Primavera araba: la nuova Libia 'democratica' è peggio di quella di Gheddafi commento di Souad Sbai
Testata: Libero Data: 02 marzo 2012 Pagina: 15 Autore: Souad Sbai Titolo: «Torture, razzismo e vendette: la nuova Libia ha gettato la maschera»
Riportiamo da LIBERO di oggi, 02/03/2012, l'articolo di Souad Sbai dal titolo "Torture, razzismo e vendette: la nuova Libia ha gettato la maschera".
Souad Sbai
Rinchiusi in una gabbia. Umiliati. Come bestie, esposti agli insulti, agli sputi, alla vergogna e alla violenza, fisica e psicologica di una folla delirante, in preda ai prodromi della vendetta e della pulizia etnica. Una vergogna, un’infa - mia storica, di cui la Libia di domani porterà sempre il segno, a prescindere da chi andrà a governarla. I lealisti di Gheddafi ridotti come animali da zoo, rinchiusi in quella gabbia e costretti a mangiare la bandiera del regime, al grido di «cani», «sporchi cani», sono un’immagine aberrante. Non solo per chi l’ha messa in atto, ma anche per chi, come noi, la guarda sbattendo i pugni dalla rabbia perché la maggioranza era cieca di fronte all’avanzata di chi oggi domina con sangue la Libia. Del resto, quale novità in questi fatti? Se il Colonnello veniva trucidato in modo misterioso da una mano che libica non è. Se Mustapha Jalil era l’esecutore materiale delle repressioni sui dissidenti del regime di Gheddafi, se anche Saif al Islam ha subito l’amputazio - ne di tre dita di una mano dopo l’arresto e di lui non si sa più nulla, se la Libia del liberatore Jalil oggi minaccia di chiudere le relazioni internazionali con chi non consegna i membri della famiglia del raìs ancora sfuggiti alla mattanza. Questa è la Libia che la Comunità Internazionale voleva, mi pare di capire, anche perché mentre le anime belle Sarkozy e Cameron arrivavano a Bengasi, festeggiando la vittoria dell’estremismo armato fino ai denti perché aveva saccheggiato i depositi di Gheddafi, la mattanza di cui sopra già avveniva e nemmeno in maniera così silenziosa. Il 24 settembre 2011 i novelli “con - quistadores” mettevano piede a Bengasi e il 1 Ottobre successivo Human Rights Watch denunciava le torture, le sevizie e gli stupri nelle carceri libiche ai danni degli ex lealisti o di semplici cittadini “rei” di voler continuare a vivere. Gheddafi o no. Sharia o no. La Libia, o meglio chi la governa illegittimamente, ha scoperto il suo vero volto. Un volto di odio e di sopraffazione, di vendetta e di prevaricazione, di oppressione e di fanatismo applicato e militante. Jalil non ha per niente dimenticato le «buone maniere» verso chi dissente, non ha dimenticato le fosse comuni e le scomparse di massa di chi la pensava in modo diverso. Peccato che quando denunciammo, a gran voce e senza ambiguità né paura, chi fosse questo signore, ci venne risposto con un ni, con lo sguardo voltato incoscientemente dall’al - tra parte. O qualcuno ci ha risposto che erano più organizzati. A tagliare le teste. Perché la Libia ci serve, perché la Libia è un partner economico fondamentale. A chi gliene importa poi se il sangue ha talmente colorato la terra da farla sembrare pozzolana. Come ieri, anche oggi il colore dei soldi non teme quello del sangue degli innocenti. Innocenti che vengono umiliati in molte maniere, non solo in Libia, ma anche in Egitto, dove un film di una regista copta viene censurato dalla nuova élite estremista salafita che detiene il potere. O in Tunisia, dove gli studenti si oppongono con un coraggio eroico all’attacco salafita nelle università, che vorrebbe imporre il velo negli atenei a ragazze che da quando sono nate non ne hanno mai portato uno. Il mondo arabo è nelle mani dell’estremismo organizzato e militarizzato, questo lo sappiamo bene. Ma occorre denunciare che la testa dei dissidenti non la taglia solo la lama del radicalismo, la gabbia dove sono rinchiusi i lealisti non la apre solo l’estremismo assetato di sangue: chi non ha parlato, chi ha taciuto colpevolmente, chi ha preferito guardare nelle proprie tasche piuttosto che alle carceri dove migliaia di libici soffrivano nell’inferno della tortura, oggi può ben dire di aver appoggiato la sua mano sul manico di quel coltello. E di aver premuto talmente tanto che le sue impronte sono rimaste impresse nella mente dei moderati, delle donne e degli intellettuali che oggi patiscono, abbandonati da tutti, la violenza indiscriminata e l’oblio della storia.
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