Su AVVENIRE di oggi, 18/02/2012, a pag.25, con il titolo " Israele e Palestina, come son lunghe le radici della guerra ", Luca Gallesi recensisce il libro dello storico Benny Morris, "le guerre di confine d'Israele 1949-1956".
Luca Gallesi scrive:
"Mezzo milione di arabi diventano sudditi di uno Stato nuovo, nato su quelle che fino ad allora erano state le loro terre, dalle quali vengono espulsi per affollare i campi profughi nei Paesi arabi confinanti, che diventeranno la loro nuova patria".
Dopo la spartizione della Palestina con risoluzione 181 dell'ONU, i palestinesi - su ordine dell'Alto Commando Arabo - abbandonarono le loro terre perché presto vi avrebbero fatto ritorno da vincitori e che tutto il nuovo Stato di Israele sarebbe stato raso al suolo; così non è stato e loro [i palestinesi] sono rimasti rifugiati. Israele non ha mai 'cacciato' i palestinesi dalle loro case, infatti gli arabo-israeliani che vi sono rimasti godono stessi diritti dei cittadini israeliani e sono tutt'ora rappresentati alla Knesset.
AVVENIRE è da sempre un giornale ostile a Israele, grave che arrivi anche a manipolare la storia in favore della narrativa palestinese.
Non arriveremo a chiederne la chiusura, lasciamo questo invito ai populisti alla Celentano, ma, come facciamo da anni, ci chiediamo come proprio i cattolici accettino che il quotidiano della CEI sia un veicolo di menzogne contro Israele.
A Gallesi una domanda: perchè non intervista Benny Morris, leggendogli il pezzo che ha scritto su di lui, manipolando il contenuto del suo libro ?
Se lo farà, cosa che dubitiamo, ci racconti come è andata. Un avviso: sentiremo Benny Morris per verificare se il racconto corrisponde al vero. Con i precedenti di Gallesi....
a destra in alto la mappa della Palestina prima della spartizione Onu
Ecco l'articolo:
Benny Morris
E' il 1947 quando l'Assemblea generale dell'Onu, con la risoluzione 181, si pronuncia sulla spartizione della Palestina in due Stati, uno ebraico e l'altro arabo; scoppia un conflitto interminabile che da allora insanguina il Medio Oriente e destabilizza il mondo intero. Mezzo milione di arabi diventano sudditi di uno Stato nuovo, nato su quelle che fino ad allora erano state le loro terre, dalle quali vengono espulsi per affollare i campi profughi nei Paesi arabi confinanti, che diventeranno la loro nuova patria. Con queste premesse, la pace è un sogno irraggiungibile, come dimostra quel permanere di conflitti a bassa intensità che caratterizza in particolar modo gli anni tra 1949 e 1956, periodo preso in esame da Benny Morris, professore di storia del Medio Oriente all'Università Ben Gurion del Negev di Beer-Sheva, autore di uno studio ormai classico finalmente tradotto in italiano. Dopo la guerra del 1948 e la sorprendente sconfitta della Lega Araba, Israele attua una dura politica repressiva nei confronti della popolazione araba, che non si rassegna ad abbandonare i campi che aveva posseduto per generazioni, e dove - soprattutto in occasione dei raccolti agricoli - tenta di tornare entrando iillegalmente nello Stato ebraico. Sotto l'inflessibile comando di David Ben Gurion, che guida la nazione fino al 1963 (tranne la breve presidenza del più ragionevole Moshe Scharett dal 1953 al 1955) le forze armate israeliane hanno carta bianca nel reprimere con ogni mezzo le violazioni dei confini e rispondere con spietate rappresaglie a ogni reazione araba. La descrizione delle violenze ingiustificate e soprattutto impunite compiute ai danni degli arabi è impressionante, anche perché - come ricorda Morris - dal 1949 al 1956 Israele rifiuta di trattare gli infiltrati secondo la Convenzione di Ginevra, con l'inevitabile risultato dell'inasprirsi dell'odio degli Stati confinanti e la crescita dell'ostilità dell'opinione pubblica mondiale. Lo stesso segretario generale dell'Onu Hammarskjold vola in Medio Oriente per chiedere moderazione, trovando ascolto in Egitto da Nasser ma non in Israele. Con Ben Gurion lo scambio di corrispondenza si interrompe bruscamente quando il rappresentante della diplomazia internazionale si rende conto che è tutto inutile. «Lei è persuaso -scrive a Ben Gurion - che le rappresaglie impediranno ulteriori incidenti (...) Io credo che tale politica possa rinviare all'infinito il momento di una coesistenza pacifica». Alla fine la guerra di indipendenza algerina, sostenuta dall'Egitto nasse-riano, genera un'inedita alleanza franco-britannico-israeliana in funzione anti-araba, che porta ulteriori argomenti a favore dei «falchi», tra i quali spicca il capo di stato maggiore (e futuro ministro della Difesa) Moshe Dayan, alla ricerca di un pretesto per scatenare una guerra preventiva che assicuri a Israele territori più estesi e confini più sicuri. Nel 1956, la guerra Sinai-Suez offe a Israele la sua occasione d'oro per eliminare in un colpo l'avversario più temibile, rappresentato dall'esercito egiziano, e soffocare con la forza i focolai di potenziale guerriglia che andavano estendendosi appena oltre i suoi confini. Dopo più di sessant'anni, forse è il caso di chiedersi se sia stata fatta la cosa giusta.
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