Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/02/2012, a pag. 49, la risposta di Sergio Romano ad un lettore dal titolo "Una suora scrive dalla Siria. Il dilemma degli occidentali".
Sergio Romano, Ismail Haniyeh con Recep Erdogan
Sergio Romano analizza la situazione in Siria. Parte da una premessa corretta, i cristiani appoggiano Assad perchè con loro è sempre stato tollerante, mentre non sarà lo stesso con l'arrivo dei Fratelli Musulmani.
Peccato che, poi, il discorso non prosegua sulla stessa linea : "la Fratellanza musulmana, per molto tempo madre e modello di tutte le organizzazioni islamiste del mondo sunnita, ha subito a sua volta, negli ultimi tempi, l'influenza della Turchia. I successi del governo di Recep Tayyip Erdogan sembrano dimostrare che l'Islam moderno può essere democratico, economicamente dinamico e, al tempo stesso, rispettoso della legge coranica". Sergio Romano continua a pubblicizzare la Turchia come esempio di Stato islamico e democratico. Un binomio simile è inaccettabile. Si può definire democratico uno Stato che fa processi agli scrittori in cui la libertà d'espressione non è garantita?
Prima dell'arrivo di Recep Erdogan la Turchia era uno Stato laico. Ora è islamico e basta. Erdogan continua a limitare il potere dei militari, unici garanti della laicità dello Stato. Il deterioramento dei rapporti con Israele e l'avvicinamento della Turchia ad Hamas non hanno nulla a che vedere con la democrazia. Rispettare la legge coranica (sharia) sarebbe indice di democrazia?
Romano scrive anche che "Esistono ancora gruppi consistenti di «guerrieri della fede» (...) ma vi sono cambiamenti ed evoluzioni che occorre studiare e se possibile incoraggiare.". Quelli che Romano definisce eufemisticamente 'guerrieri della fede' sono salafiti. Più estremisti ancora dei Fratelli Musulmani, che cosa c'è da studiare e 'incoraggiare' nella loro presenza?
Ecco lettera e risposta:
In una recente lettera agli amici del monastero carmelitano di San Giacomo di Qâra in Siria, che si può facilmente reperire in Rete, la superiora Madre Agnès-Mariam de la Croix, a proposito della situazione politica del suo Paese, scrive: «La realtà non è binaria come ce la cantano. È complessa. Ci sarà ancora posto per i cristiani siriani nella destabilizzazione che è stata avviata in questa società composita? Il destino della Siria sarà ricalcato su quello dell'Iraq? Non lo sappiamo. Preghiamo... Non ci dimenticate!». La religiosa siriana prosegue e denuncia: «Il conflitto in corso si è trasformato, da una rivendicazione popolare di libertà e democrazia, in una rivoluzione islamista». Mi domando e le domando: sarà tutto oro quel che luccica nella cosiddetta primavera araba, oppure dobbiamo aspettarci da essa un'ulteriore espansione dell'islamismo radicale nel mondo?
Stefano Nitoglia
studio.nitoglia@yahoo.it
Caro Nitoglia,
C apisco le preoccupazioni della superiora del monastero siriano di San Giacomo. Il regime di Bashar al Assad ha tenuto verso le minoranze cristiane un atteggiamento equo e tollerante. Non è certo che i suoi successori, se riusciranno ad abbatterlo, faranno altrettanto. Sappiamo che l'opposizione al regime è prevalentemente sunnita, che gode del sostegno dei regimi sunniti del Golfo e che qualche gruppo militante di Al Qaeda starebbe cercando di appropriarsi della causa rivoluzionaria. Ma la Fratellanza musulmana, per molto tempo madre e modello di tutte le organizzazioni islamiste del mondo sunnita, ha subito a sua volta, negli ultimi tempi, l'influenza della Turchia. I successi del governo di Recep Tayyip Erdogan sembrano dimostrare che l'Islam moderno può essere democratico, economicamente dinamico e, al tempo stesso, rispettoso della legge coranica. Esistono ancora gruppi consistenti di «guerrieri della fede» (nelle ultime elezioni egiziane i salafiti hanno conquistato il 20% dell'elettorato), ma vi sono cambiamenti ed evoluzioni che occorre studiare e se possibile incoraggiare.
Che cosa dovrebbero fare, in queste circostanze, i governi occidentali? Mi sembra che siano prigionieri di un dilemma. Vorrebbero stabilità per evitare conflitti civili e soprassalti rivoluzionari che finirebbero per contagiare l'intera area mediorientale. Ma vorrebbero anche regimi democratici, rispettosi dei diritti umani e civili, perché questo è ciò che chiede la maggioranza dei loro cittadini. I due obiettivi sono malauguratamente incompatibili. Per avere stabilità occorre difendere i militari in Egitto e Assad in Siria. Per favorire l'avvento della democrazia occorre sostenere la causa di coloro che sono scesi in piazza contro il regime. Chi sceglie la prima opzione rischia di trovarsi, alla fine della crisi, nel campo dei perdenti. Chi sceglie la seconda rischia di favorire, in nome della democrazia, forze che potrebbero non essere democratiche. Bisognerebbe tacere e stare a guardare. Me le democrazie amano parlare e i loro leader devono tenere conto degli umori dei loro elettori. Di una cosa, fortunatamente, possiamo essere pressoché certi. Nessuno, dopo quanto è accaduto negli scorsi mesi, vorrà ripetere in Siria gli errori della Libia.
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