Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 02/03/2012, a pag. 21, l'intervista di Giordano Stabile a Olivier Roy dal titolo " La Guida Suprema vuole la linea dura su Israele e nucleare ".
Olivier Roy
Janiki Cingoli
Olivier Roy scrive dei partiti islamisti che hanno preso il potere nei Paesi della 'Primavera araba' che si tratta di "partiti che hanno accettato il gioco democratico, che avranno il problema di far ripartire l’economia, non di lanciare programmi nucleari. E quanto alla sharia, non è più nell’agenda politica, di fatto. Tranne in Libia dove, bisogna dirlo, l’intervento armato non ha favorito uno sviluppo democratico". La sharia non sarebbe nell'agenda dei Fratelli Musulmani? E da quando? Roy, poi, arriva a incolpare l'Occidente e il suo intervento se nella Libia post-Gheddafi non c'è nessuna traccia di democrazia. Non è colpa degli islamisti, no, è stato l'Occidente a trasformare la Libia in un pasticcio islamico.
Secondo Roy, negli altri Paesi della primavera, ci si ispirerebbe a un "Modello turco, non iraniano. Non sto parlando di democratici liberali, ma di una destra religiosa, non così dissimile da quella americana". Paragonare i repubblicani americani agli islamisti come Erdogan è folle, solo un personaggio come Olivier Roy poteva partorire una teoria simile. Gli Usa sono una democrazia, i presidenti americani repubblicani non li hanno trasformati in teocrazie. La Turchia di Erdogan, invece, viaggia in quella direzione.
Roy continua : "Israele, se nasceranno compiutamente democrazie arabe, come farà a dire: ecco sono l'unica democrazia nel Medio Oriente, l'unico alleato affidabile per l’Occidente? Anche per questo, in fondo, non spinge molto per un cambio di regime in Siria". A Israele farebbe comodo la situazione attuale? Con la Siria al confine instabile, i ribelli appoggiati da al Qaeda, Assad appoggiato da Iran ed Hezbollah? A Israele farebbe comodo avere confini esplosivi per poter dire alla comunità internazionale : "ecco sono l'unica democrazia nel Medio Oriente, l'unico alleato affidabile per l’Occidente"?
Ma non stupisce che Roy abbia espresso simili teorie, vista la sua partecipazione a un convegno organizzato dal Cipmo di Janiki Cingoli, un'associazione il cui unico scopo è quello di appoggiare quelle forze politiche, che sotto una veste che si ispira al pacifismo, in realtà contribuiscono a rafforzare i nemici di Israele.
Per maggiori informazioni sulla carriera di Janiki Cingoli e del Cipmo, digitare il suo nome nella casella 'cerca nel sito' in alto a sinistra sulla Home Page di IC.
Ecco il pezzo:
Per chi ha profetizzato vent’anni fa la fine dell’avanzata islamista e l’ingresso del mondo arabo-musulmano nella dialettica democratica dovrebbero essere giorni amari. In Tunisia ed Egitto trionfano i partiti di ispirazione islamica, in Iran oggi si vota e la scelta è tra Ahmadinejad e Khamenei, fra islamisti e ultraislamisti, in Libia si parla apertamente di far della sharia la legge dello Stato. Ma per Olivier Roy, orientalista, studioso della cultura musulmana di levatura mondiale, non bisogna farsi ingannare dai proclami. Ieri al Circolo dei Lettori di Torino, al Convegno «A un Anno dalla Primavera araba. La Transizione difficile» organizzato dal Centro italiano per la Pace in Medio Oriente e dall’istituto Paralleli, ha argomentato il suo ottimismo.
Crede ancora che la Primavera araba alla fine porterà a un islam democratico in Medio Oriente?
«C’è un abisso fra come hanno preso il potere gli ayatollah e come lo hanno preso, o lo stanno per prendere, i Fratelli musulmani in Egitto o Tunisia. Là c’è una leadership rivoluzionaria, con un programma rivoluzionario, e tutto quello che ne consegue, qui ci sono partiti che hanno accettato il gioco democratico, che avranno il problema di far ripartire l’economia, non di lanciare programmi nucleari. E quanto alla sharia, non è più nell’agenda politica, di fatto. Tranne in Libia dove, bisogna dirlo, l’intervento armato non ha favorito uno sviluppo democratico».
L’Iran non riesce a essere un modello, insomma?
«Se guardiamo ai Fratelli musulmani in Egitto, a Ennhada in Tunisia, no. E non lo è neppure per i salafiti: sono predicatori religiosi, non un partito rivoluzionario. Si sono presentati alle elezioni per non essere tagliati fuori, per condizionare «da destra» i fratelli musulmani. Ma penso che alla fine vedremo un’alleanza fra moderati islamici e laici come El Baradei, con l’esercito a fare da garante. Modello turco, non iraniano. Non sto parlando di democratici liberali, ma di una destra religiosa, non così dissimile da quella americana».
I Fratelli musulmani come i Tea Party?
«Guardiamo ai programmi: sono centrati sui valori morali, della famiglia, della morale, del pudore. In economia difendono strenuamente la proprietà privata».
Anche l’Iran ha tentato di inserirsi nella Primavera araba?
«Sì. Ma è ai margini. Sostanzialmente i fratelli musulmani sono sostenuti dal Qatar, i salafiti dall’Arabia Saudita. Persino Hamas si è spostato dalla Siria, alleato iraniano, al Qatar. I più spiazzati dalla Primavera araba sono proprio l’Iran. E Israele».
Perché?
«L’Iran ha visto crescere a dismisura l’influenza dei suoi nemici storici, sauditi ed emiri del Golfo. Israele, se nasceranno compiutamente democrazie arabe, come farà a dire: ecco sono l'unica democrazia nel Medio Oriente, l'unico alleato affidabile per l’Occidente? Anche per questo, in fondo, non spinge molto per un cambio di regime in Siria».
Cambierà qualcosa il voto di oggi a Teheran?
«Da trent’anni, in Iran, ogni elezione serve a far fuori un pezzo della rivoluzione. Questa volta tocca Ahmadinejad, come è toccato a Khatami. È come sbucciare una cipolla: ogni volta si toglie uno strato, finché rimarrà solo il nocciolo più duro. La Guida suprema e il partito degli oltranzisti, del tanto peggio tanto meglio, dell’«andare fino in fondo».
Dove va Khamenei?
«Credo che voglia la Bomba, o almeno la possibilità di dotarsene. Ma soprattutto vuole la sfida totale con Israele. Probabilmente per serrare i ranghi, ridare linfa allo spirito rivoluzionario. Ma con un paradosso. Il gioco lo premia finché Israele non attacca. Se dovesse attaccare, e soprattutto se riuscisse a coinvolgere l’America riluttante di Obama a partecipare, le conseguenza economiche sarebbero tagli da mettere in ginocchio la Repubblica islamica. Questo è il bluff di Khamenei: si rafforza se sfida sempre più l’Occidente, ma deve evitare la guerra».
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