Lezioni da una montatura Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Khader Adnan, il finto fornaio
Cari amici, vale la pena di trarre qualche insegnamento dalla vicenda di Khader Adnan, il “fornaio” sottoposto a detenzione amministrativa dall'esercito israeliano, che ha intrapreso uno sciopero della fame e l'ha sospeso quando è stato assicurato che alla scadenza del fermo, fra un paio di mesi, questo non sarà rinnovato se non saranno emersi nuovi elementi. Intorno al nome di Adnan era stata montata una campagna internazionale (arrivata anche in Italia per via del “Manifesto” e del “Fatto”) che ha giudicato questa assicurazione una “mezza vittoria”. In realtà si tratta di una montatura, come vedrete.
La prima osservazione è che Adnan non è affatto un pacifico artigiano, ma un agitatore terrorista. Guardate qui un video in cui lo si vede appellarsi ai partecipanti di un funerale, chiedendo loro chi sarà il prossimo a indossare una cintura esplosiva e a farsi saltare in aria col nemico: http://www.informazionecorretta.com Se questa non è apologia di reato e istigazione all'omicidio, non si capisce che cosa possa esserlo.
La seconda è che la detenzione amministrativa, regolata nei territori oltre la linea verde se non sbaglio ancora da una vecchia normativa britannica, è uno strumento perfettamente comune in tutti gli stati democratici: somiglia un po' al nostro fermo di polizia, o piuttosto alla detenzione in attesa di processo. Il fermo di Adnan era stato sottoposto all'inizio a un giudice che l'ha convalidato e può prolungarsi come accade anche in Italia quando le indagini sono in corso.
La terza osservazione e la più istruttiva riguarda la mobilitazione. In realtà, come ha ammesso la stessa televisione islamista Al Jazeera, non vi è stata affatto una mobilitazione degli arabi dell'Autorità Palestinese a favore del terrorista in sciopero della fame, anzi è prevalsa una notevole indifferenza (http://blogs.jpost.com/content/twitter-vs-real-world-khader-adnan%E2%80%99s-%E2%80%98victory%E2%80%99). Si è mobilitato un gruppetto di “attivisti dei social media” che hanno trovato larga eco all'estero in altri attivisti e giornalisti abituati ad ascoltare qualunque cosa vada contro Israele. Non è uno schema raro, anzi accade molto spesso, anche in questi giorni negli scontri provocati da qualche decina di estremisti sul Monte del Tempio a Gerusalemme. Si dice sempre che sono “i palestinesi” a fare i tumulti, le proteste per le case riconsegnate ai legittimi proprietari ebrei a Gerusalemme e così via. In realtà si tratta sempre di gruppi piuttosto ristretti, paragonabili per dimensione e forse largamente coincidenti per composizione con la base terrorista. Un fatto evidente a tutti è che nonostante il possibile contagio dei vicini, l'incitamento delle organizzazioni nazionaliste arabe e islamiste, la popolazione dell'Autorità Palestinese e anche quella di Gaza non ha desiderio di partecipare a queste attività e a quanto dicono i sondaggi tende anche a diffidarne.
La mobilitazione “palestinese” molto probabilmente si attenuerebbe e prenderebbe il carattere di una normale rivendicazione sociale e nazionale (come quella delle autonomie spagnole o britanniche) se non fosse incitata da “militanti antimperialisti” provenienti per lo più dall'Europa e dall'America e da giornalisti che spesso si confondono con loro, tutti assai più interessati a danneggiare Israele che ad aiutare per davvero i poveri palestinesi. La responsabilità del prolungarsi del conflitto e delle sofferenze che esso provoca è per lo più loro. Sarà un paradosso, ma è sostanzialmente vero che fra i principali responsabili della guerra vi sono proprio i “pacifisti”, gli attivisti dei boicottaggi, i politici e i religiosi che cercano credito mostrandosi antisemiti (pardon: antisionisti) al loro pubblico.
La quarta e ultima considerazione è che questo circuito fra azioni e media è perfettamente consapevole. Un po' come quei ragazzini che tirano sassi e bruciano copertoni, magari lontanissimo dai loro bersagli veri, solo perché ci sono i fotoreporter a ritrarli e magari a lasciar loro una mancia, così è stato probabilmente lo sciopero della fame del finto fornaio Adnan: un'operazione mediatica, un evento creato apposta per essere “notiziabile”, cioè utilizzabile dalla propaganda contro Israele e chiusa appena questo scopo (non la liberazione di Adnan) fosse stata raggiunto