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Il Foglio Rassegna Stampa
29.02.2012 Iran, continua il programma nucleare. Che cosa dirà Obama all'Aipac ?
Un regista israeliano immagina un attacco dei missili iraniani. Cronache di Daniele Raineri, redazione del Foglio

Testata: Il Foglio
Data: 29 febbraio 2012
Pagina: 3
Autore: Daniele Raineri - Redazione del Foglio
Titolo: «L’incontro tra l’ayatollah e i pasdaran per fregare Ahmadinejad - Per rassicurare Israele, Obama ha solo l’arma della chiarezza - 'The Last Day', un corto racconta l’apocalisse nucleare d’Israele»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 29/02/2012, a pag. 3, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo "L’incontro tra l’ayatollah e i pasdaran per fregare Ahmadinejad " , gli articoli titolati "Per rassicurare Israele, Obama ha solo l’arma della chiarezza  " e " 'The Last Day', un corto racconta l’apocalisse nucleare d’Israele".
Ecco i pezzi:

Daniele Raineri - " L’incontro tra l’ayatollah e i pasdaran per fregare Ahmadinejad "


Daniele Raineri, Ali Khamenei, Mahmoud Ahmadinejad

Roma. La Guida suprema dell’Iran ha convocato i generali del corpo militare delle Guardie della rivoluzione, scrive Con Coughlin sul Telegraph, e ha chiesto loro di assicurarsi la sconfitta della fazione del presidente Mahmoud Ahmadinejad alle elezioni parlamentari che si terranno venerdì. Si tratta in effetti della richiesta opposta a quella fatta prima delle presidenziali del 2009: allora il presidente in cerca del secondo mandato era un favorito della Guida suprema, i due leader ultraconservatori erano alleati e cercavano assieme la vittoria contro l’ascesa dei candidati cosiddetti riformisti, anche con l’aiuto delle Guardie. Oggi che i riformisti non sono più dentro la politica, perché in questi tre anni i capi carismatici sono stati messi agli arresti domiciliari, i militanti sono stati mandati in prigione e i giornali d’area sono stati chiusi, Ali Khamenei e Ahmadinejad sono diventati rivali, con livore. Durante la seduta faccia a faccia con i generali, l’ayatollah ha continuato a definire il presidente e i suoi sostenitori “il movimento degli eretici”. Il capo eretico osa troppo. “Sospetto che Ahmadinejad perderà le elezioni, anche se il termine ‘elezioni’ è senza senso”, dice Ali Ansari, professore di Storia iraniana alla St. Andrews University. “Ahmadinejad ha sorpreso spesso i suoi nemici, ma queste elezioni parlamentari potrebbero ridurlo a un’anatra zoppa per il resto della sua presidenza – scrive Alistair Lyon di Reuters, da Beirut – come punizione per avere sfidato la Guida suprema”. Dopo il voto, il presidente indebolito