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Congratulazioni per l'iniziativa del viaggio in Israele, conservo ricordi stupendi (alcuni dolcissimi, altri strazianti) dei miei tre viaggi dal 2000 ad oggi e vorrei accumularne molti altri. Però, senza voler spaventare alcuno, faccio fatica a non pensare ad Israele come "un Paese in guerra" (che non equivale a 'Paese aggressore' e nemmeno a 'popolo con mentalità culturale bellicosa'). Temo, purtroppo, che lo sia davvero, e almeno dal 1929 se non da prima: una specie di guerra dei cent'anni con tregue e 'riaccensioni' ad intervalli imprevedibili. C'è anche questo - la consapevolezza del pericolo costante - dietro la straordinaria bellezza di questo Paese (frutto anche di tanto lavoro), il suo impressionante sviluppo economico, scientifico, tecnologico, culturale, la vivacità della sua gioventù e quella specie di bisogno inesauribile di aiutare il prossimo e, possibilmente, farsi amare o almeno accettare che si esprime in ogni sorta di iniziative di soccorso e assistenza. Possa Israele conoscere presto la pace e, possibilmente, non prenderne i 'vizi' che affliggono buona parte di noi europei! Approfitto dell'occasione per chiedere, se possibili, lumi sul contenuto dell'articolo di Giulio Meotti concernente le trattative tra Israele e Santa Sede, forse il più oscuro dei suoi articoli, di solito interessanti o molto interessanti, che io abbia mai letti. Presumo che le trattative si riferiscano ad uno degli accordi che, secondo l'Accordo Fondamentale dei primi anni '90 (quello con cui furono allacciate le relazioni diplomatiche), dovevano disciplinare, da un lato, lo status giuridico degli enti ecclesiastici in Israele (questioni attinenti alla natura giuridica, ai modi di acquisto della proprietà, ecc.: materia che in Israele, se ben ricordo, era, almeno fino a una ventina d'anni fa, giuridicamente piuttosto confusa per sovrapposizioni di norme a volte risalenti all'impero ottomano), dall'altro, la disciplina fiscale relativa a tali enti. Nel contesto, non sono riuscita a capire se, per il Cenacolo, si discuta di un'ipotesi di extraterritorialità (come quella delle ambasciate o di alcune basiliche in Italia), di semplice proprietà (a norma di leggi civilistiche), di mero ripristino della destinazione del Cenacolo stesso a luogo di culto cattolico (come era fino a quando, nel Cinquecento, gli ottomani lo tolsero d'imperio ai francescani e lo trasformarono in moschea, vietandone anche il semplice accesso ai non musulmani fino a metà dell'Ottocento) o semplicemente della possibilità di celebrarvi funzioni religiose più o meno spesso (da quasi 500 anni Giovanni Paolo II è stato, credo, l'unico che abbia potuto celebrarvi la S. Messa). Ancor meno sono riuscita a capire in che cosa un accordo sul Cenacolo (su una qualsiasi delle ipotesi sopra accennate) costituisca una specie di vergognosa capitolazione di Israele al Vaticano. Se c'è qualche altro elemento di fatto a sorreggere tale valutazione e giustificare timori addirittura di cancellazione della presenza ebraica o della libertà degli Ebrei a Gerusalemme per effetto dell'accordo stesso (almeno se ho inteso bene le preoccupate espressioni di Meotti), dall'articolo non sono riuscita a individuarlo e sarei molto interessata a sapere di che si tratta. Non credo che il semplice fatto che, nel medesimo complesso di edifici, si trovino sia il Cenacolo, sia la Tomba di Davide costituisca un ostacolo insormontabile (almeno nel rapporto con gli Ebrei: ai musulmani potrebbe non piacere che la ex moschea torni ad essere una chiesa), visto che si tratta di due sale distinte (non molto grandi) e, se non ricordo male, separate almeno da un cortile interno. Con i più cordiali saluti, Annalisa Ferramosca Gentile lettrice, troverà oggi una pagina di IC nella quale vengono ripresi gli argomenti di cui alla sua lettera. Interviene l'ambasciatore Sergio I. Minerbi, che affronta proprio il problema del Cenacolo, e Giulio Meotti sui rapporti Vaticano-Olp. |
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