Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 22/02/2012, a pag. 15, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "L’Egitto sfida l’America".
Maurizio Molinari, Fratelli Musulmani, Barack Obama
Smembrare l’Egitto in quattro Stati, sobillare rivolte contro le autorità e seminare l’odio religioso fra musulmani e copti: sono i tre più gravi capi di accusa che domenica il tribunale del Cairo formalizzerà nei confronti di 19 cittadini americani precipitati al centro di una crisi fra il governo del dopo-Mubarak e gli Stati Uniti che causa forte imbarazzo nell’Amministrazione Obama.
La vicenda inizia a dicembre, quando i blitz della polizia egiziana nelle sedi di 17 Ong presenti al Cairo per promuovere i diritti umani portano a identificare 43 stranieri, di cui 19 americani, come «fomentatori di gravi disordini ai danni della sicurezza nazionale». Da allora 13 americani sono riusciti a lasciare l’Egitto ma in sei vi si trovano ancora e tre di loro, incluso il figlio del ministro dei Trasporti Ray LaHood, vivono da settimane barricati dentro la sede dell’ambasciata degli Stati Uniti. L’arabista del Council on Foreign Relations Max Boot, che nell’ultimo anno ha a lungo soggiornato al Cairo, parla di una «crisi degli ostaggi per l’amministrazione Obama» perché la credibilità del presidente è adesso legata alla capacità di riportare a casa i connazionali bloccati in Egitto, in maniera analoga a quanto avvenne per Jimmy Carter con gli ostaggi detenuti nell’ambasciata di Teheran nel 1979 e per Ronald Reagan con i sequestrati in Libano da parte degli Hezbollah a metà degli Anni Ottanta.
Nel tentativo di risolvere la crisi, al Cairo è giunto il repubblicano John McCain alla guida di una delegazione bipartisan di cinque senatori che nell’incontro con il maresciallo Mohammed Hussein Tantawi, a capo del consiglio militare che guida la transizione, ha giocato due carte: da un lato ha minacciato di far venir meno 1,5 miliardi di aiuti annuali del Congresso di Washington all’Egitto e dall’altro ha identificato l’origine della crisi in un colpo di coda del regime di Mubarak in quanto la maggioranza delle accuse vengono dalla titolare del ministero della Cooperazione internazionale Fayzal Abul Naga, fedelissima dell’ex Raiss. In un successivo colloquio con una delegazione del partito di maggioranza relativa Libertà e Giustizia, espressione in Parlamento dei Fratelli Musulmani, McCain ha ribadito che sulla crisi ci sono le impronte del vecchio Raiss, dicendosi fiducioso sulla possibilità che le autorità egiziane «trovino una rapida soluzione» per scongiurare un processo che potrebbe portare a condanne fino a cinque anni di detenzione.
Ma ad evidenziare la difficoltà della mediazione di McCain c’è il dossier sulle accuse agli americani che la procura militare egiziana ha fatto trapelare attraverso il New York Times, con l’evidente intento di accrescere la pressione sull’Amministrazione Obama. Il documento chiama in causa l’International Republican institute, il National Democratic Institute, la Freedom House, l’International Center for Journalist e la tedesca Fondazione Adenauer imputando loro di avere «operato illegalmente in Egitto, lavorando per la Cia, servendo interessi americani e israeliani al fine di accrescere le tensioni fra musulmani e copti». In particolare queste cinque Ong «hanno ricevuto illegalmente 150 milioni di dollari stornati dagli aiuti americani per l’Egitto» per «sobillare disordini contro le autorità» non solo durante la rivolta anti-Mubarak ma anche nei mesi seguenti. Nella sede dell’International Republican Institute è stata trovata «una mappa con l’Egitto diviso in quattro regioni» che per la polizia dimostra l’esistenza del «progetto di smembrare la nostra nazione».
Ciò che più conta è che tali «prove a carico» sono diventate un punto di intesa fra il ministro Abul Naga, espressione degli ambienti ancora legati a Mubarak, e i Fratelli Musulmani, che con il portavoce Mahmud Ghuzlan ammoniscono gli Stati Uniti a «non interferire con il processo in corso», chiedendo al consiglio militare di «proteggere le indagini e le udienze». A conferma della volontà dei Fratelli Musulmani di cavalcare i sentimenti anti-americani c’è la loro iniziativa di lanciare la raccolta pubblica di un fondo islamico denominato «Dignità e Orgoglio» per ottenere dai cittadini offerte tali da rinunciare agli aiuti economici annuali americani.
Per l’Amministrazione Obama si tratta di un doppio corto circuito perché la convergenza antiamericana fra nostalgici di Mubarak e Fratelli Musulmani pone degli interrogativi sul forte sostegno finora dato alla transizione egiziana e chiama in causa la scelta di indicare nell’Egitto l’esempio di rivolta di maggiore successo dall’inizio della Primavera araba.
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