sarà attaccato dal nuovo Parlamento in una seduta speciale già messa in calendario che intende giudicarlo sul corso disastroso dell’economia. L’Iran entra ancora di più in “un sistema a partito unico: è il partito di Khamenei – dice Karim Sadjapour, analista iraniano al think tank Carnegie Endowment – il requisito più importante per chi aspira a diventare membro del Parlamento è il grado di ossequiosità al leader supremo”. Vige sempre il principio di interferenza militare controllata negli affari politici, soprattutto quando si tratta di purghe a difesa della Guida suprema. Gli uomini delle Guardie della rivoluzione sono lo strumento per togliere di mezzo le figure minacciose fin dal 1979. Lo hanno fatto con Mehdi Barzagan, primo ministro nel primo governo del post rivoluzione; con i capi del Partito comunista iraniano, il Tudeh; con il comandante in capo delle forze armate (non le Guardie, le altre, quelle regolari, che contano meno), Abol Hassan Bani-Sadr nell’81. L’intervento dei pasdaran è addirittura un diritto legale, codificato nella Costituzione, articolo 150 e nello statuto delle Guardie, risalente al 1980. Adesso, su mandato di Khamenei, tentano la conquista del Parlamento contro il presidente: con sedici candidati su trenta soltanto nel distretto elettorale di Teheran, dominano la lista del Jebheh Mottahed-e Osoolgaraayaan, il Fronte unito dei fedeli ai principi, ovvero la lista fedele alla Guida. Nelle altre città e distretti, la rappresentanza è ancora maggiore. Nella capitale, dichiarano che se i loro candidati non riceveranno il numero più alto di voti sarà un’offesa arrecata direttamente al leader religioso, e così trasformano le elezioni per il Parlamento in un referendum sulla Guida suprema. Pensare che un tempo i pasdaran erano compatti dalla parte di Ahmadinejad, quando lui era ancora ossequioso con Khamenei. Su 18 ministri del suo governo, 12 sono ex pasdaran (come lui stesso), con ministeri chiave come Energia, Welfare, previdenza sociale, Industrie e miniere, Giustizia, Cultura e guida islamica, Petrolio, Difesa e Commercio. Il timore è che la lotta fra ultraconservatori lasci totalmente indifferente il paese, alle prese con una crisi economica disperante, che rende difficile persino l’importazione di beni alimentari semplici, come l’olio e le banane. Un mese fa il figlio della Guida suprema, Mojtaba Khamenei, si è visto di nascosto con il leader dell’opposizione Mir Hossein Moussavi, agli arresti domiciliari in una località mai specificata, per chiedergli di spingere al voto la sua parte, e dare così una minima parvenza di legittimità nazionale a elezioni che rischiano di andare deserte.

" Per rassicurare Israele, Obama ha solo l’arma della chiarezza "


Barack Obama, Bibi Netanyahu

Milano. La strategia dell’America nei confronti dell’Iran è: “Prendere tempo e spostare il problema nel futuro; se ci riesce, ‘strange things’ possono accadere nel frattempo”. Questa è la versione della posizione statunitense secondo Anthony Blinken, il consigliere per la sicurezza nazionale del vicepresidente Joe Biden e vice assistente di Barack Obama per gli Affari sulla sicurezza nazionale. Parlando l’altroieri all’Israeli Policy Forum, Blinken ha detto che gli americani sono convinti che l’arma atomica di Teheran non c’è, c’è invece spazio per la diplomazia che può contenere quella che per Washington è “una minaccia seria e diretta” e che per Israele è “una minaccia esistenziale”. Le parole sono state scelte con cura, sottolinea Chemi Shalev, corrispondente di Haaretz in America, il quale ha anche chiesto a Blinken che cosa intende quando dice che “Israele deve prendere le sue decisioni, non siamo di quelli che vogliono dire ai loro alleati che cosa fare quando si tratta della loro sicurezza nazionale”. Risposta di Blinken: “America e Israele sono molto vicini, ma siccome siamo in posti diversi, anche fisicamente, ci possono essere differenze tra i due paesi – ma la posizione strategica di base è la stessa”. Forse la vicinanza con Biden, noto perché involontariamente riesce spesso a dire il contrario di quello che pensa, non aiuta Blinken, ma certo è che tutto sembra, tranne che la posizione strategica di Israele e Washington sia la stessa. Ieri ancora circolava la voce che il premier di Gerusalemme, Benjamin Netanyahu, ha deciso: se ci sarà uno strike contro le basi nucleari iraniane, gli americani non saranno avvertiti – così sostiene la maggior parte del personale diplomatico e militare coinvolto, sia in America sia in Israele. Per gli interpreti buonisti, si tratta di una misura di riguardo: se gli americani non sanno, non possono essere ritenuti responsabili, cioè le conseguenze ricadranno solo su Israele. Per gli esperti militari si tratta di un bluff: l’aviazione israeliana non può fare un attacco con qualche possibilità di successo senza l’aiuto degli americani. Per la diplomazia statunitense si tratta di uno smacco: gli emissari di Washington chiedono di essere avvertiti con ragionevole anticipo. Nel prossimo fine settimana, le speculazioni potrebbero finire, e quel gran parlare che si fa sul blitz anti iraniano potrebbe diventare davvero una strategia condivisa – magari con qualche dettaglio più credibile rispetto a quelli forniti dal consigliere di Biden. Domenica ci sono i discorsi all’Aipac, quello di Netanyahu, quello del presidente israeliano, Shimon Peres, e quello di Obama. Ogni anno c’è grande attesa per questo appuntamento: il liberal Obama di fronte alla lobby più falco e conservatrice d’Israele in America – come andrà a finire? Ogni anno il presidente rinnova l’alleanza “incrollabile”, e conferma che ci possono essere divergenze, ma la sostanza non cambia mai: Israele è il miglior alleato dell’America, non lasceremo che qualcuno minacci la sua esistenza. Quest’anno, che ci sono le presidenziali, Obama terrà questo discorso pensando anche all’elettorato ebraico, che come è noto è molto influente (e vota democratico). Lunedì, nell’incontro con Netanyahu, i dissapori potranno diminuire, se Obama saprà essere chiaro. Ieri sul Wall Street Journal, Frederick Kagan (l’ideatore del surge di Petraeus) e Maseh Zarif (studioso d’Iran, ha pubblicato paper dettagliati sullo stato dell’arte della bomba iraniana, si possono trovare su www.irantracker.org) spiegavano: gli americani minimizzano la minaccia di Teheran a suon di report d’intelligence che smentiscono (persino) l’Aiea, ma così si stanno prendendo in giro. E’ ovvio che l’Iran vuole la Bomba e che la vuole presto, Obama dovrebbe smetterla di illudersi che, abbassando il codice d’allarme, la questione iraniana magicamente si possa dissolvere. Piuttosto – concludono i due commentatori – ci vuole chiarezza: se Obama pensa che l’Iran non debba avere la Bomba, allora deve valutare seriamente i dettagli di uno strike; se pensa che si può convivere con un Iran atomico, contenendolo e governandolo con le sanzioni, allora lo dica chiaro a Israele, e poi si inizierà a discutere. Anche Jeffrey Herf, liberal falco che ha scritto un bel libro sull’influenza nazista nel mondo arabo, chiede sul magazine New Republic: quand’è che Obama farà chiarezza sulla sua posizione con l’Iran? Il presidente dice che tutte le opzioni sono sul tavolo, ma poi non spiega mai che cosa significa una guerra con l’Iran, “non sembra che sia così serio sulla questione”, sostiene Herf. Secondo il Wall Street Journal il momento della chiarezza è arrivato: prima di incontrare Netanyahu, la Casa Bianca fornirà le “red lines”, le linee rosse che l’Iran non può oltrepassare: al di là c’è l’opzione militare.

" 'The Last Day', un corto racconta l’apocalisse nucleare d’Israele "


