Ilan Halimi, Emma, la complice dei torturatori e assassini di Ilan Halimi
Cari amici, ogni tanto, quando parlo di antisemitismo vedo negli occhi dei miei interlocutori, anche ebrei, uno sguardo strano, fra il furbo il perplesso e il compassionevole. Certamente lo conoscete anche voi. Ormai so riconoscerlo e credo di poterlo interpretare adeguatamente. La perplessità è questa: di cosa parla questo qui, lo sappiamo tutti che i perseguitati oggi sono i poveri immigranti, i rom, non certo voi, semmai i palestinesi. La furbizia: non me la fai, voi oggi siete gli oppressori, stai cercando di usare vecchie storie per difendere il tuo colonialismo-imperialismo-razzismo-ammazzamento di bambini – e chi più ne ha più ne metta. Compassione (in alternativa alla furbizia, ma non incompatibile con essa): poveraccio, ci crede, si turba per qualche scritta sui muri e qualche lista sul web, considera antisemita la legittima critica di tutto il mondo ai crimini orribili di Israele, dev'essere proprio in paranoia. Certo, il trauma dei nazisti dev'essere stato grande, ma oggi i nemici sono altri, Berlusconi, l'America, i banchieri... se solo riuscisse a leggere “Repubblica” allora sì che capirebbe...
A parte il secondo punto (la furbizia) e “Repubblica” col suo indigesto moralismo a senso unico e il suo spavaldo disprezzo ideologico per la realtà che non rientra nei suoi schemi, sarebbe bello che i miei interlocutori avessero ragione. Sarebbe una buona cosa che l'antisemitismo fosse paranoia, sarei disposto a sottopormi a una bella psicoanalisi se le cose stessero così. E sarebbe bello anche, tutto sommato, se i problemi del Medio Oriente fossero dovuti all'”estremismo” di Netanyahu e al “razzismo” di Lieberman, basterebbe cambiare governo e tutto andrebbe a posto. E invece, guarda caso, nessun governo israeliano, neanche quelli di estrema sinistra, è stato risparmiato dall'odio e dal terrorismo arabo. Andasse al governo Tzipi Livni con i laburisti e anche l'estrema sinistra di Meretz, facesse tutte le concessioni che Obama vuole, la “pressione” araba su Israele (eufemismo per delegittimazione, guerra legale e diplomatica, guerriglia urbana, terrorismo vero e proprio) non cesserebbe affatto, ma aumenterebbe, come mostra l'esperienza. Uno stato palestinese sarebbe in guerra se non aperta clandestina e indiretta con un'Israele mutilata.
E comunque l'antisemitismo c'è ed è mortale. Vi ricordo una storia, che è passato in sordina sui giornali di quattro anni fa e oggi ha una conclusione provvisoria, ma molto amara. Poco più di sei anni fa, il 13 febbraio 2006, veniva ritrovato il corpo agonizzante di Ilan Halimi, rapito, torturato e ammazzato da una banda di criminali musulmani, animati da odio antisemita e convinti di poter guadagnare molto dal rapimento perché “tutti gli ebrei sono ricchi”. Vi prego di leggere la terribile ricostruzione del crimine scritta da Giulio Meotti due anni fa, al tempo del processo. La trovate qui: http://www.focusonisrael.org/2009/06/11/omicidio-ilan-halimi-parigi-daniel-pearl/. Vi si legge fra l'altro:
“Lo zio di Ilan racconta che durante le telefonate per il riscatto alla famiglia venivano fatte sentire le urla del ragazzo ebreo bruciato sulla pelle, mentre “i suoi torturatori leggevano ad alta voce versi del Corano”. I rapitori pensavano che tutti gli ebrei fossero ricchi e che la famiglia di Halimi avrebbe pagato il riscatto. Non sapevano che la madre era una centralinista. E che Ilan, per campare alla meglio, lavorava in un negozio di telefoni cellulari. Fu trovato agonizzante, il corpo bruciato all’ottanta per cento, vicino alla stazione di Saint-Geneviève-des-Bois. Seminudo, con ferite e bruciature di sigarette ovunque sulla carne viva e in tutto il corpo, Ilan è morto nell’ambulanza verso l’ospedale. [...] Decine di persone sapevano delle torture inflitte per tre settimane a quel ragazzo ebreo che sognava di vivere in Israele. Nidra Poller sul Wall Street Journal scrive che “ciò che più disturba in questa storia è il coinvolgimento di parenti e vicini, al di là del circolo della gang, a cui fu detto dell’ostaggio ebreo e che si precipitarono a partecipare alla tortura”. Divenne tutto più chiaro quando l’allora ministro dell’Interno Nicolas Sarkozy annunciò che a casa del rapitore erano stati trovati scritti di Hamas e del Palestinian Charity Committee.”
Difficile sostenere, davanti a questa storia, che l'antisemitismo sia una paranoia. Ma è chiaro che la società francese (e anche quella italiana, non è attrezzata a fare fronte e neppure a comprendere l'antisemitismo che continua dopo la Shoà, soprattutto se viene da parte degli islamici: non hanno ragione loro, poveri immigrati figli di popoli oppressi?) Ancora Meotti: “Ruth nel suo libro denuncia che, per non urtare la sensibilità della comunità musulmana delle periferie, il caso venne fin dall’inizio tenuto su un registro basso, la polizia negava l’intento religioso del sequestro e l’identità islamica di tutti i rapitori; la stessa polizia che chiese alla famiglia di non farsi pubblicità e che fece poco, molto poco, per scardinare la rete di famiglie che proteggeva la gang.”
E qui viene la notizia amara dei giorni scorsi: la seduttrice dell'affare Halimi, la donna che con le sue grazie portò il ragazzo nella trappola dove sarebbe stato torturato e ucciso (lei consenziente e collaborante), viene citata solo col nome “Emma”. Condannata in appello nel dicembre 2010 a nove anni di prigione – sentenza straordinariamente mite per un ruolo centrale in un'associazione a delinquere, complicità in omicidio volontario e sequestro di persona, è stata liberata qualche giorno fa sulla condizionale. Nel frattempo ha avuto modo di esercitare la sua arte di Circe o di Dalila anche sul direttore del suo carcere, non per ammazzarlo – in fondo non è un ebreo – ma per ottenere qualche vantaggio personale (http://jssnews.com/2012/02/10/emma-du-gang-des-barbares-condamnee-a-9-ans-en-2010-liberee-en-janvier-2012/). In una società decente, questa belva starebbe in gabbia molto più di un paio d'anni. Ma, che volete, l'antisemitismo è una paranoia, Eurabia è un incubo degli sciocchi. Almeno così la pensa evidentemente il sistema giudiziario francese.