Riprendiamo dall'OCCIDENTALE la recensione di Giancarlo Loquenzi dal titolo "Con Fiamma si torna 'A Gerusalemme' per restarci " del libro A Gerusalemme di Fiamma Nirenstein. IC ne raccomanda la lettura !
Fiamma Nirenstein, A Gerusalemme, ed. Rizzoli, Giancarlo Loquenzi
Sono stato tre volte a Gerusalemme nella mia vita, più una quarta leggendo l’ultimo libro di Fiamma Nirenstein e non è stata meno appassionante e vivida delle precedenti. E come le altre volte mi ha infitto nel cuore la voglia di tornaci. La sensazione con cui ho chiuso il libro “A Gerusalemme” che già nel titolo contiene insieme una dedica e una direzione, è stata la stessa di quando ti lasci alle spalle la città e vorresti già ritornare.
Il libro di Fiamma Nirenstein è tante cose insieme, così come tante cose insieme è la città che ne è protagonista. Ed è in forza questa corrispondenza tra la narrazione e il suo oggetto, tra la struttura del libro e Gerusalemme stessa, che le pagine sprigionano la loro vera forza letteraria. Il libro è un romanzo d’amore, una guida di viaggio, un’autobiografia, un saggio storico, un pamphlet politico, ma tutto insieme si combina in quella inafferrabile miscela che chiamiamo letteratura.
C’era il sogno borgesiano di disegnare una mappa così accurata di un luogo, così fedele e ricca di dettagli che alla fine la mappa stessa avrebbe occupato l’intera superficie di quel luogo, in perfetta e a quel punto inutilizzabile sovrapposizione. Il libro della Nirenstein compone una metafora opposta e produttiva, copre un luogo immenso nel tempo e nello spazio con un piccolo francobollo d’amore e d’intelligenza che ci sembra bastare.
Nel libro mi sono perso come sempre mi sono perso a Gerusalemme, e perdendomi, nel libro come nella città, ho sempre fatto le scoperte più importanti. Ci sono , nel luogo letterario e in quello reale, svolte improvvise, angoli bui, strade in salita, tranelli, piccole piazze per riposarsi, memorie, tracce, incontri casuali, deviazioni e devozioni, strappi e ricuciture. Gerusalemme si visita e si legge allo stesso modo, con un amorevole disordine e un perfetto senso della destinazione.
Fiamma ricostruisce la mappa di Gerusalemme attraverso le sue passeggiate, le sue soste, i suoi viaggi in macchina, il filo dei suoi pensieri. Un po’ come gli aborigeni di cui racconta Bruce Chatwin nelle Vie dei Canti davano vita e realtà al loro spazio attraverso il camminare e il cantare: così Fiamma cammina (o guida) e racconta, e piano piano la città ci si mostra e si fa vera.
Ma Gerusalemme non è una città qualunque anche se fa grandissimi sforzi per sembrarlo: la vita nei caffè, nei centri commerciali, nei cinema, nei negozi alla moda, sembra quella di qualsiasi altra capitale e Fiamma dedica a questa normalità gerosolimitana pagine molto belle e affezionate. Ma non c’è solo questo: su Gerusalemme, ogni notte, quando le luci della città terrena si spengono, urla il vento millenario della storia. La città è il centro di una contesa universale che non è solo fatta di terra e di confini ma che è insediata nell’incrocio tra identità, religione, politica: è insieme meta e bivio per tanti possibili futuri. Non a caso a Gerusalemme si trova l’Even ha Shetiyyah, la pietra della fondazione, attorno alla quale tutto il mondo sarebbe stato costruito. Fiamma vorrebbe dargli una piccola svitata “per rendere la terra più morbida e ballerina”. Io la immagino come la manopola di una radio universale, bisogna girarla piano e con attenzione per mettere il mondo in sintonia.
Ma guai a fraintendere, Gerusalemme può essere intesa senza retorica come il centro del mondo solo se si riconosce con onestà il suo essere prima di tutto il centro del mondo ebraico: Gerusalemme è il luogo che gli ebrei non hanno mai lasciato, nonostante esilii, cacciate, proibizioni e tormenti e a cui hanno sempre voluto tornare. Le pietre di questa città dicono dell’amore e dell’attaccamento del popolo ebraico a questa terra, Sion, senza la quale quello stesso popolo non esisterebbe. C’è un salmo biblico che lo testimonia per sempre, il 102, versetto 15 “Poiché ai tuoi servi sono care le sue pietre” . E come spiega bene Mons. Ravasi in una bella lectio magistralis su Gerusalemme, qui la traduzione dall’ebraico tradisce la vera essenza del versetto: “Il testo ebraico dice Ki ratsû ‘abdeka ’et-’abaneha. L’elemento fondamentale risiede in quel ratsû, cioè “sono care” ai tuoi servi le pietre di Sion, le sue pietre. Ratsû, però, in ebraico deriva dal verbo ratsah, che indica un piacere quasi fisico, una comunione passionale, pertanto quella pietra che è fredda, tu la baci come se fosse la tua sposa. Si tratta, quindi, di un verbo che indica piacere – quasi erotico –, un verbo che contiene un nesso istintivo, primordiale”. E’ questo nesso “istintivo e primordiale” che ha tenuto in vita il popolo di Israele attraverso i millenni ed è per questo che il negazionismo palestinese di questo nesso non è meno mortifero di quello sull’Olocausto.
Ora che Gerusalemme è di nuovo ebrea e solo ora, Gerusalemme è di nuovo di tutti. Gli ebrei l’hanno ricostruita, ripulita, infiorata, abbellita, ma soprattutto l’hanno resa libera e aperta a ogni devozione, a ogni credo, a ogni sogno. Per questo toglierla loro significa toglierla al mondo.
Fiamma ce lo spiega bene e così capiamo, fuori da ogni illusione millenaristica, perché quelle pietre che tanto le sono care, sono così care anche a noi.