Riportiamo da LIBERO di oggi, 17/02/2012, a pag. 28, l'anticipazione del libro di Souad Sbai titolato " Il sogno infranto ".
Souad Sbai, Il sogno infranto, ed. Curcio
La «Primavera araba» ha colto alla sprovvista perché a tutt’oggi nessuno avrebbe potuto pensare che le popolazioni arabe si sarebbero rivoltatecontro i loro rais. È una rivoluzione sostanzialmente simile a tutte le altre, come quelle che hanno cambiato la storia e hanno condotto il mondo verso grandi rinnovamenti politici e sociali. Le proteste di piazza Tahrir, in Egitto, sono state in un primo momento il simbolo per eccellenza delle speranze per un futuro di libertà e democrazia. Una piazza che, lo si voglia o no, è già passata alla storia perché è stata l’espressione della volontà di migliaia di persone, soprattutto giovani, i più interessati al cambiamento e a diventare padroni della loro vita,senzadittatori né estremisti. Questi giovani egiziani si sono battuti con forza, talvolta anche pagando con la loro stessa vita. Hanno avuto il coraggio di mettersi contro il regime, ormai arrivato alla fine. Da tempo infatti Mubarak non possedeva più la spinta ideologica del panarabismo originario. IL PRIMO TASSELLO La «rivolta del gelsomino» tunisina contro il presidente Ben Ali è stata il primo tassello che ha sconvolto gli equilibri di diverse nazioni. Anche qui i ragazzi hanno avuto il coraggio di mettersi in gioco e senza paura di svelare il vero volto del regime. Questa voglia di libertà ha invaso tutto il quadrante nordafricano ed è andata oltre. Lo «spirito di piazza Tahrir» e della «Primavera araba» si sono facilmente diffusi. Il sostegno principale ai giovani è arrivato dal web, soprattutto Facebook ha fatto la sua parte perché ha permesso di creare una rete virtuale che non ha tardato a manifestare la sua forza. I giovani hanno cercato di migliorare le loro condizioni e, con una tale vitalità, sono riusciti a smuovere il sistema. Si è trattato, a detta di moltissimi, di una «ventata» di freschezza. Ma su questo punto le posizioni sono contrastanti. Secondo alcuni, i più idealisti, la primaveraaraba è stata una richiesta sentita di democrazia e partecipazione politica. Secondo altri, invece, tutto questo fermento politico non sarebbe mai nato senza la grigia presenza del fondamentalismo. Si tratterebbe, dunque, di una rinascita integralista che non potrà mai essere compatibile con la democrazia. Il sistema politico del fondamentalismo è infatti «a chiusura ermetica» e i presupposti di sviluppo delle libertà vengono meno e non sono compresi tra i suoi obbiettivi. Nonostante la presenza di questo sistema opprimente, la gioventù araba è comunque più consapevole, vuole la libertà e non è più attratta da spinte ideologiche e religiose, che non danno risposte vere e forniscono interpretazioni distorte della realtà. QUALCOSA DI OSCURO I giovani non credono più ai falsi miti, vogliono concretezza e certezze per il loro futuro. Si tratta di una presa di coscienza importante che va oltre ogni cosa, soprattutto oltre Gheddafi, Ben Ali e Mubarak. Quest’ener - gia fresca e giovane ha abbattuto quei regimi «fantasma» senza più nessun ruolo internazionale, che di fatto impedivano qualsiasi sviluppo umano. Erano diventate strutture politiche senza possibilità di futuro, concentrate sul mantenimento del potere fine a se stesso. Ora sono caduti i dittatori, ma il pericolo non è terminato anche perché qualcosa di oscuro si sta muovendo dietro lo «spirito di piazza Tahrir». La fine del regime di Mubarak ha lasciato un vuoto politico che è stato colmato da un’altra giunta militare e dai fondamentalisti alle porte. I soldati hanno agito in nome di una sedicente «salute pubblica» e si sono auto proclamati garanti del popolo e della libertà. Se questo è il futuro che si sta creando, dove sono finite quelle richieste di riforme e di maggiore autodeterminazione politica? La giunta militare dovrà ascoltare le istanze del popolo e non potrà rimanerne estranea in eterno. I militari hanno solo saputo legittimare l’attuale governo provvisorio: il peggiore affare che l’Egitto del dopo Mubarak potesse fare. Il risultato è quindi solo un cambio di poteri e nessun passo in avanti. La democrazia, la laicità, i diritti umani e l’ugua - glianza restano ovviamente ancora lettera morta, soprattutto perché all’orizzonte potrebbe esserci qualcosa di molto diverso dalla democrazia. Il nuovo regime egiziano si è infatti avvicinato alla Repubblica islamica iraniana. È un’ingerenza che ai tempi di Mubarak non sarebbe mai avvenuta, un segno inequivocabile che qualcosa sta cambiando all’interno del paese. Qualcosa di molto oscuro epreoccupante per tutti. L’avvicinamento parziale forse è stato favorito anche da una certa debolezza diplomatica e strutturale di Washington. Non è un caso che durante le manifestazioni dei giovani iraniani contro gli Ayatollah, il presidente americano Barack Obama abbia mostrato un’in - differenza quasi totale. Gli americani non hanno saputo frenare neanche i guerriglieri di Hamas che non solo hanno intavolato un proficuo rapporto politico con i Fratelli musulmani, ma hanno anche contribuito a un processo di pacificazione interna tra palestinesi. Abu Mazen, presidente dell’Autorità nazionale palestinese, unico valido interlocutore di Israele, ha accettato un piano di alleanza con il suo storico avversario Hamas, per un progetto di pianificazione comune basato su larghe intese politiche. Si sta forse realizzando il sogno non tanto segreto di Ahmadinejad di un Medio Oriente senza lo Stato ebraico? In Siria, Bashar Al Assad, nonostante un’apparente isolamento internazionale, riesce a giocare ancora le sue carte. Si barcamena con una certa ambiguità politica, sostenuta anche dalle repressioni che sono sfociate in veri e propri massacri. Le morti ormai incalcolabili della città di Homs ne sono la prova. Perché il mondo occidentale non ha dichiarato Bashar Al Assad un criminale? L’INTOCCABILE ASSAD Il dittatore ha capito di essere una pedina importante e per questo motivo è intoccabile. Per gli americani è necessario preservare l’ultimo «baluardo» di laicità sul territorio. Damasco è vitale per gli occidentali e deve perciò resistere, è un punto di equilibrio troppo importante per essere perso in favore degli estremisti. Sembra paradossale che un paese come la Siria sia al centro degli interessi di chi non è estremista. Certamente Tel Aviv e Washington non gioiscono della presenza di Assad, anche se è meno virulento di molti altri personaggi che potrebbero gettare su tutto il paese un’on - data di fondamentalismo religioso. Il vero problema del quadro mediorientale è il suo stesso futuro, che rischia di spostarsi su posizioni anti-occidentali e di orientare la primavera araba verso una «controrivoluzione fondamentalista». Se Assad dovesse mantenere il suo potere a Damasco, allora esisterà ancora una Repubblica siriana a carattere nazionalista e laico. Altrimenti il paese rischia di diventare un secondo Egitto. La verità, purtroppo, è che la primavera araba è stata solo un miraggio di ideali di libertà. L’iniziale rivolta sta andando verso qualcosa che potrebbe gelare tutte le istanze di democrazia. Ci si avvicina sempre più a un «inverno arabo» generato dalla presenza influente dei fondamentalisti nelle piazze e a livello istituzionale.
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