflette la loro vera proporzione fra la popolazione. Il tasso di disoccupazione tra i Palestinesi è alto perché il Governo preferisce assumere i laureati delle Università beduine e non i palestinesi. In molti casi, vengono anche sospettati di attività sovversiva nei confronti dello Stato, per cui vengono privati della cittadinanza, e la possibilità di riaverla è limitata. Contro di loro vengono prese decisioni arbitrarie e eccessive, e non hanno interlocutori ai quali chiedere aiuto.
L’emarginazione della maggioranza dei palestinesi in Giordania nell’ultimo anno, l’anno della”primavera araba”, li ha spinti a cercare un'altra strada, una " patria alternativa” . In origine, questa era stata un’espressione spregiativa, riferita alle intenzioni dell’israeliano Ariel Sharon, che sosteneva la trasformazione della Giordania in uno Stato palestinese. Oggi sembrano vedere nella parte nord della Giordania, quella popolata da una maggioranza palestinese, una zona che può diventare autonoma o persino totalmente indipendente, non valutando quel che può succedere tra Israele e i palestinesi che vivono in Giudea, Samaria e a Gaza. Anche perchè, se nascesse uno Stato palestinese in Giudea e Samaria, non risolverebbe le tensioni tra il regime giordano e i suoi cittadini palestinesi. Hanno però il diritto di risolvere i loro problemi a spese della Giordania, senza interessarsi alle soluzioni che Israele potrà trovare per i palestinesi di Giudea, Samaria e Gaza.
Questo spiega perché il Re Abdullah si sia spesso incontrato con il Presidente Obama: suo padre, il re Hussein, combattè con tutte le sue forze contro la fondazione di uno Stato palestinese in Giudea e Samaria, perché lo vedeva come una minaccia irredentista nei confronti della Giordania. Abdullah invece sta cercando di convincere gli USA a fare pressioni su Israele perchè si formi al più presto uno Stato palestinese in Giudea e Samaria, in modo da poter dire ai suoi palestinesi ”chiunque è interessato a vivere in uno Stato palestinese deve trasferirsi nel nuovo Stato palestinese in Giudea e Samaria”. Oggi c’è una competizione in senso negativo tra Israele e la Giordania: nessuno dei due vuole creare uno Stato Palestinese al suo interno e vincerà chi riuscirà a lasciare la patata bollente dello Stato palestinese nelle mani dell'altro.
C’è una certa somiglianza tra le richieste dei palestinesi in Giordania e quelle degli Arabi palestinesi che sono cittadini di Israele, soprattutto in Galilea. Anche loro dichiarano che uno Stato palestinese non risolverà i loro problemi come minoranza che vive nello Stato ebraico. Perciò essi chiedono l’autonomia, se non l’indipendenza, in quelle aree della Galilea in cui sono in maggioranza. Israele respinge con forza questa richiesta e la Giordania non si comporta diversamente da Israele. Tuttavia c’è una piccola differenza tra Israele e la Giordania: i palestinesi in Giordania sono un’assoluta maggioranza nella popolazione, mentre in Israele la loro proporzione (compresi i beduini) è all’incirca del 20%.
In Giordania la situazione è instabile, poiché il re, negli ultimi anni, ha perso credito tra i beduini, i tradizionali sostenitori della monarchia hashemita. Apparentemente non ha le stesse capacità diplomatiche del padre, e i suoi sforzi per sedare l’opinione pubblica palestinese in Giordania non piace neppure ai beduini. Anche la situazione economica non lo aiuta, il tasso di disoccupazione è assai elevato. Più scende il gradimento del re, più forti diventano i tentativi dei palestinesi di combattere la monarchia e lottare come è avvenuto in Tunisia, Libia, Egitto, Yemen e Siria. Tra i palestinesi in Giordania c’è molto risentimento contro il regime e questo potrebbe essere facilmente l’onda d’urto della “primavera araba” che porterebbe i palestinesi giordani dalla loro tranquilla posizione negli affari alle turbolente dimostrazioni nelle strade, dove potrebbe scorrere il sangue senza che vi sia un obiettivo preciso da raggiungere.
L’idea della “patria alternativa” dà i brividi a re Abdullah II e ai suoi sostenitori beduini, che a questo punto non hanno alternative perché, se questa idea li porterà a scendere per le strade, essi si troveranno in una situazione simile a quella di Mubaraq, nel migliore dei casi, e a quella di Gheddafi , nel peggiore. In una società tribale, come quella in Giordania, le cose possono deteriorarsi velocemente e trasformarsi in durissime violenze, con un quadro simile a quello della Siria, che dura ormai da un anno.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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