Riduci       Ingrandisci
Clicca qui per stampare

 
Ugo Volli
Cartoline
<< torna all'indice della rubrica
I doveri di chi non è accecato dall'ideologia 19/02/2012
I doveri di chi non è accecato dall'ideologia
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

 il simbolo delle Forze di Difesa d'Israele

Cari amici,
abbiamo tutti la tendenza a essere un po' pigri, col corpo e anche col pensiero. Pensiamo in termini vecchi, fino a che non siamo costretti a cambiare. Se un concetto ha funzionato in passato, perché non continuare a usarlo? E però questo umanissimo modo di fare è pericoloso, perché ci impedisce di cogliere il nuovo e di affrontarlo efficacemente.
Volete un esempio? Molto semplice, pensate alla pace – alla pace che riguarda i nostri temi, quella in Medio Oriente. Israele si è costituito in maniera pacifica: gli ebrei ritornati nella terra dei loro avi hanno comprato i campi, per lo più di proprietà di latifondisti assenteisti che li avevano abbandonati. Li hanno recuperati e resi produttivi con un lavoro durissimo, hanno fondato villaggi e città, sperando in un buon rapporto coi loro vicini arabi, che potevano molto beneficiare, se solo l'avessero voluto, della rinascita del paese.
Hanno sono dovuto presto correggere le loro idee, i primi agguati arabi ai contadini ebrei risalgono ormai a un secolo fa e divennero vere e proprie stragi negli anni Venti del Novecento.
La speranza di una convivenza pacifica però non cessò mai, vi furono contatti, tentativi di accordo, proclamazioni solenni come nella dichiarazione di indipendenza. A ogni apertura risposero però aggressioni e guerre, che non vi ricordo qui, perché lo faccio fin troppo spesso: i pogrom del '29, la guerra civile degli anni '30, l'aggressione dopo la proclamazione di indipendenza legittimata dall'Onu nel '48 ecc..

Quando difendendosi da un'ennesima aggressione nel '67 Israele conquistò molta terra, prevalse un progetto di pace che si esprimeva nello slogan “terra in cambio di pace”: progetto paradossale, visto che anche nel momento della sua massima espansione, col possesso del Sinai e di tutto il territorio fra il Giordano e il Mediterraneo, la terra controllata da Israele era una frazione minuscola di quella araba circostante, nell'ordine dell'un per cento dello spazio dei suoi vicini.
Il progetto funzionò almeno in parte con l'Egitto, anche se ora gli islamisti mettono in discussione il trattato che lo rese concreto; fu invece disastroso negli altri casi in cui fu applicato (Libano, Gaza, Giudea e Samaria), provocando più guerre e vittime di quelle che intendeva evitare.

Un altro principio di pace che fu tentato a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso fu quello di “civilizzare” la dirigenza terroristica “palestinese”, trasformandola in un regime responsabile e in  prospettiva in uno stato, nella speranza che rimossi gli ostacoli e vinta la diffidenza e il rancore, gli arabi che pretendevano di distruggere Israele si sarebbero accomodati alla sua esistenza, non solo avrebbero rinunciato al terrorismo ma avrebbero instaurato rapporti di collaborazione con lo stato ebraico. Questo non è accaduto. Le ondate di terrorismo sono state fermate solo con la forza e ancora sono minacciate e qua e là tentate; i germi di statualità “palestinese” non hanno affatto portato le élites di origine terrorista (Fatah, Hamas) a riconciliarsi con l'esistenza di Israele e a cercare di costruire condizioni socioeconomiche migliori per gli abitanti che pretendono di rappresentare; ma al contrario sono usati per delegittimare e in prospettiva per distruggere Israele. Il “processo di pace” iniziato ad Oslo è morto e ormai bisogna riconoscerlo, lo fanno perfino alcuni giornalisti di Haaretz (
http://www.haaretz.com/print-edition/opinion/a-new-peace-is-needed-1.411838). Né la terra in cambio della pace, né il nation building palestinese sono vie per la pace, bisogna riconoscerlo.

Nell'arena internazionale queste prospettive sono ancora usate, soprattutto da chi vuole mettere in imbarazzo Israele (come buona parte degli stati europei) o cerca di ottenere prestigio e popolarità nel mondo musulmano a sue spese (è il caso di Obama).
Il governo israeliano è costretto ad adeguarsi, a mostrare buona volontà, a dirsi disposto alla pace, ma è evidente che essa non è più possibile, almeno nei termini degli scorsi decenni. Gli accordi di Oslo, il riconoscimento dei terroristi dell'Olp come “unici rappresentanti del popolo palestinese”, insomma la politica di Rabin e dei governi di estrema sinistra della fine del secolo scorso si sono rivelati disastrosi.
Anche se si toccano dei tabù consolidati, su questo è necessario riflettere, su come potrà essere la prospettiva dello stato di Israele dopo la fine del “processo di pace”, su come uscire dalla trappola politica che da questo processo si è sviluppato, su come consolidare una situazione pacifica che sul terreno dei “territori” appare già prevalente e desiderata da tutta la popolazione, isolando i guerrafondai e i terroristi della varie fazioni “palestinesi”. Questo è il tema centrale di una riflessione sul Medio Oriente oggi.  Nessuno ha in tasca una soluzione, certo non posso tirarla fuori io con le mie marginalissime cartoline. Ma fare attenzione alle nuove idee e ai nuovi sintomi, questo sì, è dovere di tutti quelli che non sono accecati dall'ideologia e dunque anche mio

Ugo Volli


Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui