Alessandra Farkas intervista lo scrittore americano Michel Chabon sul CORRIERE della SERA di oggi, a pag.29, in un pezzo dal titolo " La magia della musica cancella i confini tra mondi diversi", in occasione della prossima pubblicazione del suo nuovo romanzo.
Ecco l'intervista:


Alessandra Farkas Michel Chabon & family
NEW YORK — Anche se nessuno di loro l'ha letto, i critici americani hanno già definito Telegraph Avenue di Michael Chabon, in uscita a settembre in Usa (da noi sarà pubblicato da Rizzoli l'anno prossimo), come «uno dei libri più attesi e intriganti del 2012». «Mia moglie ne sarà felice», afferma l'autore al telefono da Berkeley, dove vive con la scrittrice Ayelet Waldman e i loro quattro figli, «perché ha letto le quasi 500 pagine del romanzo ben 12 volte, senza risparmiarmi peraltro dure critiche. È entusiasta della versione finale».
La sua ultima opera è un memoir oppure fiction?
«È un romanzo che racconta dell'amicizia tra due famiglie: una coppia di coniugi bianchi quarantenni di Berkeley, Nat Jaffe e Aviva Roth-Jaffe, e una coppia afroamericana trentenne di Oakland, Archy Stallings e Gwen Shanks».
Come nasce questa amicizia?
«Da una grande passione per la musica e per i dischi in vinile. Oltre a suonare insieme in una band, i due mariti gestiscono anche un negozio di 78, 45 e 33 giri a Oakland. Brokeland Record non è una semplice bottega, ma un piccolo luogo magico dove mondi diversi si intersecano. Ogni giorno bianchi, asiatici e neri si siedono dietro al bancone per parlare, senza barriere, di ciò che li accomuna: la musica. Un po' come i bar delle stazioni spaziali di Star Trek, punto di incontro per alieni di galassie diverse».
Che cosa hanno in comune le due famiglie oltre alla musica?
«I mariti sono gli artefici del forte legame tra i due nuclei famigliari. Però, anche le mogli diventano subito amiche. Entrambe infermiere professioniste, condividono l'esperienza della maternità: Gwen con la gravidanza, Aviva con il figlio adolescente. Vi è poi un altro legame generazionale tra di loro».
Che cosa intende dire?
«Julius, il figlio teenager della coppia di bianchi, è grande amico del coetaneo Titus, primogenito del marito della famiglia afroamericana. Questo ultimo, però, non ha mai incontrato suo figlio e non sa neanche che il ragazzino vive a Oakland, molto vicino a lui. Nel libro Julius si pone in un atteggiamento di sfida nei confronti del padre e dei suoi gusti musicali, considerati troppo raffinati. Con la sua passione per il progressive rock anni Settanta, il quindicenne calpesta l'anima jazz e soul del genitore. Brokeland Records è il regno della grande tradizione musicale nera tra gli anni Cinquanta e Ottanta. Nei suoi scaffali troviamo i capolavori di leggende quali Donald Byrd, Lou Donaldson e Charles Kynard».
In un saggio sull'«Atlantic Review» del 2011, lei esalta il vinile a scapito del cd.
«Considero il cd come il manufatto tecnologico meno attraente finora creato per infondere piacere. Molto diverso dal disco in vinile, che è senza dubbio un feticcio da adorare, un bene superiore e irrinunciabile che, dalla grafica all'etichetta, dall'odore al tatto e dalla fodera alla copertina, stimola tutti i nostri sensi. Anche le audiocassette però hanno il loro fascino».
È una ricerca del tempo perduto proustiana, la sua?
«Sì. Oltre alle famiglie, i veri protagonisti sono i luoghi, sia attraverso il ricordo di come erano un tempo, sia tramite la descrizione di come appaiono oggi. Il marito afroamericano, ad esempio, è nato e cresciuto nella vecchia Oakland, di cui ricorda ogni ruga. Le strade, i nomi, le persone che incontra rievocano immagini del passato, come il barbiere che 40 anni prima aveva la sua bottega dove adesso sorge Brokeland Records».
La stampa ha elogiato la scelta di ambientare il romanzo in California, rompendo così il trend degli scrittori amanti dei sobborghi di Brooklyn.
«Celebro questa parte di mondo che adoro, nonostante i difetti su cui ironizzo puntualmente nei miei libri. Per lavoro viaggio molto, sia negli Stati Uniti sia all'estero e, ogni volta che ritorno a casa, sono grato di vivere qui per la diversità che mi circonda».
Un paradiso interrazziale?
«Sì. Il libro intende proprio raccontare di questi luoghi dove per le persone è naturale, quasi involontario e inconsapevole, incontrarsi e stare insieme. Proprio come i quartieri al confine tra Berkeley e Oakland dove vivo e dove tutto il romanzo è ambientato. La baia di San Francisco è piena di posti così».
Nell'America di Obama è diventato più facile per la gente superare le barriere razziali?
«Non credo si possa generalizzare. Direi che, per natura, le persone tendono a segregarsi. E oggi assistiamo anche a un altro tipo di fenomeno: la segregazione economica, ovvero gente che si allontana da certi gruppi a causa della crisi che li fa retrocedere nella scala sociale».
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