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Libero Rassegna Stampa
26.02.2012 Occhio, arriva la guerra vera
La situazione internazionale vista da Maria Giovanna Maglie

Testata: Libero
Data: 26 febbraio 2012
Pagina: 1
Autore: Maria Giovanna Maglie
Titolo: «Occhio, arriva la guerra vera»

Su LIBERO di oggi, 26/02/2012, a pag.1/17, con il titolo " Occhio, arriva la guerra vera ", Maria Giovanna Maglie traccia un panorama delle varie situazioni a rischio nello scenario internazionale.


Maria Giovanna Maglie

Che siano i due ufficiali americani ammazzati in Afghanistan negli edifici del ministero degli Interni da un poliziotto afgano che avrebbe dovuto essere il loro protettore e che li ha uccisi per vendicare due copie del Corano bruciate perché contenevano comunicazioni cifrate fra talebani terroristi detenuti; che siano il capo di prima classe Massimiliano Latorre e il maresciallo Salvatore Girone, i due marò italiani in galera in India per aver fatto il proprio dovere di nucleo di protezione militare dai pirati su una petroliera italiana in base a meticolose regole di ingaggio; perfino che siano i due giornalisti massacrati per dare un esempio e minacciare chiunque voglia fare informazione in Siria nella guerra civile tra le truppe del dittatore Assad e dei rivoltosi che altro non sono che integralisti islamici; da qualunque parte prendiamo a esaminarla, mettendoci magari anche l’Iraq perduto, l’intero Medio Oriente consegnato ai fratelli musulmani e ai salafiti, l’Iran che impunito costruisce potenza nucleare e minaccia il nostro unico avamposto in Israele, spaventa osservare come la situazione internazionale sia tragica, come l’Euro - pa e l’Occidente stiano perdendo terreno, siano sconfitti, e nessuno se ne sia occupato. Tutto si tiene. Vale certamente per tutti la distrazione comprensibile e obbligata quasi dell’emergenza economica, ma la politica ha perso tristemente primato e il governo Monti mostra tutta la debolezza di un esecutivo tecnico che di altro si occupa, che agli Esteri ha scelto un ottimo diplomatico ma pur sempre un diplomatico, che ha fatto scelte stravaganti anche nella nomina dei sottosegretari, tutti più adatti a convegni ad Aspen o a summit sulla fame nel mondo che alla puzza di sangue e sudore che è il nuovo terreno di battaglia internazionale. Intanto l’Afghanistan, dove abbiamo soldati e dove sono morti tanti italiani, brucia, gli uomini della Nato e dell’Onu sono costretti a fuggire, e non si capisce chi prenda le decisioni e quali. Intanto il Medio Oriente che ci sta di fronte è consegnato un pezzo alla volta al progetto di distruzione dell’Europa e della nostra civiltà. Intanto due militari italiani stanno in una prigione indiana invece che al sicuro in patria.
Presi per i fondelli
Massimiliano Latorre e Salvatore Girone facevano parte di un NMP o «nucleo militare di protezione» di sei militari imbarcato sulla petroliera in ossequio a un protocollo d’intesa stipulato fra la Difesa e la Confitarma (Confederazione Italiana Armatori) l’11 ottobre 2011. L’accordo prevede la presenza a bordo di militari delle Forze Armate italiane in funzione antipirateria. I termini dell’accordo e i suoi risvolti operativi non sono noti al pubblico, e probabilmente è giusto così, ma ora qualche risposta ci va data. Era previsto in caso di emergenza o di grave incidente il trasferimento in Italia con elicotteri o altri mezzi rapidi? Era previsto un servizio di teleconferenza con Roma come si fa con i milimilitari impiegati all’estero? Oppure quei militari sono stati abbandonati? Dove è avvenuto l’incidente? Secondo le autorità indiane è avvenuto in acque nazionali, secondo i nostri in acque internazionali e i dati rilevati dalla strumentazione satellitare danno ragione agli italiani. Quale è stata la dinamica? Le versioni sono contrastanti. Secondo gli indiani un peschereccio, il “St. Anthony”, svolgeva