Un fotogramma del cortometraggio di Ronen Barany

Roma. Il video, rinvenuto dal personale delle Nazioni Unite dopo la catastrofe, porta la data del 23 febbraio 2013. La prima scena mostra una pioggia di missili iraniani che piovono sullo stato ebraico. Una coppia di giovani israeliani si ritrova imbottigliata nel traffico nella sua corsa forsennata verso casa. Suonano ovunque le sirene, che tanta parte hanno avuto nella recente storia d’Israele. “Vediamo se dicono qualcosa alla radio”, “non riesco a chiamare mia madre”, “come faccio a stare calma”. La coppia discute su come mettersi in contatto con i propri cari. La radio li avverte che c’è stato un attacco missilistico combinato e che il paese è nel panico: “Siamo stati informati che il gabinetto del primo ministro è sceso in una località segreta…”. L’auto si incolonna fra le tante che cercano una via di fuga dalla città. Siamo nei pressi di Tel Aviv, la città da cui durante la guerra del Golfo la gente usciva di notte caricando bambini e materassi sulle automobili e cercando in lunghe code un rifugio a Gerusalemme (la città che un diabolico Saddam Hussein risparmiava in virtù della forte mescolanza fra arabi e ebrei). “Ho la nausea”, “rilassati”. Fra le colline attorno si alzano numerose colonne di fumo dopo il lancio di razzi da parte degli iraniani. “E’ stato perso ogni contatto con il sud del paese e con Haifa”, prosegue la radio militare. Poi un lampo immenso, quello di una detonazione atomica, acceca la coppia di automobilisti. “Ferma la macchina”, urla l’uomo. Si precipitano a soccorrere una madre con il figlio, che non riesce più a vedere nulla. “Ti avevo detto di non guardare”, grida la donna. Provano a bagnargli gli occhi con dell’acqua. “Oh mio Dio, non è reale”, dice l’uomo, guardando un fungo atomico che si innalza dalla montagna vicina. Arriva un’auto con dei feriti a bordo. Altri missili cadono attorno. Poi un altro ordigno devastante. Provano a ripararsi dietro alle auto. L’ultimo fotogramma mostra la grande nuvola radioattiva che li mangia. The end. Si intitola “The last day”, l’ultimo giorno, il cortometraggio- choc realizzato dal regista israeliano Ronen Barany. Trasmesso dal Canale 10, il video ha scatenato una piccola psicosi in Israele. Un anno fa era uscito il film di Yaron Kaftori, “2048”: sono passati cent’anni dalla fondazione di Israele e Israele non esiste più. Al posto dello stato ebraico è sorta una “Nuova Repubblica Araba”. Il film di Barany entra maggiormente nell’inconscio israeliano, perché arriva nel momento stesso in cui il paese si sta esercitando in vista di una guerra con gli iraniani. Il 14 marzo ci sarà una vasta esercitazione di massa a Tel Aviv, nome in codice “Colpo al cuore”. Le sirene simuleranno l’arrivo di una serie di missili, di cui uno colpirà il centro commerciale Ayalon a Ramat Gan. Il film è un canovaccio della realtà, perché il governo israeliano ha realmente approntato una “località segreta” nelle viscere della terra nella zona di Gerusalemme. All’interno del bunker, i ministri sono protetti da qualsiasi attacco “non convenzionale” ma, grazie a un sofisticato sistema di comunicazione, sono in costante controllo della situazione sul terreno e sono in grado di impartire istruzioni. “Questo è l’anno critico per Israele” “Volevo trasmettere al mondo la paura di Israele”, dice al Foglio il regista Ronen Barany. “Sono il padre di due figli e il nipote di un sopravvissuto all’Olocausto, e sento ogni settimana leader iraniani che minacciano di spazzarci via dalla mappa geografica. Il film ha ricevuto reazioni diverse. Alcuni hanno detto che era propaganda della paura e che ignoravo le capacità militari d’Israele. Altri lo hanno amato. Questo è un anno critico per noi, qualcosa sta per accadere, volevo raccontarlo con la storia di una famiglia normale che si trova dentro una guerra all’apparenza normale. Alla fine la coppia è testimone dell’esplosione di un ordigno atomico in Israele. Tutti qui, anche chi non lo dice, hanno paura che il peggio possa accadere”. Sui siti dell’intelligence israeliana sta rimbalzando da giorni il report scritto da Alireza Forghani, il consigliere strategico della Guida suprema iraniana ayatollah Ali Khamenei, in cui espone la giustificazione giuridica e religiosa per l’annientamento di Israele. Nel documento, Forghani porta a riprova i dati dell’Ufficio centrale di statistica israeliano relativi all’ultimo censimento, in cui si sottolinea che Israele è il solo paese al mondo con una maggioranza ebraica (e che pertanto sarebbero per lo più ebree le vittime dell’attacco iraniano). In modo molto furbo, lo stratega iraniano sostiene che, siccome per attaccare l’Iran Israele ha bisogno del sostegno di Stati Uniti e occidente, Teheran deve approfittare della “passività” occidentale e approfittarne per “spazzare via Israele”. Il documento fornisce anche “una concisa descrizione dei missili balistici a medio e lungo raggio che possono bersagliare il territorio di questo “tumore canceroso regionale” e distruggere Israele “in meno di nove minuti”. Conclude Ronen Barany, autore del cortometraggio: “Abbiamo avuto un Olocausto, e se Hitler impiegò sei anni per distruggere gli ebrei, Ahmadinejad potrebbe impiegare nove minuti”.

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