normale attività di pesca quando alle 21,50 di mercoledì 15 febbraio è stato bersagliato da circa 60 colpi, 16 dei quali hanno colpito il peschereccio e quattro di questi hanno causato la morte di due pescatori. Secondo gli italiani, invece, alle ore 16,30 in una località nota per la presenza di pirati e terroristi, ma distante 10 chilometri da quella segnalata dalle autorità indiane, un’imbarcazione con a bordo cinque individui armati si è avvicinata alla petroliera per abbordarla. Sono state effettuate tre raffiche di avvertimento per un totale di 20 colpi, senza colpire l’imbarcazione, quando questa si trovava rispettivamente a 500, 300 e 100 metri di distanza. Dopo la terza raffica, i pirati hanno operato una virata a “U” e si sono dileguati. Non dovrebbe risultare difficile stabilire se i due malcapitati siano stati colpiti dai proiettili dei fucili mitragliatori SC 70/90 calibro 5,56 in dotazione ai nostri marò ovvero da qualche arma diversa, magari delle guardie del corpo private assoldate da navi greche che erano in zona. Ma le autorità indiane hanno rifiutato di procedere con gli esami medici e balistici. Perché la nave ha attraccato in India, nel porto di Kochi? Perché gliel’hanno ordinato. Chi esattamente? Non la Marina Militare, che aveva chiaramente raccomandato di non farlo e tantomeno di far scendere a terra i due militari. ma la Capitaneria di porto dello Stato indiano del Kerala. È legittima la consegna dei due italiani? No. I militari si trovavano in alto mare dove vige la libertà di navigazione, agivano per conto dello Stato italiano e quindi godevano dell’immunità e non potevano essere arrestati da alcuno. Provate a chiedere agli Stati Uniti se hanno mai consegnato un loro militare, vedi il Cermis o Calipari, chiedete agli inglesi come si sono ripresi i loro a Bassora. Infine, silenzio, ritardi, sottovalutazioni nella comunicazione e nelle dichiarazioni, l’assenza del governo ai massimi livelli, hanno messo l’intera vicenda nelle mani degli indiani, politici e media, e lasciamo stare Sonia Ghandi, che c’entra poco. Se anche finirà all’italia - na, con i marò rilasciati a caro prezzo la cui entità non conosceremo, con le scuse ufficiali come se fossero colpevoli, e gli accordi commerciali con relativi scambi di visite fra ministri, salvi, la pirateria ne avrà avuto un vantaggio, i nostri militari faranno bene a rifiutare simili missioni, perché il nostro Paese non garantisce i suoi servitori.
Esplosione afghana
Soldati italiani ce ne sono tanti, lealmente e utilmente, anche in Afghanistan. Probabilmente non avrebbero mai bruciato delle copie del Corano, sono più attenti alle altre culture, ricordiamoci che in quel centro di detenzione i talebani utilizzavano le copie invece che per pregare per scambiarsi messaggi cifrati. Ma la situazione non è degenerata per il Corano, era già cominciata, era nell’aria. Gli Usa se ne sono andati dall’Iraq senza neanche negoziare un accordo sulla presenza americana nel Paese, ma il primo presidente statunitense afro-americano si era invece impegnato a fare dell’Afghanistan il proprio vero fronte nella «guerra al terrore ». Invece, ucciso Bin Laden in Pachistan e finita con la crisi economica la carica emotiva che stava dietro l’intervento in Afghanistan dopo l’11 Settembre, la Casa Bianca e il Pentagono hanno sostanzialmente deciso, di giocare la carta del ritiro: negoziare con i talebani, favorire un accordo di non belligeranza tra questi e i clan fedeli a Karzai e lasciare il Paese. Ma la missione in Afghanistan non è terminata. Se significativi progressi anti-talebani sono stati fatti nel Sud del Paese centro-asiatico, è altrettanto vero, però, che rimangono zone in pieno controllo dei talebani. Alla Casa Bianca se ne fregano. La rielezione del presidente Obama è più importante. E l’Italia sta zitta.

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